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I BAMBINI OSSERVANO MUTI LE GIOSTRE DEI GRANDI - di Giuseppe Marotta

Creato il 18 settembre 2012 da Ilibri
I BAMBINI OSSERVANO MUTI LE GIOSTRE DEI GRANDI - di Giuseppe Marotta I BAMBINI OSSERVANO MUTI LE GIOSTRE DEI GRANDI - di Giuseppe Marotta

Titolo: I bambini osservano muti le giostre dei grandi
Autore: Giuseppe Marotta
Editore: IoScrittore

Remì non è un bambino come tutti gli altri. E’ vero, ha dieci anni, frequenta la quinta elementare, ha una fidanzatina e il suo micro pugno magico che lo tira fuori dalle situazioni più delicate. Il piccolo Remì ha, però, anche una famiglia ‘particolare’ ed è proprio questa che lo rende diverso da tutti gli altri bambini della zona. Il nonno del nostro piccolo protagonista è infatti un boss della camorra. Un uomo terribile che tiene sotto pressione tutto il quartiere ma che incombe anche all’interno delle mura domestiche. Un nonno forte, prepotente che decide della vita e della morte di chiunque e che impedisce ai genitori di Remì, con i quali vive, di decidere della propria vita. Così quando la mamma di Remì fugge con un altro uomo, il nonno ordina al figlio di trovare e uccidere la nuora fedifraga e il suo amante e di lavare con il sangue l’onta subita. E’ a questo punto che il bambino deciderà di dare una svolta alla sua vita e all’intera famiglia divenendo lui stesso padrone del proprio destino e lottando per salvare la persona cui tiene di più al mondo, la sua mamma. E’ una lotta impari la sua. Un bambino fragile, afflitto da un’imbarazzante debolezza intestinale, che affronta il terribile boss e la sua cricca cercando di fargli cambiare idea e salvare così la donna che l’ha messo al mondo.

Giuseppe Marotta adopera un linguaggio semplice, descrivendoci il terribile mondo della camorra con gli occhi spaventati ma limpidi di un bimbo. Il linguaggio che sceglie sfiora di continuo il dialetto della sua terra riuscendo però a restare comprensibile anche per il lettore che non conosca il napoletano. La bravura di quest’autore sta anche nel rendere umani personaggi che potrebbero essere considerati tutt’altro che tali e nel ridicolizzarli mettendo a nudo le loro debolezze e le loro fobie.

I bambini osservano muti le giostre dei grandi” è un romanzo crudo, che fa arrabbiare, spaventa e che avvilisce poiché descrive con lucido realismo un mondo che nessuno vorrebbe conoscere. Allo stesso modo però è una storia che trova la sua forza nella sottile ironia della penna dell’autore e nella disperata ricerca di quel filo di speranza che conceda di avere ancora fiducia nel futuro.

DOMANDE ALL'AUTORE

giuseppe-marotta
Tanto per cominciare buongiorno Giuseppe e complimenti per il risultato ottenuto al torneo.

Grazie, e complimenti anche a voi per il sito e la vostra attività.

Nel tuo romanzo descrivi una Napoli fagocitata dalla camorra e un ambiente degradato e succubo di persone deleterie e prepotenti. A guardare questo mondo sono gli occhi di un bambino, ma potrebbero essere quelli di qualunque adulto dall’animo pulito. Quanto ti riconosci nel tuo protagonista?

Attraverso Remì ho voluto dare maggior risalto al grido disperato di tutti gli adulti dall’animo pulito, me compreso, di cui Napoli e dintorni è piena. Essi sono la maggioranza, purtroppo silenziosa, che si è per certi versi assuefatta all’ambiente degradato. Si è assuefatta alle montagne di rifiuti sotto casa, alle sparatorie per strada, alla violenza dei camorristi perché si trova di fronte un mostro spietato e si sente inerme. Dovrebbero “arrivare i nostri“ a salvarli, come nei film western che guardavamo da bambini, ma “i nostri” non arrivano perché “i nostri” non esistono e se esistono sono una minoranza dalle armi spuntate. Se un adulto denuncia le brutture della propria terra, l’ambiente degradato, la prepotenza della camorra nessuno gli da ascolto, se a denunciarlo invece è un bambino, gli adulti avrebbero il dovere di farsene carico. Se quel bambino è anche figlio o nipote di camorristi il problema dovrebbe investirli in prima persona. Nel romanzo, Giovanna, la madre di Remì, sente questo peso e si ribella alla tirannia del suocero capo-clan.

Come nasce Remì? Che cosa ha fatto scattare la scintilla da cui è scaturito il fuoco di questa storia?

Remì nasce dalla voglia di non raccontare sempre la solita storia sui bambini di Napoli che, vivendo in ambienti degradati, hanno un destino per certi versi già segnato. Volevo raccontare la storia di un bambino che rifiutasse la logica seconda la quale, se nasci o vivi in famiglie di camorristi e in quartieri malfamati, necessariamente diventi un camorrista. E così una sera mentre guardavo il film “Certi Bambini” dei fratelli Frazzi, tratto dall’omonimo bestseller di Diego de Silva, in cui al bambino protagonista veniva insegnato a sparare perché poi diventasse un killer della camorra, mi è venuta l’idea di scrivere un romanzo che avesse come protagonista un bambino che pur vivendo in una famiglia di camorristi alla fine riusciva a salvarsi. Per fare ciò avevo bisogno di un familiare che prendesse coscienza dello squallore in cui era immersa la propria vita e quella di Remì e si ribellasse. E la mamma mi è sembrata la figura familiare più adatta a svolgere questo compito. Remì per salvare sua madre riesce a spezzare quel legame di odio-amore che lo lega al nonno-capoclan. Quel nonno che si trasforma durante il romanzo da balocco, come in genere dovrebbero essere i nonni per i nipoti, ad orco.

