Ha inizio la settimana della Cucina della Pasqua oggi, secondo il Calendario del Cibo Italiano. Per contribuire alla festa di cui è ambasciatrice Silvia Lanconelli del blog MoglieDaUnaVita ( qui trovate il suo post ufficiale), mi sono documentata riguardo ai Bocconotti Calabresi grazie alla mia amica Maria Giovanna e a suo marito Antonio, di cui vi ho già parlato altre volte e grazie ai quali ormai sei anni fa io e il mio ciclista abbiamo conosciuto un po' della loro terra, la Calabria ( per la parte del cibo e per un breve racconto).
Il cibo nella Calabria popolare del passato ha avuto un ruolo cardine, vivificante, salvifico, soprattutto nelle ricorrenze religiose, come segnale di condivisione ed elemento di comunione. I dolci venivano preparati solo poche volte all'anno, in occasioni di speciali ricorrenze con significato rituale legato a feste religiose e popolari. Un tempo, le feste religiose nei paesi di tutta la regione venivano vissute con grande partecipazione delle comunità interessate; ad esse si associavano spesso rituali folkloristici piuttosto antichi, molti dei quali risalenti al periodo di occupazione spagnola, con preparazioni di cibi e pietanze speciali. Il tempo della festa coincideva con sapori forti, intensi, grassi, robusti ed elaborati: in questi momenti trionfava il desiderio d'evasione di tutti i partecipanti vessati da mesi di povertà alimentare e di stenti quotidiani. La festa era partecipazione corale, condivisione di banchetti rituali, e coincideva con lo stare insieme, vivendo cerimonie familiari e sociali intrise di valori elevati, valenze religiose, cerimonie nelle quali il cibo assumeva un senso miracolistico.
Questo valeva soprattutto per le feste pasquali: dopo il tempo di Quaresima, caratterizzato da un'alimentazione molto parca e semplice, la Pasqua era un modo per evadere dalla monotonia e dalla povertà quotidiana, e su tutto il territorio regionale venivano preparati diversi tipi di dolci caratteristici: pie o pittapie e mustazzoli nel vibonese, pretali e susamelle nel reggino, cuzzupe nel crotonese e bocconotti nel catanzarese e nel cosentino.
Molte di queste cose si ritrovano ancora oggi, in tempi moderni: la ricorrenza rituale e folkloristica legata alla festa religiosa, il coinvolgimento della popolazione e la cucina robusta sono elementi chiave della cultura calabrese che permangono anche ai giorni nostri.
La mia amica Maria Giovanna vive a Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, ma suo padre era originario di Nocera Terinese, un paesino della stessa provincia, e ancora oggi lei e la sua famiglia trascorrono lì qualche giorno di vacanza, non solo in estate ma anche durante il periodo di Pasqua. Qui, la sera del Venerdì Santo e del Sabato Santo si svolge il rito dei vattienti, che trae le sue origini dalla pratica dell'autoflagellazione diffusasi a partire dal Medioevo, che aveva la funzione di penitenza ed espiazione dei peccati. Il vattiente, vestito con maglietta e slip neri, scalzo e seminudo, indossa una corona di spine fatta in realtà con asparagi selvatici e batte con veemenza sulle proprie cosce due strumenti, il cardo e la rosa: si tratta di dischi di sughero, il primo con incastonate schegge di vetro, dette lanze, atte a provocare ferite, e il secondo invece liscio e levigato, che serve a tamponare le parti delle cosce che subiscono l'autoflagellazione e a ripulirle dal sangue che fuoriesce copiosamente.
A tale pratica, brutale e piuttosto toccante, tutta la popolazione nocerese assiste ogni anno con grande partecipazione ed entusiasmo. Il coinvolgimento della gente, però, è anche di tipo gastronomico: durante il rito, le persone che abitano al piano terra aprono le porte delle loro case offrendo cibo ai vattienti ma anche ai passanti, esortando chiunque ad entrare per rifocillarsi e arrivando ad offendersi in caso di rifiuto. Tra i sostanziosi cibi offerti, non mancano i bocconotti (in dialetto buccunotti o bucchinotti, nome che deriva dalla loro piccola dimensione che li rende mangiabili in un solo boccone), dolcetti di pasta frolla farciti con marmellata d'uva o con cioccolato e mandorle.
