Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, Sugar, Milano 1964
«La caratteristica più incontestabile della rivoluzione è l'intervento diretto delle masse negli avvenimenti storici. Di solito è lo Stato, monarchico o democratico, a dominare la nazione: la storia è fatta dagli specialisti del mestiere: monarchi, ministri, burocrati, parlamentari, giornalisti. Ma nei momenti cruciali, quando un ancien régimediventa insopportabile alle masse, le masse infrangono gli ostacoli che le separano dall'arena politica, rovesciano i loro rappresentanti tradizionali e con il loro intervento gettano le basi di un regime nuovo. Lasciamo giudicare ai moralisti se sia un bene o un male. Per parte nostra, prendiamo i fatti come si presentano, nel loro sviluppo oggettivo. La storia della rivoluzione è per noi, innanzi tutto, la storia dell'irrompere violento delle masse sul terreno dove si decidono le loro sorti.»Ma l'irrompere delle masse è sempre guidato da qualcuno, il capo rivoluzione, Robespierre o Lenin, il quale, volente o nolente, emerge dalla massa e la conduce verso il nuovo regime; nuovo regime in cui le masse avranno perso il loro effetto di lava dirompente, saranno raffreddate e contenute dentro il perimetro di una nuova legalità.
«In una società coinvolta in un processo rivoluzionario, le classi si combattono. È quindi del tutto evidente che le trasformazioni che si determinano tra l'inizio e la fine di una rivoluzione nelle basi economiche della società e nel sostrato sociale delle classi, non sono affatto sufficienti a spiegare il corso della rivoluzione stessa, che, in un breve lasso di tempo, rovescia istituzioni secolari, ne crea di nuove, per rovesciarle ancora. La dinamica degli avvenimenti rivoluzionari è determinata direttamenteda rapidi, intensi e appassionati mutamenti nella psicologia delle classi esistenti prima della rivoluzione.»
Finora la storia narra come il rovesciamento delle istituzioni secolari, tramite rivoluzione di massa, abbia determinato la nascita di nuove istituzioni; esse sono riuscite, in poco tempo, a ingabbiare la massa dentro un apparato in cui essa perde, gradualmente, tutto il suo potere “rivoluzionario” cedendolo, necessariamente (?), a un'élite, a un'oligarchia ben temperata che (ri)costruisce intorno a sé tutto il sistema di protezioni e perduranti garanzie che andranno a perpetuare un nuovo sistema di potere, mettendo le masse fuorigioco.
«Il fatto è che una società non muta le proprie istituzioni via via che si determinano i bisogni, allo stesso modo in cui un artigiano rinnova i suoi strumenti. Al contrario: in pratica, la società considera le istituzioni che la opprimono come un dato stabilito per sempre. Per decenni la critica di opposizione serve solo come valvola di sicurezza al malcontento delle masse ed è una condizione di stabilità della struttura sociale: per esempio, tale significato ha assunto, in linea generale, la critica della socialdemocrazia. Occorrono circostanza assolutamente eccezionali, indipendenti dalla volontà dei singoli individui o dei partiti, per liberare il malcontento dai vincoli della mentalità conservatrice e per spingere le masse all'insurrezione.»
Che Trotsky prefiguri anche il ruolo di Beppe Grillo in questo nostro frangente storico è pacifico.Approfittiamo per riflettere intensamente su questo: anche noi, società più o meno civile, consideriamo le istituzioni che ci opprimono (secondo varie modalità) «come un dato stabilito per sempre»? Leggiamo ancora:
«I rapidi mutamenti di opinione e di umore della masse nei periodi rivoluzionari derivano dunque, non dalla duttilità e dalla mobilità della psiche umana, ma dal suo profondo conservatorismo. Poiché le idee e i rapporti sociali rimangono cronicamente in ritardo rispetto alle nuove condizioni oggettive, sinché queste condizioni non determinano un'esplosione, ne conseguono in periodi rivoluzionari, bruschi cambiamenti di idee e di sentimenti che cervelli polizieschi concepiscono puramente e semplicemente come il risultato dell'attività dei “demagoghi”.»
Le nostre idee e i nostri rapporti sociali sono cronicamente in ritardo rispetto alla realtà delle cose. Ostinarsi col riformismo è una delle più grandi fesserie, perché solo la morte riforma. Il problema, come superbamente intravvede Trotsky, è che saranno le condizioni oggettive a determinare un'esplosione sociale – e da qui il rinnovato pericolo che a far da detonatore a tali esplosioni siano i classici «cervelli polizieschi», i migliori garanti dello status quo sotto forma di una amara e violenta presa per il culo.
«Le masse danno inizio ad una rivoluzione non sulla base di un piano organico di trasformazione sociale, ma con la sensazione profonda di non poter più sopportare il vecchio regime. Solo gli strati dirigenti della loro classe dispongono di un programma politico, che tuttavia ha bisogno della verifica degli avvenimenti e dell'approvazione delle masse. Il processo politico essenziale di una rivoluzione consiste esattamente nel fatto che la classe acquista coscienza dei problemi posti dalla crisi sociale e le masse si orientano attivamente secondo il metodo delle approssimazioni successive. Le diverse fasi del processo rivoluzionario, concretizzate dall'affermarsi di partiti sempre più estremisti, traducono una spinta delle masse verso sinistra che continuamente si rafforza, sinché questo slancio non si infranga contro ostacoli oggettivi. Allora comincia la reazione: disillusione in certi ambienti della classe rivoluzionaria, accentuarsi dell'indifferenza, e, successivamente, consolidamento delle forze controrivolzionarie. Questo, almeno, lo schema delle vecchie rivoluzioni.»
E non esistendo più un partito che disponga un programma politico di lotta di classe, si sta qui e si sopporta stocazzo di ancien régime, anche perché tutto sommato si sta più o meno ancora bene, siamo il popolo d'Europa con la più alta percentuale di case di proprietà se non vado errando, frutto di una lungimirante politica di tenuta per le palle sociale che risale al dopoguerra (la casa bene sacro! mi ricordo un dettagliato post malviniano che però non ho appuntato).
A parte.Il 9 maggio è la giornata della memoria delle vittime del terrorismo. Inoltre, il 9 maggio 1936, dal balcone centrale di Palazzo Venezia, Mussolini proclamò «la riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma».