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I CRIMINALI DELLA PORTA ACCANTO:L’Omicidio del Canaro

Creato il 15 agosto 2011 da Yourpluscommunication

Il Mito a Roma è una parola che si può associare a tutto: ai suoi monumenti, alla sua storia, alla sua cucina e anche ai suoi delitti. Dalla Banda della Magliana, a Jonny lo zingaro, al massacro del Circeo, all’omicidio dell’Olgiata, risolto ultimamente dopo oltre 20 anni. Tutto si contorna di motivazioni, di personaggi, di particolari che travalicano il crimine e diventano racconti popolari. Una di queste è sicuramente stato l’omicidio compiuto dal “Canaro”.

L’AMBIENTE E LO SFONDO SOCIALE

I CRIMINALI DELLA PORTA ACCANTO:L’Omicidio del Canaro

PIETRO DE NEGRI "ER CANARO"

La sua, è una storia che ha diviso enormemente la gente che l’ha seguita trepidante, alcuni con orrore e riprovazione, altri con un certo assenso tipico di chi vede come una forma di giustizia popolare la rivolta e la vittoria del piccolo sul grande, del debole sul forte.

E sarà in qualche modo esattamente così questa storia fatta di soprusi e violenza, follia e sangue. Tutti ottimi elementi per un thriller di qualità ma più che sulle pagine di un libro di Edgar Allan Poe sono stati scritti su verbali e giornali dell’epoca.

La Magliana, figlio della speculazione edilizia più vergognosa, è nato come quartiere dormitorio negli anni ’60, al di sotto del livello del Tevere. Ai tempi del boom economico, era una sorta di baraccopoli con intorno una serie di palazzoni alienanti, una rete fognaria molto approssimativa, pochissimi servizi e molta umidità.

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MAGLIANA DAL FILM "UCCELLACCI UCCELLINI" 1967

Infatti, rispetto a quelle immagini, il panorama non cambia di molto con l’avvento degli anni ’80 quando qualche negozio in più e qualche giardinetto non hanno cancellato la solita sensazione: essere nella parte emarginata della capitale, essere in quei quartieri dormitorio che divennero esempio per altre cementificazioni selvagge.

La Magliana, poi, ha sempre avuto un tasso di criminalità alto rispetto ad altre zone, la famosa “Banda” ne è l’esempio lampante.

Il quartiere era, ed è ancora, una buona piazza di spaccio di ogni tipo di droga. Piazza di cui Giancarlo Ricci era uno dei piccoli padroni.

Ex pugile dilettante, alto, forte, arrogante, prepotente ma soprattutto violento Giancarlo Ricci, gestiva in modo mediocre la sua zona di spaccio ma, era leader nel “muovere” le mani se serviva.

Questo era un buon motivo per temerlo e rispettarlo.

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GIANCARLO RICCI

Er canaro aveva un negozio di toelettatura e lavaggio per cani. Tutti l’hanno sempre definito gentile, disponibile, generoso e inoffensivo. Amante della musica e della figlia non aveva mai dato segni di intemperanza o di cattiveria.

Il suo aspetto fisico (mingherlino, basso e con l’aria di chi si aspetta poco dalla vita, un rassegnato) era l’esatto contrario di Ricci che, come si dice a Roma, aveva invece l’espressione di chi “se la comanda”.

Lo si poteva vedere a partire dalla sua moto, dal fatto che parcheggiava dove voleva, dalle botte che rifilava a chi lo contrastasse o contestasse, a chi avesse qualcosa da ridire.

Era l’immagine del bullo di periferia, di chi vive sulle paure degli altri.

Il sottomesso Del Negri e il prepotente Ricci. Sembra quasi una favola dei fratelli Grimm, ma questi, sono i personaggi che interpreteranno una commedia dal finale tragico.

GLI ANNI DELLA SOTTOMISSIONE

Il bullo capisce subito che il canaro è la persona giusta su cui riversare la sua rabbia. Inizia a torturarlo psicologicamente e fisicamente.

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IL NEGOZIO DELL'ORRORE

Entrava nel suo negozio e spaccava tutto ciò che trovava, sporcava i cani appena lavati e picchiava ferocemente la sua cagnetta.

Faceva di tutto per rendergli la vita insopportabile.

Era diventato la sua valvola di sfogo. E il canaro sopportava.

Del Negri subiva non solo come una vittima ma, quasi, come quello che si fa fare tutto questo per acquisire la stima del persecutore, quasi, come a voler entrare nella sua “cerchia” di amici ed essere considerato “rispettabile” nel quartiere tanto quanto il Ricci e soprattutto da Ricci.

Il professor Ammanniti, noto psichiatra, dopo i fatti: “La spiegazione va cercata nel rapporto che legava Giancarlo Ricci e Pietro De Negri, in cui il primo, il persecutore, agisce in modo violento e il secondo, la vittima subisce passivo ed impotente. In questa dinamica fra i due c’è una complice accondiscendenza”.

Accondiscendenza o paura di ritorsioni? E’ una linea sottile quella che divide le due condizioni.

Linea che si unisce il giorno in cui De Negri decide di dare le chiavi del negozio al Ricci per derubare l’esercente a fianco.

A finire dietro le sbarre, però, fu solo il canaro.

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INTERNO DEL NEGOZIO DI DE NEGRI

Doveva sentirsi orgoglioso Del Negri il giorno che uscì di prigione tanto da ritenere giusto il fatto che metà del bottino gli spettasse di diritto per il silenzio.

Per quel “colpo” perse la moglie e la figlia che, se ne andarono di casa.

Un risarcimento gli era dovuto.

