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I calciatori ed il mobbing: conoscere per valutare

Creato il 11 maggio 2013 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

La controversia in atto tra il giocatore Mauro Zarate e la SS Lazio spa, di cui, secondo notizie di stampa, si occuperà nei prossimi giorni il Collegio Arbitrale costituito tra le parti ai sensi del vigente CCNL dei calciatori, ha dato lo spunto, nei giorni scorsi, a discussioni e dibattiti radio-televisivi che rivelano una certa superficialità, sbrigatività e lacunosità dei necessari fondamenti di conoscenza ed esperienza professionali, per poter approcciare, in maniera seria e con cognizione di causa, il problema in oggetto.

Di quest’ultimo mi ero già diffusamente occupato nelle mie note “Il caso Zarate: come volevasi dimostrare” del 25 marzo scorso cui, pertanto, rinvio, senza dovermi ripetere.

 

In questa sede mi limiterò, quindi, soltanto a considerazioni integrative a corredo di quanto già scritto, soprattutto per correggere alcune errate, erronee e fuorvianti valutazioni, così come emerse dalle discussioni e dai dibattiti summenzionati.

Reputo, infatti, che, al di là di quelle che saranno le decisioni del Collegio Arbitrale nel caso specifico ad esso sottoposto, la pubblica opinione abbia il diritto di avere un quadro generale il più possibile corretto, preciso ed esauriente e, quel che più conta, valido sul piano tecnico-giuridico, così da poter pervenire a valutazioni frutto di una informata coscienza.

A questo proposito, è necessario, innanzitutto, sgombrare il campo dalla convinzione secondo cui il mobbing (dal verbo inglese to mob = assalire) non possa e non debba riguardare lavoratori subordinati ( tali sono, per legge, legge n. 91/1981, i calciatori professionisti) con elevata retribuzione.

Le condotte ed i comportamenti mobbizzanti, infatti, poiché attengono ai diritti, assolutamente indisponibili, in quanto costituzionalmente garantiti e tutelati, all’integrità psico-fisica ed al rispetto della personalità morale del lavoratore, prescindono dal livello reddituale, ancorchè elevato, del lavoratore stesso.

Anzi, posso affermare, sulla base della mia pluriennale esperienza professionale, quale Direttore Generale di Federmanager (Federazione Nazionale dei Dirigenti di Aziende Industriali), che il mobbing viene praticato dai datori di lavoro preferenzialmente nei confronti dei dipendenti apicali.

Di quei soggetti, cioè, che, proprio in funzione dei livelli retributivi raggiunti, è molto più costoso liberarsi mediante la risoluzione del rapporto lavorativo ad iniziativa del datore di lavoro stesso.

Ecco, allora, che, spesso, quest’ultimo, il quale intenda liberarsi di un dirigente ritenuto non più utile o diventato scomodo,anziché ricorrere alla risoluzione del rapporto su propria iniziativa, preferisce adottare una politica di emarginazione e di isolamento del dirigente, inducendo in quest’ultimo un comprensibile stato di forte stress emotivo e di depressione che, talvolta, ha portato e porta anche ad eventi morbosi molti gravi (in qualche caso perfino al suicidio), tale da costringere il dirigente medesimo a dimettersi pur di sottrarsi da una situazione angosciosa e, alla lunga, insopportabile.

 

Ma, tornando allo specifico rapporto lavorativo del calciatore professionista, se è vero che il vigente CCNL allo stesso applicabile ne disconosce il diritto di partecipare agli allenamenti con la prima squadra, qualora egli venga meno ai suoi obblighi contrattuali, ai suoi doveri verso la società e ad obblighi e doveri previsti dalle norme sportive, è altrettanto vero, però, che tali, eventuali mancanze, per poter legittimare la predetta esclusione, devono essere preventivamente e formalmente contestate per iscritto al calciatore, il quale ha il diritto, nei cinque giorni successivi alla contestazione, di svolgere le proprie difese.

Peraltro, il provvedimento di esclusione dagli allenamenti con la prima squadra, a differenza dell’ammonizione scritta e della multa, può essere adottato dalla società solo dopo essersi preventivamente rivolta al Collegio Arbitrale.

In difetto dell’osservanza della descritta procedura, non può essere considerata legittima la suddetta esclusione e, men che mai, eventuali, asserite mancanze del calciatore possono legittimare condotte e comportamenti mobbizzanti, quali reazioni a tali mancanze.  

Oltre al mobbing, esiste un ulteriore profilo di eventuale illegittimità di condotte e comportamenti datoriali. 

Tale profilo è quello dell’eventuale abuso di diritto.

Secondo una ormai consolidata giurisprudenza, in particolare di legittimità, costituiscono principi generali del diritto delle obbligazioni, quelli secondo cui le parti debbono comportarsi secondo le regole della correttezza ( art. 1175 C.C.) e che l’esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede ( art. 1375 C.C.).

L’obbligo di correttezza e di buona fede oggettiva costituisce, secondo la ricordata giurisprudenza, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, costituzionalmente previsto e garantito ( art.2 della Costituzione ) .

Ne deriva che disporre di un diritto non è condizione sufficiente per il suo legittimo esercizio, essendo necessario che tale esercizio sia svolto in concreto con modalità rispettose di criteri di valutazione, giuridica ed extra giuridica, tali da non determinare una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolate del diritto e il sacrificio cui è sottoposta la controparte.

In altre parole, non è consentito e non è legittimo che possano essere conseguiti e conservati i risultati ottenuti mediante atti, di per sé strutturalmente idonei, ma che siano esercitati in modo da alterarne la funzione.

Il contratto, in ogni sua fase, impone a ciascuna delle parti di agire nel bilanciamento e nella salvaguardia dei reciproci interessi, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e da norme specifiche.

Sicchè al giudice compete, a garanzia del contemperamento degli opposti interessi, di intervenire anche in senso modificativo o integrativo di diritti e di obblighi contrattuali.

Non v’è dubbio, dunque, a mio avviso, che i rapporti tra società e calciatori vadano esaminati, non solo sotto il profilo dell’ accertamento di eventuali condotte e comportamenti mobbizzanti, ma anche, ed eventualmente in subordine, sotto quello dell’accertamento di eventuali abusi di diritti, sebbene contrattualmente previsti. 


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