Sei campano, quanto ami le luci e le ombre della tua regione?

Amo le luci, odio le ombre. La Campania è bellissima: mare e montagna. Un clima californiano e un terreno fertile. “Ager Felix” dicevano i romani: terra fertile. Ogni semina viene sempre alla luce grazie a un terreno ricco di humus che rinforza quei chicchi trasformandoli in frutti. Ma chi valorizza e protegge questa ricchezza dallo scempio messo in atto dai clan camorristici? Nessuno. Io sono natìo di Pompei, la città in cui vi è il sito archeologico più famoso e più visitato al mondo che sta cadendo a pezzi. E’ un peccato mortale far accedere tutto ciò senza intervenire con energia. Di chi è la colpa, solo dei cosiddetti agenti atmosferici? Non credo. Ci sono piuttosto responsabilità che dovrebbero essere accertate. C’è un sud del Paese che con le sue bellezze, le sue luci appunto, potrebbe illuminare la nazione intera, “ma nessuno se ne fotte” direbbe Remì. Ed è vero. La questione meridionale potrebbe essere risolta se solo si valorizzasse il turismo e l’agricoltura. Vecchie ricette che non hanno mai trovato cuochi capaci di renderle concrete. Perché per rendere concrete queste vecchie ricette occorre innanzitutto liberare il territorio dall’invasore camorrista che strozza e dissangua ogni forma di iniziativa imprenditoriale onesta. Si può affermare, senza dubbio, che questa incapacità della nostra classe politica di valorizzare e proteggere il meridione sia direttamente proporzionale alla presenza della criminalità organizzata che continua a scorrazzare impunita sul territorio depredandolo e puntando, ahimè, sempre di più verso Nord.

E’ recente la notizia di un ulteriore magnifico obiettivo raggiunto dal tuo romanzo che è stato scelto per la pubblicazione cartacea da una delle case editrici appartenenti al Gruppo GeMS. Hai tanto da raccontarci. Cosa hai provato quando hai scoperto di essere stato selezionato tra i trenta finalisti del Torneo Letterario Ioscrittore e quali sensazioni ti hanno assalito quando hai saputo di essere stato scelto per il cartaceo?

Ero a Mantova l’anno scorso alla proclamazione dei trenta, e quando Oliviero Ponte di Pino ha pronunciato il titolo del mio romanzo ho cercato di mantenere la calma invano. Ero emozionato e non riuscivo a parlare. Oliviero mi ha chiesto di riassumere il mio romanzo e le parole mi si strozzavano in gola. E l’apice l’ho raggiunto quando Donato Carrisi mi ha consegnato il suo romanzo, Il tribunale delle anime, in regalo: mi sono girato per ringraziarlo e ho fatto cadere tutta la pila dei suoi libri dalla scrivania. Comunque è stata una sensazione piacevole replicatasi quando poi a Gennaio ho visto la pubblicazione del mio ebook sul sito del Torneo: un piccolo seme che sperava di diventare frutto. E così è stato. Infatti, l’ultimo giorno dei 180, durante i quali GEMS si era riservato l’opzione cartacea, è stato determinante. Era il 24 aprile scorso, di pomeriggio, quando ho ricevuto la fatidica telefonata che ogni scrittore esordiente spera di ricevere prima o poi. Ricordo solo le prime sei parole: “Salve sono Monica Tavazzani della Corbaccio”. Ero seduto alla mia scrivania di casa e mi sono alzato in piedi di scatto quando ho sentito la parola “Corbaccio”: avevo capito tutto. Del seguito della conversazione, infatti, non ricordo nulla, la mia mente era già altrove. Rispondevo a monosillabi, o quasi: sì, grazie, certo, grazie, ovvio, grazie. Avrò detto “grazie” mille volte forse, non ricordo. Comunque, una telefonata che allunga la vita. Dopodiché il panico: sarò all’altezza? Speriamo.

Ancora una domanda: Hai ripetuto o ripeteresti l’esperienza del torneo letterario?

L’ho ripetuta quest’anno, ma non è andata bene. Fatto fuori già nella fase di lettura dell’incipit. A rileggerlo adesso, credo che avessero ragione i miei giudici e li ringrazio per i preziosi giudizi di cui terrò conto. L’esperienza del Torneo la ripeterei ancora perché considero il Torneo una scuola di scrittura creativa impareggiabile e una palestra utile per ogni scrittore esordiente. Leggere i romanzi altrui per capire i propri errori: un’esperienza formativa valida, sempre. E poi sono molto legato a questo Torneo e credo che ogni scrittore esordiente non dovrebbe perdere questa grande occasione per confrontarsi con altri esordienti e per essere letto dagli editor delle case editrici di GEMS.

Grazie per la disponibilità Giuseppe!

Grazie a voi per l’ospitalità.

  

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Recensione di Lucilla Parisi

 

 

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