Articolo di Lucrezia Reichlin pubblicato sul Corriere della Sera il 5
agosto 2012
Giovedì a Francoforte è successo
qualcosa di importante che chiarisce come agirà la Banca centrale europea nei
prossimi mesi. I dettagli non sono ancora definiti, ma il quadro generale ora
lo è. Si apre un nuovo capitolo della riflessione sull' evoluzione dell'
architettura economica e politica dell' Unione. La Bce interverrà sul mercato
dei titoli pubblici per calmare i tassi di interesse sul debito di Paesi sotto
stress.
La Bce lo farà, secondo la
formulazione del presidente e del suo staff, non per salvare Stati indebitati,
ma al fine di permettere il funzionamento della politica monetaria: per
comprimere le grandi differenze tra le condizioni del credito dei Paesi dell'
Unione così come sono andate a manifestarsi da un anno a questa parte. Tali
interventi trovano la propria giustificazione in un' analisi secondo cui le
differenze tra i tassi non rifletterebbero solo la capacità dei Paesi di
rispettare gli obblighi con i creditori, ma sarebbero anche il sintomo di una
sfiducia di questi ultimi sulle possibilità di sopravvivenza dell'euro. La
sfiducia sarebbe verso l' insieme dell' Unione e verso i mezzi che si è data
per combattere quella crisi finanziaria che ha colpito non solo noi ma tutto il
mondo. A differenza di quanto dice la parte più conservatrice dell'
establishment tedesco, la Bce ammette quindi che l' azione del mercato genera
tassi di interesse distorti che vanno corretti.
Un altro elemento importante
della nuova politica della Banca centrale è il fatto che rinuncerà al suo stato
di creditore privilegiato, stato che preoccupava gli altri sottoscrittori del
debito, in parte vanificando l' effetto degli interventi fatti nel passato: nel
caso in cui una ristrutturazione del debito fosse necessaria, dunque, la Bce
sarà penalizzata come gli altri creditori. Queste sono novità importanti che
dovrebbero costituire un polmone di ossigeno per Paesi come l' Italia e la
Spagna, ma - elemento chiave della nuova politica - l' intervento della Bce
avverrà solo a certe condizioni. Per beneficiarne, gli Stati dovranno aderire a
un programma di riforma e aggiustamento di bilancio che sarà monitorato dalla
Bce e dall' insieme dei governi dell' Unione attraverso il fondo salva Stati
(Efsf).
La condizionalità degli interventi è necessaria a ottenere l' assenso tedesco e ad alleviare i timori che gli Stati indisciplinati possano usare l' ossigeno che viene dato loro per ritardare le riforme e allentare il rigore di bilancio. La condizionalità ha però un prezzo. Crea incertezze sui tempi e sui modi d' attuazione del programma, sulle responsabilità delle parti e soprattutto sugli effetti politici ed economici di perdita di sovranità degli Stati che si dovranno sottomettere al monitoraggio europeo. L' Italia, che con ogni probabilità dovrà percorrere questa strada, ne sperimenterà presto l' effetto sul suo sistema politico. Ma non c' è solo questo. Il principio della condizionalità sembra contraddire proprio l' analisi su cui l' intervento si basa: se l' Italia paga oggi un tasso di interesse sul suo debito molto più alto rispetto a quello di dieci anni fa, la ragione non è solo il rischio-Italia, ma il rischio sistemico che un' architettura dell' euro incompleta e difettosa ha rivelato in tempi di crisi. L' azione decisa ma condizionale, promessa da Mario Draghi, è il frutto di un compromesso tra anime diverse di un' Europa che non si pensa ancora insieme. Il compromesso è un passo avanti perché dà il tempo di lavorare su altri fronti e in particolare su quello dell' unione bancaria che dovrebbe aiutare a frenare quel processo di rinazionalizzazione dei mercati finanziari che sta distruggendo le basi fondamentali del progetto europeo, rendendo cosi difficile al Sud fare ripartire il credito. Ma non basterà. Per ripartire, l' Europa ha bisogno di innescare un processo di aggiustamento macroeconomico che non sia solo basato sul rigore dei Paesi indebitati. L' aggiustamento deve coinvolgere e responsabilizzare il Nord come il Sud e deve poggiarsi su politiche espansive al Nord che sostengano la ripresa in tutta l' Unione. Allo stesso tempo deve essere permesso un abbattimento graduale del debito. Gli ostacoli alla formulazione di politiche comuni stanno senz' altro negli interessi economici che dividono creditori da debitori, ma anche nella differenza culturale tra un' area conservatrice europea - non solo tedesca - e un' area più progressista che si ispira al modello keynesiano anglosassone. È bene che queste differenze vengano fuori esplicitamente e che accompagnino quel processo politico di maggiore integrazione senza il quale l' Europa non è possibile. Ma, come insegnano gli avvenimenti seguiti alla Prima Guerra Mondiale, i debitori hanno poca voce in capitolo.