I bocconotti sono in realtà diffusi non solo in Calabria, ma anche in Puglia ed in Abruzzo: ovviamente, ogni regione li rivendica come propri e ne reclama l'autenticità; a seconda della provenienza, il ripieno racchiuso all'interno dell'involucro di pasta frolla subisce delle modifiche.
In Abruzzo, i bocconotti sono un PAT di Castel Frentano, in provincia di Chieti, ma sono tipici anche di Montorio al Vomano, in provincia di Teramo. In questa regione i dolcetti sono bagnati con il tipico liquore Centerba. La prima menzione ufficiale del bocconotto si trova nel Vocabolario Abruzzese di Domenico Bielli.
In Puglia, i bocconotti sono un PAT sia di Bitonto, in provincia di Bari, che di Gallipoli, in provincia di Lecce: la versione leccese prevede un ripieno di mandorle e amarene, mentre il bocconotto di Bitonto è farcito con ricotta e canditi.
In Calabria, questi dolcetti sono un PAT di Mormanno, in provincia di Cosenza, ma sono noti anche quelli di Amantea: i primi erano un tempo farciti con la tradizionale mostarda d'uva, che lascia il posto oggi a semplice marmellata fatta in casa, rigorosamente, però, di uva nera; i secondi, invece, sono ripieni di cioccolato, mandorle tostate e cannella. In entrambi i casi, una volta cotti vengono cosparsi di zucchero a velo. Gli stampi adatti alla preparazione di questi dolcetti sono ovali o rotondi, ma rigorosamente piccoli, con i bordi ondulati e svasati, in metallo.
Anche sulle origini dei bucconotti vi sono tre versioni, una abruzzese, una pugliese e una calabrese: sembra l'inizio di una barzelletta, in realtà si tratta solo di leggenda popolare.
Secondo alcuni, le origini di questi dolcetti sono da ricercare in Abruzzo intorno alla fine del 1700, quando furono importati in Europa cioccolato e caffè: si narra che una domestica di Castel Frentano, per omaggiare il suo padrone goloso di questi due nuovi prodotti, inventò un dolce che ricordava la forma di una tazzina di caffè realizzando l'esterno con la pasta frolla e riempiendo l'interno con caffè, cioccolato e mandorle. E' per questo che, in Abruzzo, fino agli anni Cinquanta si aggiungeva al ripieno dei bocconotti anche un chicco di caffè.
Secondo altre fonti, invece, il bocconotto sarebbe originario delle Murge, in Puglia, opera dei contadini dell'entroterra.
Ma la realtà sembrerebbe dare ragione ai calabresi: a Mormanno, infatti, già dal 1300 venivano preparati dei dolci molto simili, le varchiglie - cucinate dalle monache per le tavole dei vescovi - scrigni di pasta frolla che racchiudono un ripieno di farina di mandorle e zucchero, che devono il loro nome alle apposite forme di metallo a forma di barca in cui vengono cotte. A partire dal 1800, poi, nelle case dei cosentini comparvero i bocconotti: le grandi forme di metallo delle varchiglie vennero sostituite da piccole formine, sempre di metallo, e il costoso ripieno di farina di mandorle venne rimpiazzato con una più reperibile marmellata d'uva fatta in casa.
La ricetta dei bocconotti che vi propongo è di Angela, sorella di Antonio e quindi cognata di Maria Giovanna, nicastrese DOC da generazioni (Nicastro è una delle circoscrizioni comunali di Lamezia Terme). Maria Giovanna, nel cercare la ricetta, aveva interpellato prima un'anziana zia di Antonio, la zia Rosa, che non ricordava molto bene la ricetta a differenza della nipote, ma di una cosa, mi ha raccontato Maria Giovanna, era più che certa: " si vua ca ti nesciunu bbuani, ch'ha di mintiri 'u strutto! " ( = "se vuoi che ti vengano buoni, devi metterci lo strutto!").
