Abbiamo parlato di Madre Agnès-Mariam de la Croix in occasione della sua visita in Italia dello scorso luglio, riportando il resoconto di una sua conferenza tenuta a Roma. Madre Agnès, suora carmelitana, superiora del monastero siriano Deir Mar Yocoub (San Giacomo mutilato), si è impegnata attivamente in questi mesi nel fornire sostegno umanitario alle vittime del conflitto siriano e nel promuovere una riconciliazione fra le parti in lotta, nonché nel testimoniare all’estero una versione dei fatti sulla crisi stessa spesso ben diversa rispetto a quella proposta dai media internazionali. Lo scorso settembre la Madre Superiora è stata nuovamente in Italia e ha incontrato il presidente della Camera Gianfranco Fini assieme ad alcuni rappresentanti di MotoForPeace, ONLUS costituita da appartenenti a Forze dell’Ordine italiane e straniere, la quale ha fornito tre ambulanze e materiale sanitario al Monastero di San Giacomo perché possa meglio svolgere l’attività di soccorso alle vittime della tragedia siriana. Giacomo Guarini, direttore del Programma “Dialogo di civiltà” dell’IsAG, ha incontrato ed intervistato Madre Agnès per noi.
Vuol dirci anzitutto qualcosa sulla realtà dei cristiani d’Oriente e sul ruolo che lei attribuisce a queste comunità religiose?
Credo che la presenza cristiana in Medio Oriente sia originaria e costitutiva della realtà umana di quest’area, ed è affidataria di una missione ereditata dall’Ebraismo, ma che acquista una portata universale in quanto rivolta all’intero genere umano. I cristiani e la Chiesa Orientale sono come degli inviati in missione nella regione del Medio Oriente, e qui hanno convissuto prima con l’Ebraismo e poi con l’Islam, con uno spirito di condivisione ed una fraternità che viene dal cuore. Voglio dire che il cristiano d’Oriente non ha fatto guerre e non ha adottato la violenza come mezzo di potere. Il Cristianesimo d’Oriente è invece un cristianesimo di mediazione, la qual cosa da un lato si spiega con il suo essere minoranza, ma anche con il fatto che esso ha vissuto il suo stesso essere minoranza come un servizio all’altro; sicuramente il momento storico dell’incontro fra Cristianesimo ed Islam, nel secolo VII, fu un incontro provvidenziale fra le due grandi culture semitiche. La cultura islamica, allora appena nata, nell’incontro con la cultura cristiana è fiorita in magnifiche realizzazioni culturali, filosofiche, religiose, finanche mistiche e questo è uno dei punti luminosi della strada del cristianesimo orientale. Per questo un cristiano d’Oriente non si vede profondamente diverso dai musulmani, perché le radici sono le stesse: radici comuni nei valori semiti, nella lingua, nella gerarchia familiare e anche nella scrittura sacra, perché il Corano riprende molto del contenuto della Sacra Bibbia. Tutto ciò è innegabile, ma esistono zone oscure della storia, come quando l’Islam ha avuto deviazioni estremiste oppure, d’altro canto, con l’avvento delle Crociate, che non hanno certamente aiutato il Cristianesimo d’Oriente a dettare il buon esempio ed hanno invece creato una frattura rimasta fino all’Impero Ottomano. Ai tempi dell’Impero, i cristiani furono spesso considerati come stranieri, come sostenitori dell’Occidente, ma questo fu una sorta di pregiudizio, perché la verità è che anche nell’Impero Ottomano i cristiani hanno lavorato accanto ai musulmani per dar vita ad una grande civiltà, fino a quel grande fenomeno che è stato il Rinascimento arabo, che ha dato alla luce i grandi movimenti panarabi oggi in crisi. Il Cristianesimo non può però essere un movimento politico; con il panarabismo i cristiani hanno fondato movimenti politici, il Baath o il Partito Popolare Siriano, perché volevano dare la possibilità ad un cristiano di essere uguale al suo fratello musulmano in seno ad uno Stato secolare. Credo però che oggi il Cristianesimo si trovi di fronte ad un bivio e in una delicata fase di transizione, perché la visione panaraba ha fallito, mentre prendono piede movimenti religiosi come il wahhabismo o la Fratellanza Musulmana, che vorrebbero fare del Medio Oriente la Ummah islamica. Il cristiano