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I confini del linguaggio

Creato il 21 maggio 2015 da Speradisole

imagesI CONFINI DEL LINGUAGGIO

Il linguaggio delimita il mondo in cui viviamo. Lo hanno detto molti pensatori nel corso dei secoli, come ad esempio il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. Ecco, soprattutto nell’epoca contemporanea dove la comunicazione è diventata l’elemento centrale in ogni lavoro e in ogni azione compiuta dall’uomo, il linguaggio, se è possibile, diventa ancora più rilevante per l’essere umano e le sue molteplici relazioni.

Le parole che usiamo nella nostra quotidianità sono quelle che ci caratterizzano, ci identificano con un profilo e non con un altro. È il nostro vestito sociale. Conoscere una determinata terminologia permette di entrare in contatto con alcune realtà e non conoscere, invece, ci obbliga a essere semplici spettatori. La differenza è abissale.

Nel mondo della globalizzazione, dove si riesce a raggiungere qualsiasi posto della terra senza troppa fatica e in tempo ben circoscritto, c’è, in realtà, qualcosa che mantiene in vita i confini, i limiti. Si tratta proprio del linguaggio.

E il riferimento non è soltanto alla conoscenza di un’altra lingua. Certo, sapere l’inglese o il tedesco è il modo migliore per vivere in Gran Bretagna o in Germania, ma il linguaggio non si sofferma a questioni dello studio di una o più lingue. La vicenda è più complessa e fa riferimento al significato delle parole.

Anche in politica, per fare qualche esempio, il vocabolario dei vari esponenti politici li pone in risalto nei loro ceti di riferimento. È così per tutti: da Renzi a Grillo passando per Salvini e Berlusconi. Ognuno usa un linguaggio ben preciso per cercare di far arrivare il suo messaggio.

Lo stesso vale per Barack Obama, che è un maestro della comunicazione, in questo ambito, sa muoversi molto bene. Se il linguaggio identifica perfettamente una persona e di conseguenza anche un partito politico, o qualsiasi organizzazione e associazione, lo stesso vale per una parte della sinistra italiana.

Il riferimento è, per esempio,  a Nichi Vendola, o  Stefano Fassina e comunque a coloro che da oltre trent’anni hanno fatto proprio un vocabolario che, invece di farli crescere numericamente nel Paese, li ha fatti arretrare, li ha rinchiusi in un recinto come se fossero degli esseri in via di estinzione. Così, dopo ogni anno che passa, sono sempre meno.

Diminuiscono perché il loro vocabolario è troppo ristretto, semplice e soprattutto monotono. Se per vent’anni le parole d’ordine sono state “No Berlusconi”, “contro Berlusconi” e “antiberlusconismo”, adesso, mentre stiamo assistendo al declino della carriera politica dell’ex presidente del Consiglio, si è trovato un altro soggetto a cui affiancare i “no”, i “contro” e “l’anti”. Si tratta di Matteo Renzi, identificato come il male assoluto, la forte personalità contro cui coalizzarsi per salvare il Paese, il lucignolo che condurrà l’Italia alla rovina, colui che annienterà la parola “sinistra”. Dimenticando che il termine “sinistra” rimane in vita soltanto se si mischia con la rinnovata terminologia di un mondo sempre in movimento, questa parte della sinistra mostra i propri evidenti limiti.

Nessuna proposta programmatica, ma soltanto risposte negative e opposizioni a priori. Non è importante l’idea, quanto essere contro una persona e pazienza se con il passare del tempo, come è successo nel recente passato, si imbarca il Mastella di turno per sconfiggere il “male fatto persona”.

No alle riforme, no alla direzione del partito, no alla legge elettorale, no al presidente della Repubblica, no alle primarie, no al partito che si allarga. A forza di dire no, con l’obiettivo di mostrarsi autentici esponenti della sinistra, ironia della sorte, hanno fatto scelte lontane dal socialismo europeo e così si trovano al fianco di Tsipras, critici verso la moneta unica e sempre più isolati e lontani dal resto del mondo. Si, il linguaggio è il loro recinto. Allo stesso modo si può catalogare il linguaggio particolarmente ristretto del sindacato, che da un po’ di tempo, oltre che a dire sempre “no”, ha come parola d’ordine “sciopero generale”. Sempre le stesse trite e ritrite parole che fanno perdere credibilità.



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