Prima della ricetta è necessaria una precisazione: ovviamente non è stagione d'uva e la marmellata per il ripieno, ammetto, non l'ho fatta io. E però, si tratta lo stesso di marmellata fatta in casa, e non da una persona qualsiasi ma proprio da lei, Maria Giovanna. Quando il mio ciclista ed io siamo stati loro ospiti a Lamezia, nel 2010, assaggiammo la marmellata di uva nera fatta dai suoi e ce ne innamorammo; a distanza di anni, a novembre 2015, abbiamo ospitato il "fratellino" di Maria Giovanna qui per il Lucca Comics & Games e, tra le varie delizie cibarie che ci ha portato in dono, Maria Giovanna si era assicurata di farci avere anche un po' della sua marmellata... Che ho custodito gelosamente, forse in cuor mio sapevo che ci sarebbe stata la giusta occasione per valorizzarla al meglio e farla conoscere anche ai miei lettori, chissà! 😉
La ricetta della marmellata d'uva nera è molto semplice, anche perché Anna Maria, la madre di Maria Giovanna, come tutte le donne alle quali viene naturale stare in cucina, va molto a braccio (" per avere una ricetta come si deve da 'ste donne devi fare domanda in carta bollata", Maria Giovanna dixit): lavare l'uva e separare i chicchi, metterli in una pentola e cuocerli fino a che non sono ammorbiditi, quindi passarli col passaverdure (anzi, per la precisione con un attrezzo che in dialetto viene chiamato " crivu", una sorta di cesto fatto di giunco utilizzato come setaccio ma anche per essiccare pomodori, olive e fichi e, ancora, per dare agli gnocchi la loro classica forma rigata) per rimuovere bucce e semi, infine rimettere succo e polpa sul fuoco e cuocere, cuocere, cuocere (" ci vuole una bombola di gas! ", il commento di Maria Giovanna). Solo alla fine si assaggia per sentire se c'è bisogno di zucchero, ma spesso non è necessario poiché l'uva nera è molto dolce di suo. Alla fine, per essere certi che sia pronta, si fa la classica "prova piattino", ossia si versa un cucchiaino di marmellata su un piattino tenuto qualche ora in frigo: se la goccia scivola con una certa difficoltà, significa che la marmellata è cotta al punto giusto ed è pronta per essere invasettata in barattoli sterilizzati.
Il connubio tra la delicatezza della pasta frolla, che costituisce l'involucro esterno del dolce, ed il sapore più deciso della farcitura interna, che sia di marmellata d'uva o di cioccolato, conferiscono al bocconotto caratteristiche uniche che lo rendono una specialità apprezzata ovunque, e che sono felice di aver scoperto grazie a Maria Giovanna e alla sua famiglia. Un grazie speciale va quindi a lei, a sua madre Anna Maria, ad Antonio, a sua sorella Angela e a zia Rosa, non solo per le ricette più o meno a braccio, ma anche per essersi prodigati per me, con racconti, battute in dialetto e tanta pazienza! Scrivere questo post è stato davvero divertente, oltre che piacevole E adesso, finalmente, la ricetta dei bocconotti.
I Bocconotti Calabresi di Maria Giovanna
- PER LA FROLLA:
- 250 g di farina 00 + quella per la spianatoia + quella per gli stampini
- 45 g di fruttosio (o 50 g di zucchero)
- ½ limone (scorza)
- 1 pizzico di vaniglia in polvere
- ½ bustina (7-8 g) di baking powder (lievito non zuccherato né vanigliato)
- 65 g di strutto
- 2 uova
- burro per gli stampini
- PER IL RIPIENO:
- 180 g di marmellata di uva nera (ricetta sopra)
- 35 g di acqua
- 30 g di fruttosio (o 35 g di zucchero)
- 35 g di cioccolato fondente
- 45 g di farina di mandorle
- 15 g di cacao amaro
- 1 puntina di cannella
- 1 albume
- Impastate dolcemente tutti gli ingredienti per la frolla iniziando col setacciare la farina con il fruttosio (o zucchero), la scorza di limone, la vaniglia ed il lievito, quindi unite lo strutto a tocchetti e lavoratelo fino ad ottenere un composto sabbioso; incorporate infine anche le uova e lavorate la pasta fino a renderla omogenea. Formate una palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigorifero per almeno un'ora.
