Anna Lombroso per il Simplicissimus
Io ho sempre interpretato cone un segno inquietante della infantilizzazione di un paese, una manifestazione di sinistra puerilità di un popolo il mettere in scena sotto forma di sacre rappresentazione con tanto di mascherate e ripetizione di rituali le proprie memorie, rivisitare mediante decodificazione aberrante e quel che è peggio il proprio presente. Trovo ridicoli gli irsuti piccoli esploratori dello scoutismo, i padri pellegrini del Ringraziamento, certe processioni del nostro Mezzogiorno anche perché di sovente sotto gli abiti di eroi e penitenti si celano fior gi manigoldi e bricconi. E sotto le corna degli elmi tra il walhalla e asterix dei figuranti di Pontida, c’è da sospettare che latiti l’attività di pensiero e anche quel po’ di dignità che impedirebbe il ricorso a improbabili travestimenti.
Ha ragione il Simplicissimus, uno dei sintomi dell’inadeguatezza della nostra stampa, dedita al commento ad personam più che alla cronaca, che nella sua apodittica perentorietà avrebbe a volte il pregio di svelare il tragico dietro al ridicolo, è la sottovalutazione del fenomeno leghista. O forse la sopravvalutazione ammirativa di quello che oggi si mostra nella sua tremenda potenza come un disegno esplicitamente eversivo.
E se da un lato sorridevano delle ampolle, delle esternazioni becere dei suoi leader, del celodurismo, dall’altro accreditavano la capacità di penetrazione, la sia pur ruspante ingegneria del consenso, addirittura le radici pop del loro rappresentarsi e perché no? anche la matrice antifascista per dirla con D’Alema, sottovalutando razzismo xenofobia barbarie, come se fossero solo attrezzature e strumentazioni di un nuovo modo nazionalpopolare di far politica che spolvera senza convinzione un repertorio arcaico per far presa.
Si ai nostri giornali piace il cinismo, pare loro una manifestazione di modernità, quella che fa accettare le più bieche leggi del profitto e dell’esercizio della prepotenza mercatistica e finanziaria. E pare piaccia anche a quel che resta della sinistra, che ha invidiato appunto il “radicamento”, la presa sulle peggiori inclinazioni collettive, la capacità di impiegare l’egoismo come catalizzatore, il talento di mettere insieme campanile e chiesa per dare forma a un conservatorismo che intride tutti i comportamenti pubblici e privati.
E come ammiravano quei sindaci di Treviso e di Legnano che la mattina accompagnati dal vigile montavano sulla vecchia Panda e andavano a ispezionare lampioni, marciapiedi e soprattutto panchine perché non ci si sedessero impropriamente e immeritatamente individui diversamente colorati.
Non ricordo se il termine “sindacalismo territoriale” sia di matrice giornalistica o sociologica, ma il male era fatto: dare nobiltà a fenomeni che sono al di sotto del corporativismo glocalistico, attribuire statura di “popolo” a istanze al di sotto della “massa” per non dire della “plebe” sottoproletaria, incosciente di diritti e doveri, giocando a un gioco perverso nel quale etnos ha avuto il sopravvento su demos.
È imperdonabile che sia stato favorito quell’imbarbarimento del populismo per il quale in presenza di una crisi economica a morale, si realizza una saldatura tra un ceto medio impaurito di precipitare verso bassi redditi e impoverimento dei livelli di consumo e quella base sociale del rancore localistico, ripiegata nell’egoismo e nell’avversione. Che è diventata una coalizione tra spaesati, orfani dei valori del lavoro, strangolati dai mutui e dai debiti, diffidenti dello Stato fantasmatico e inadeguato e ancor più dell’Europa chiusa nella retorica finanziaria, quindi spinti sempre di più verso una deriva di isolamento, chiusura, rifiuto risentito.
La tentazione di interpretare il fenomeno leghista come una meteora – peraltro si direbbe lentissima- destinato a temperarsi e integrarsi nelle logiche della globalizzazione, ha fatto sottovalutare invece la sua profonda e intrecciata interdipendenza con il “berlusconismo” fondato su quello che è stato definito l’”individualismo proprietario”, fatto di una combinazione ripugnante di corruzione, personalismo, conversione del bene pubblico e dell’interesse generale in profitto personale, intento a imporre le regole di una modernità regressiva che nega diritti e valori del lavoro, delle persone, dell’istruzione e della competenza, della bellezza e della democrazia.
A questo regime animalesco e primitivo piace una società individualistica e frammentata in quelli che sono stati definiti i “coriandoli” concentrati nella loro diffidenza, nel loro isolamento, nel loro rancore. Perché i coriandoli sono fragili e basta un soffio di vento a farlo volare via. Ora tutti speriamo che quel vento abbia cominciato a alzare la caligine e che nella confusione faccia ritrovare una identità, un pensiero comune di libertà e di dignita, che ci faccia vedere il pericolo dietro al ridicolo degli elmi di Pontida o del parrucchino di Arcore, per farci ricordare del futuro che volevamo.