[Articolo di Lucrezia Modugno pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 1/2013]
La domanda tacita, che lascia sul volto del visitatore un’espressione quasi di stordimento, è essenzialmente una domanda di senso: ci si chiede se le opere d’arte contemporanea abbiano un significato e quale sia. Manca, pensano. Follia dell’artista, probabilmente. Non sono in grado di capire. Forse, è anche per questo che le opere d’arte sono sempre state accompagnate da un apparato critico elaborato da filosofi e studiosi. Alcune considerazioni sull’arte furono esposte già da Platone e Aristotele, arrivando a Locke e Kant, per fermarci alla filosofia settecentesca. Non mancarono artisti che pubblicarono trattati sul gusto del loro tempo e la ricostruzione delle vite dei maestri che avevano cambiato il modo di intendere e produrre arte. Tra le biografie più note e complete, va ricordata Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti di Giorgio Vasari, un’analisi da Cimabue a Michelangelo.
Questo costante connubio tra letteratura critica e arte divenne più pressante e importante con l’inizio dell’autonomia dell’arte rispetto alle commissioni che avevano regolato il mercato fino al Settecento. In questo secolo, i Salon francesi, le mostre alle quali partecipavano gli artisti dell’Accademia, furono aperti a tutti i visitatori, non solo agli addetti ai lavori e ai pochi acquirenti, appartenenti alle classi dell’alto clero e della nobiltà. Una maggior fruizione di queste esposizioni delineò chiaramente la funzione del critico d’arte.
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