Narra Ovidio nelle sue “metamorfosi”:
Ante mare et terras et quod tegit omnia caelum unus erat toto naturae vultus in orbe, quem dixere chaos: rudis indigestaque moles nec quicquam nisi pondus iners congestaque eodem non bene iunctarum discordia semina rerum.
Nullus adhuc mundo praebebat lumina Titan, nec nova crescendo reparabat cornua Phoebe, nec circumfuso pendebat in aere tellus ponderibus librata suis, nec bracchia longo margine terrarum porrexerat Amphitrite;
utque erat et tellus illic et pontus et aer, sic erat instabilis tellus, innabilis unda, lucis egens aer; nulli sua forma manebat, obstabatque aliis aliud, quia corpore in uno frigida pugnabant calidis, umentia siccis,
mollia cum duris, sine pondere, habentia pondus. Hanc deus et melior litem natura diremit. nam caelo terras et terris abscidit undas et liquidum spisso secrevit ab aere caelum.
quae postquam evolvit caecoque exemit acervo, dissociata locis concordi pace ligavit: ignea convexi vis et sine pondere caeli emicuit summaque locum sibi fecit in arce; proximus est aer illi levitate locoque;
densior his tellus elementaque grandia traxit et pressa est gravitate sua; circumfluus umor ultima possedit solidumque coercuit orbem.
Quel dio che si premurò di mettere ordine in quel caos primordiale e troppo in fretta dimenticato in favore di dei troppo “umani”, non si scordò però di dare agli uomini il più bel giardino cui anche le divinità dell’Olimpo scesero dai loro troni sempiterni per rendere omaggio.
Dalla costa spagnola, scendendo per la Provenza, dove il sole è mite anche in inverno, passando per le alpi dove il sole privilegia sostare nei giorni oziosi d’estate, e giù scandendo per lo stivale, passando per la Grecia, fino a giungere dove gli echi della latinità si mischiano con le culture islamiche, si estende un giardino, dai colori che solo la benevolenza di quel dio, poteva dipingere.
Questo “paradiso” è il peristilio del Mediterraneo, dove nacque la civiltà e dove l’occhio rimane accecato dalla varietà delle gradazioni cangianti in ogni momento del giorno, dove gli odori, forti e pungenti, dolci e sensuali avvolgono lo spettatore ignaro, rendendolo succube. Ognuno dei cinque sensi viene allora appagato.
Mediterraneo è di un verde intenso, di Olmo, Leccio e Faggio, dove l’alloro un tempo sacro ad Apollo ancora oggi si erge come barriera e siepe. Dove il Mirto si specchia a gara con Narciso nelle acque, dove il rovo cresce cespuglioso e spinoso, e dove lo stesso Satana cacciato dai cieli, vi precipitò l’11 ottobre e ogni anno a causa di ciò in tal giorno, il maledetto esce dall’inferno e torna sulla terra per scagliare la sua maledizione contro il pungente cespuglio.
Mediterraneo, reso nobile dai colori di grandi pittori, reso sublime dalle parole di eccelsi poeti ma reso eterno da gente semplice che dalle sue acque ha tratto nutrimento, che dalla sua natura ha ricavato con sudore sostentamento, croce e delizia, porto di partenze e crocevia di culture.
Quel dio narrato da Ovidio, quella divinità dallo sguardo benevolo ha voluto regalare all’umanità uno scorcio di paradiso, ma quei dei che si sono sostituiti a lui col passare dei secoli, hanno ridotto quello scorcio di Eden in una macchia che per quanto colorata e viva possa essere rischia ora di estinguersi.
Mediterraneo