Tu vedi – mettiamo – una finestra con le grate e le tende leggere. Sei in una scuola, ma in una scuola fortunata dove i bambini sono belli tutti un po’ così. Magari studiano strumento. Che fortuna, ben nutriti, ben vestiti, maleducati e di buone maniere,tutti un po’ così. Ma ce n’è uno ogni tanto al quale i vestiti non cascano addosso. E no, niente capelli fluenti e composti per lui. è forfora quella sulla sua spalla? Sono denti quelli così piccoli? Le mani hanno la stessa pelle della pancia dei rospi ma i genitori non possono immaginarlo perché non sanno come sia. Si stringono nelle spalle ai compleanni, se incontrano qualcuno per strada sorridono e abbassano lo sguardo. C’è qualche bambino un po’ così. ne ho visto uno per caso a un semaforo, sul sedile dietro la macchina lo portava via, forse a scuola, in palestra o al catechismo. Il finestrino era un velo verde quarzo, gli occhi impastati di scuro mentre guardava qualcosa lontano. Ai bambini così stanno bene i piedi nella terra e lunghe collane di foglie. La sera dicono ai ragni dove nascondersi e devono toccare i muri per indovinare quali pareti li contengono. Almeno una volta hanno abbracciato un albero, qualche insetto li ha punti e hanno sentito un brivido peperoncino, ma hanno capito che sotto scorreva una calma più grande ed era la luce raccolta e trasformata in succhi segreti, in un nutrimento antichissimo.
Bambini così hanno vissuto in segreto in mezzo agli altri giorni da profughi e da internati. Hanno suonato il sambuco e le canne e nessuno ci ha capito nulla. Hanno vomitato la cioccolata a Pasqua nella costernazione generale. Mentre gli altri crescevano, il pane bianco, le patatine e le lunghe sessioni di latte di vacca e biscotti li hanno quasi del tutto avvelenati, li hanno resi lunatici e pingui.
Qualcuno sconcertato cercava di salvarli dicendo: hanno attitudini artistiche. Ma dell’arte nessuno di loro capiva il passaggio intermedio, le qualità sottili, esoteriche e medianiche. Una musica li stanca, i quadri fanno loro lacrimare gli occhi. Da grandi, lo studio e il lavoro sono inspiegabili necessità.
Quando li vedo si rendono subito conto che so chi sono. Allora sollevano il capo come uccelli sul trespolo. Ottusi, calmi. So che aspettano il momento giusto per levarsi in aria, poco importa se dovranno spezzare catene a colpi di becco. Casa loro è il cielo terrestre. E voleranno.
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