Ma non fu così.

Ricci oltre a non dargli niente iniziò a sbeffeggiarlo, a deriderlo e a picchiarlo. In quel momento, la pazienza del canaro finì.

L’ATROCE VENDETTA

E’ il 18 febbraio 1988 quando la vendetta di De Negri, er Canaro, prende forma.

Era un giovedì freddo e il Ricci andò nel negozio di De Negri, che era anche il suo personale deposito di cocaina, per prendere delle dosi. De Negri con una scusa lo convinse ad entrare in una delle gabbie che teneva per alloggiare i cani in attesa del lavaggio e lo chiuse all’interno. Cosa gli passò per la mente in quel momento nessuno può immaginarlo. Il suo persecutore, il suo aguzzino fisico e mentale, il suo punto di riferimento maligno era in suo possesso alla stregua di un cane da lavare.

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GABBIA DOVE VENNE RINCHIUSO RICCI

Alzò lo stereo al massimo, come era sua abitudine e cominciò.

Stava per iniziare uno dei momenti più cruenti nella storia del crimine italiano.

Prima di bruciargli gli occhi con la benzina, lo stordì con una bastonata. Lo trascinò fuori dalla gabbia e lo mise su un tavolo legandolo ben stretto.

Con delle tronchesi, dalle mani, amputò pollici e indici.

Er Canaro non voleva che quello che prima era il suo aguzzino adesso sua vittima morisse subito dissanguato.

Doveva soffrire.

Cauterizzò le ferite bruciandogli della benzina nelle mani.

Iniziò a deriderlo, offenderlo, schernirlo.

Il suo persecutore era lì inerme e ormai rinvenuto.

Alle 16.00 il Canaro andò a prendere sua figlia a scuola per portarla dalla madre e ritornò al negozio.

Continuò a torturarlo per ore: mutilò Ricci del naso, delle orecchie, della lingua e infine dei genitali gridandogli: “ A Giancà, ma quale uomo, sei una femminuccia”.

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IL TAVOLO DELLE TORTURE

Il Canaro continuò a offenderlo, schernirlo e ad accanirsi sul corpo ormai senza vita: “…sentivo il desiderio di smontarlo” scrive nel memoriale – confessione subito dopo il suo arresto “Continuavo a parlargli e m’incazzavo perché era già morto e continuavo a infamarlo. Di tanto in tanto gli sferravo calci addosso… Ancora oggi sono convinto che lo rismonterei di nuovo tutto. Non nego che sto a posto con la mia coscienza. Ritengo che solo chi ha conosciuto il Ricci Giancarlo o chi ne ha subito oltraggio, può capire il mio stato d’animo, le mie emozioni che m’hanno portato al mio diabolico gesto….L’incubo era finalmente finito. Invece dovevo riscontrare che era appena cominciato“.

La sua opera di “smontaggio”, finì la sera intorno alle 22.00.

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IL CORPO BRUCIATO DI RICCI

Un modo, forse, per avvertire il suo micro mondo del quartiere che il tiranno era morto. Che l’invincibile Golem era stato distrutto.

Il corpo di Giancarlo Ricci fu ritrovato la mattina successiva, alle 8.30, da un contadino che avvistò quel sacco di plastica che ancora bruciava e dove riconobbe la sagoma di un uomo.

L’EPILOGO

Le prime indagini si indirizzarono nel mondo dello spaccio di droga. Non erano inusuali ai tempi queste modalità per fare scomparire traditori o concorrenti. Ma un amico di Ricci, che lo aveva accompagnato in Via della Magliana e che era stato allontanato dal negozio dal De Negri, indirizzò gli inquirenti nella direzione giusta.

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ARRESTO DEL CANARO

Durante il processo alcuni esperti lo ritennero incapace di intendere e volere. Un’incapacità dovuta all’uso massiccio di cocaina per questo, dissero, se si fosse disintossicato non sarebbe stato una persona pericolosa alla società.

Di risposta er Canaro invece prese tutte le sue responsabilità: “…Non sono pazzo, ho compiuto quel massacro per amore di giustizia e sono pronto a rifarlo…non solo mi sono vendicato delle angherie subite, ma ho liberato il quartiere da un infame…Prendevo cocaina per farmi coraggio, ma ero e sono lucidissimo. Sono un uomo e sono disposto a pagare il mio debito con la giustizia. Se qualche perizia mi dovesse dare torto mi ucciderò” e ancora : “ Adesso alla Magliana staranno tutti festeggiando”.

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PROCESSO AL CANARO

La storia dell’omicidio del Canaro finisce qui, ma non finisce qui l’aura che contorna questa vicenda tanto che “Elio e le storie tese” lo citano in un pezzo del 1996 “Li mortacci”: «Ce piace sfreccia’ sur raccordo anularo, ma a notte inortrata ce invita Er Canaro a facce du’spaghi».

E trova spazio anche nella musica underground capitolina con Chicoria, rapper romano legato alla crew del Truce Klan (collettivo musicale romano conosciutissima non solo nella capitale, famosa per i suoi testi diretti e violenti), che in una strofa della canzone “Crepa” dice: «Finisci come Ricci in mano ar Canaro dà magliana, esecuzione alla romana».

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PIETRO DE NEGRI TORNA LIBERO

E’ una storia di rivalsa sbagliata, malata.

Pietro De Negri, non era un serial killer non era un malavitoso abituale, non era neanche un maniaco omicida è e resta solo l’omicida della porta accanto.

Un giorno di follia incontrollata per riacquistare una vita 17 anni dopo, l’ultimo regalo al suo persecutore.

Alessandro Ambrosini

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