Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.Catullo, Carmen LXXXV
Io amo la mia città. Eppure la odio. Perché è vecchia, nonostante sia giovane (1952).
Porto Sant’Elpidio è vecchia, così vecchia che non solo il casello dell’autostrada (7 agosto 2011) è stato inaugurato con 38 anni rispetto al resto dell’A14 (1973) e 87 rispetto al primissimo tratto (21 settembre 1924), ma addirittura ci hanno fatto una festa. Cioè, capite? Nel 2011, per un casello autostradale… manco fosse uno Stargate! Tra l’altro un casello talmente piccolo che ha una sola corsia. Col diritto di precedenza per chi se ne va. Eravamo talmente in ritardo che il primo veicolo a passare era trainato da cavalli.
Io amo la mia città. Ci sono nato e cresciuto per i primi diciannove anni della mia vita, ci sono i miei più cari amici e tutta la mia famiglia, che amo nonostante io sia la “pecora nera“, dal loro punto di vista.
Ho vissuto a Bologna, Milano e Londra e adesso faccio l’animatore, e quando torno a casa soffoco. Perché PSE è una città gretta. È come vivere nel Truman Show, tutto ciò che è fuori copione non esiste o è “cinema”. A Porto Sant’Elpidio non ci sono drogati e non ci sono gay, non si abortisce e non si divorzia. Cristo, persino l’adozione è un argomento sgradevole di cui sparlare sottovoce e con le finestre chiuse. Nel 2013. Dopo Cristo. Se una di queste cose accade in una famiglia non è un dramma, è una tragedia. Non ci si sente disonorati ma feriti, lacerati. E si somatizza e ci si incazza, si cerca la pietà degli altri stigmatizzando il colpevole, perché sono tutte realtà estranee a quella cristallizzata nella campana di vetro di un’insulsa cittadina marchigiana di manco 26.000 anime. Fottesega che d’estate si riempia di turisti abruzzesi e umbri col cervello più vuoto delle proprie tasche. Da me i giovani o sono rimasti a ristagnare nello stesso giro di conoscenze o sono scappati in città universitarie, illudendosi di ricreare un ambiente d’ampio respiro e multiculturale che si risolve in concerti fini a sé stessi, perché il suolo portoelpidiense è tutt’altro che fertile.
Perché? Perché la gente che ci vive non si merita altrimenti: più della metà dei suoi abitanti ha più di quarant’anni, che si dividono tra la fabbrica e la chiesa e i giovani, in parte come loro, credono di essere al centro del mondo mentre invece è solo un neo, e con la loro convinzione lo stanno rendendo uno sfintere.
Per carità, non c’è niente di male nel vivere in una cittadina del cazzo, il mondo ne è pieno e non è nemmeno colpa nostra, ma farsi abbagliare da Giri d’Italia, Bandiere Blu, piste ciclabili e quant’altro è semplicemente patetico, è una vivacità apparente. Abbiamo un multisala che ha strangolato i cinema tradizionali nel giro di decine di chilometri. Stessa cosa per l’Auchan con i piccoli commercianti. Da noi campano solo i cinesi e i magnaccia, che riempiono di puttane i 7 chilometri di statale e gli appartamenti della città col beneplacito dei cittadini, che vanno a protestare in comune e in privato triplicano gli affitti.
Quanti miei concittadini consultano la Biblioteca Comunale? Quanti partecipano a I Teatri del Mondo? Quanti ancora, invece, fanno di bar e chalet il proprio luogo di culto? Ma andate a una processione o alla messa di una festività maggiore, sarà pienone. Di gente e bigottismo.
Io amo la mia città, eppure la odio. Perché ha bisogno di sentirsi quello che non è per stare bene con sé stessa.
Io odio la mia città.
Eppure la amo.
Però la odio, cazzo.
-m4p-
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