I conflitti mediorientali si giocano sul controllo dell'acqua
Creato il 18 luglio 2014 da Danemblog @danemblog«Ormai il controllo dell'acqua è l'obiettivo strategico principale dei gruppi combattenti in Iraq»: così ha commentato sul Guardian Michale Stephen, vice direttore del think tank Royal United Services Institute in Qatar.
Lo Stato Islamico controlla ormai la maggior parte del corso superiore del Tigri e dell'Eufrate, i due grandi fiumi della Mesopotamia storica, che scendono dalla Turchia fino al Golfo, e da cui dipende il sostentamento alimentare e industriale di Iraq e Siria.
L'obiettivo degli uomini del Califfato è tagliare le forniture verso il sud sciita iracheno: azione che metterebbe in crisi igienico-sanitaria il meridione del paese e che permetterebbe l'avanzata su Baghdad. Controllare le risorse idriche, soprattutto in estate, è diventato quasi più importante dei pozzi petroliferi: che pure non mancano al Dawlah. Il Califfo tratta il greggio siriano di Deir Ez Zhor con la compagnia statale al-Forqan, mentre quello iracheno venduto di contrabbando in Kurdistan, si stima frutti un milione di dollari al giorno.
Come ha scritto Alberto Negri sul Sole 24 Ore, «è in corso una sorta di prima guerra mondiale in Medio Oriente»: per vincerla occorre controllare, più del petrolio, ciò che serve al fabbisogno alimentare.
La scorsa settimana, le forze armate irachene sono state spostate in massa a difendere la diga di Haditha Dam, sull'Eufrate, e la centrale elettrica collegata: perderla, non solo avrebbe significato bloccare il flusso d'acqua a Baghdad, ma anche tagliare oltre il 30% della corrente elettrica della capitale – e, al buio, i blitz dell'IS avrebbero trovato scenario favorevole. La paura era anche che si ripetesse quello visto già nel mese di aprile, quando i miliziani jihadisti presero la diga di Nuaimiyah (sempre sull'Eufrate, nei pressi di Falluja) aprendo deliberatamente le acque sui trecento chilometri quadrati intorno per “annegare” le forze governative. Karbala, Najaf, Babilonia e Nasiriyah, restarono senz'acqua, mentre Abu Ghraib fu completamente inondata: l'Onu ha stimato che 12 mila persone sono rimaste senza casa.
In Siria le alte temperature e le scarse precipitazioni hanno prodotto la più grossa siccità degli ultimi 50 anni, mettendo a rischio tutte le produzioni agricole, ma non è bastato questo a impietosire gli uomini dell'IS, e lo scorso mese hanno lasciato Aleppo per nove giorni senz'acqua – complice anche le riduzioni dei flussi dalla Turchia verso il lago Assad, il principale dei bacini d'acqua dolce siriani –; lo avevano già fatto nel 2012, attraverso il blocco della diga di Tishrin.
La guerra dell'acqua nella regione ha radici storiche, e rappresenta uno dei trigger a sviluppo geopolitico. Dal 1975 dighe e impianti turchi, hanno ridimensionato sensibilmente il passaggio idrico del Tigri e dell'Eufrate: quello verso l'Iraq è stato ridotto dell'80%, e quello verso la Siria del 40. Nell'80, Saddam Hussein drenò le acque delle paludi mesopotamiche per assetare gli sciiti ribelli.
A Gaza, l'altro fuoco riacceso (in realtà mai spento) nell'area, le cose seguono la stressa direzione. La gestione amministrativa della Striscia da parte di Hamas, al potere dal 2007, è stata deleteria: i fondi molto spesso dirottati verso il settore militare, non hanno permesso di mantenere in piedi il sistema assistenziale necessario al sostentamento della popolazione. Tutto questo in un territorio che si contende con Israele l'unica falda acquifera produttiva (pompando insieme 160 milioni di mq all'anno, a fronte di una quantità sostenibile di 50). Emblematico, a proposito, è il caso dei desalinatori (sistemi di potabilizzazione delle acque), che la Comunità Europea in parte finanziò già diversi anni fa, e dei quali non c'è traccia – con i soldi gestiti da Hamas, che sembra siano stati investiti in altri, discutibili, modi. L'Unep (programma ambientale delle Nazioni Unite) già nel 2012 aveva lanciato l'allarme, evidenziando che entro il 2016 il milione e mezzo di abitanti di questo lembo di terra, potrebbe ritrovarsi senz'acqua potabile – il problema, poi, è legato anche all'inquinamento per il forte sviluppo agricolo e per lo scarso controllo dei reflui, circostanza che fa si che il 25% delle malattie a Gaza, sono legate alla pessima qualità dell'acqua.
Anche durante questi giorni di conflitto, la Mekorot (la compagnia idrica nazionale di Israele) continua a fornire acqua agli abitanti della Striscia – così come la Israel Electric Corporation (IEC) energia elettrica – secondo una sorta di "controllo umanitario", che Tel Aviv ha sulle utilities di Gaza. La società idrica invia oltre cinque milioni di metri cubi all'anno, in linea dell'impegno israeliano ad addendum degli accordi di Oslo.
In questi giorni l'organizzazione umanitaria Oxfam e la Croce Rossa Internazionale hanno denunciato un'ulteriore carenza di acqua, dopo che gli F-16 dell'IDF hanno colpito i campi idrici nelle zone di al-Maqwsi e al-Zaytoun. La circostanza non è del tutto chiara: non si sa se i caccia israeliani abbiano messo volutamente nel mirino le strutture d'approvvigionamento idrico – scelta che rientrerebbe tra le violazioni dei trattati internazionali – oppure si sia trattato di un danno collaterale. È noto da tempo, infatti, che Hamas nasconde ingenti quantità di missili anche vicino a questo genere di infrastrutture – oltre che nei tunnel, il cui costo è stimato in 1 milione ciascuno. L'utilità ha ovviamente fini propagandistici che stanno nell'eco mediatica ricadente su Israele, incolpata dall'opinione pubblica internazionale ogni volta che succede che certi obiettivi civili vengono colpiti; quando è invece Hamas stessa a minare la salute del popolo palestinese.
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