- Nel frattempo, preparate il ripieno per i bucconotti al cioccolato: versate l'acqua in un pentolino assieme al fruttosio (o zucchero); non appena questo sarà sciolto aggiungete il cioccolato a pezzetti facendo sciogliere anch'esso, quindi unite la farina di mandorle, il cacao e la cannella precedentemente setacciati, mescolando ininterrottamente e lavorando sempre sul fuoco, che dovrà essere bassissimo. Quando gli ingredienti saranno ben amalgamati spegnete il fuoco e lasciate intiepidire. Nel frattempo montate a neve ferma gli albumi, quindi uniteli delicatamente al composto facendo attenzione a non smontarli. Lasciate raffreddare, coperto da pellicola.
- Trascorso il tempo di riposo della pasta, stendetela molto sottile (si gonfierà in cottura) su di una spianatoia infarinata ed utilizzatene poco più di metà per rivestire i vostri stampini, precedentemente imburrati ed infarinati, facendo in modo che la frolla sbordi di circa ½ cm; riempite gli stampi rotondi con la marmellata d'uva e quelli ovali con il ripieno al cioccolato (o viceversa) a circa 1 cm dal bordo, quindi stendete la restante frolla ed utilizzatela per chiudere i bocconotti, sigillando bene i bordi della copertura con quelli in eccesso del rivestimento sottostante (per fare quest'operazione vi consiglio di lavorare con le punte delle dita inumidite: è importante che i bocconotti siano ben sigillati o si apriranno in cottura); eliminate la pasta in eccesso esercitando una leggera pressione con il mattarello sul bordo degli stampini. Infornate a 170° C per circa 20 minuti.
- Una volta sfornati i bocconotti lasciateli raffreddare a temperatura ambiente, quindi sformateli, cospargeteli di zucchero a velo e servite.
Vi lascio una piccola testimonianza, in versi, tratta dal volume " Le radici della catalpa" di Leone Francesco Maria Carino, nel quale mi sono imbattuta durante le mie ricerche: attraverso una storia interamente in versi, l'autore utilizza l'albero (la catalpa), che assorbe con le sue poderose radici il nutrimento dal terreno, come metafora dei personaggi, legati come da un cordone ombelicale alla loro terra d'origine, Conflenti, paesino situato sui fianchi del monte Reventino in provincia di Catanzaro. L'estratto che riporto è un racconto di uno dei personaggi legato ai dolci tipici del paese, in forma poetica e coinvolgente... Buona lettura
La Triade della Ghiottoneria: Mostaccioli, Crespelle e Bocconotti C'era lo spianatoio e la rasula*,Che si coceva con tanto rimestìo,Son dolci fatti come le conchiglie,
come le sorridenti bomboniere,
che serbano di dentro una mostosa
nocella* densa, rosea e sciropposa.
in un paiolo appeso alla camastra*,
dopo spremuti gli acini allo staccio*
con le mani dolciastre e spaccaticce.
di latta scura le formine ricce;
sei uova e un chilo di bianca farina,
di lievito per dolci una bustina;
= raschietto in metallo utilizzato per tagliare l'impasto e per raschiare i residui di pasta rimasti sul piano da lavoro.
= catena per paiolo.
= setaccio.
= nocciola.
Bibliografia P. Manzi, La cucina costiera del Mediterraneo, eBook, 2013
A. Machado - C. Prete, 1001 Specialità della cucina italiana da provare almeno una volta nella vita, Newton Compton, 2015
L. Elia, Alimentazione e cibo nella Calabria popolare: continuità e cambiamenti di una civiltà antica, Bibliotheka Edizioni, 2014
C. Cipolla - G. Di Francesco, La ragion gastronomica, Franco Angeli Editore, 2013
L. F. M. Carino, Le radici della Catalpa, Pellegrini, 2005
www.comunedicastelfrentano.it
www.taccuinodicucina.it
http://www.saperesapori.it/
http://www.laterradipuglia.it/
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