non vuole questo e ciò che può fare è richiamarsi alla sua libertà come persona, giacché la forte commistione fra il politico ed il religioso che va profilandosi è un qualcosa di problematico. Credo che nel loro ruolo di responsabilità i nostri patriarchi stiano facendo validamente sentire la voce del popolo cristiano, il quale chiede il rispetto dei suoi diritti umani fondamentali in opposizione ad un idealismo estremo, che pretenderebbe l’accettazione incondizionata di un Islam radicale e la rinuncia da parte dei cristiani alle loro prerogative essenziali. Ritengo che simili posizioni siano contrarie al senso d’umanità e il cristiano deve porre chiaramente, ai movimenti politico-religiosi islamici o di altra confessione, il problema se le loro concezioni politiche stiano o meno perseguendo la giustizia e l’ordine sociale, perché l’amore non ha alcun prezzo senza la verità. Oggi la voce dei cristiani deve essere una voce profetica e come tale deve prendere le distanze dalla politica per richiamare la giustizia sociale; non più panarabismo, dunque, ma riconoscimento dell’identità di ciascuno. Non possiamo accettare l’affermazione di Stati confessionali che soffochino le confessioni diverse da quella ufficiale e per questo dobbiamo anche superare la tentazione dell’irenismo: non vi è infatti dialogo, né giustizia, né amore se permettiamo che gli estremisti possano imporci ogni cosa. Grazie a Dio, le comunità cristiane sono molto unite in tal senso.
Quindi per lei simili problemi si sono affermati con maggiore serietà allo scoppiare degli ultimi grandi rivolgimenti, ribattezzati in Occidente come “Primavere”?
Quali primavere, mi domando? La primavera richiama vita, sicurezza, speranza; io non ho visto nessuna primavera, né in Libia, dove migliaia di persone hanno pagato con la vita questa guerra umanitaria, ma fino ad oggi non ho visto alcun risultato benefico nemmeno in Egitto, dove i rivoluzionari lamentano il furto della loro rivoluzione, i cui frutti sono stati presi da un movimento settario. Ed in Yemen, ancora, quale primavera? In Siria, dove vivo, non vedo spinte sincere per la libertà e la democrazia, ma caos e molte tragedie terribili; se per ottenere libertà e democrazia si ammazza la popolazione, si minaccia la stabilità sociale, si distruggono le infrastrutture e si compromette il futuro del paese, non possiamo parlare di rivoluzione ma di complotto o, meglio, di invasione.
Vuol dirci qualcosa di più proprio riguardo allo scenario siriano, che si ritrova ad affrontare in prima persona?
Per me la Siria è paese d’adozione (Madre Agnès è libanese di origine paestinese, ndr). Ho scoperto un popolo davvero stimabile, perché fino ad oggi le diverse componenti del popolo siriano non si sono armate per fare la guerra l’una contro l’altra, malgrado tutte le pressioni e manipolazioni che hanno spinto in tal senso. Per mesi bande armate sconosciute hanno compiuto crimini accanendosi di volta in volta su una diversa comunità: per esempio si sono presi di mira ad un certo momento gli alawiti, poi i sunniti, poi i cristiani, per far sì che le diverse fazioni prendessero le armi l’una contro l’altra. Ma non ci sono riusciti. Il popolo siriano nella sua maggioranza ha confidato nell’esercito e nel governo. E poi esiste una grande solidarietà: se una persona ha bisogno di aiuto, trova aiuto nel prossimo, senza che gli venga prima chiesto se sostiene i lealisti o l’opposizione. Io credo che forse questa situazione tragica possa rappresentare una sorta di purificazione per la Siria, ma il partito al governo deve essere in grado di cambiare e in parte lo già sta facendo; negli anni la corruzione è aumentata moltissimo e purtroppo gli errori commessi si sono riversati sul popolo senza colpa. Il popolo sta pagando con la sofferenza, ma non vuole un cambiamento mediante violenza, ingerenza esterna e imposizione internazionale. Parliamo di un popolo nobile, che desidera davvero la propria indipendenza ed autodeterminazione ed è dunque importante che la comunità internazionale si faccia attenta a questa istanza di cambiamento e allo stesso tempo di non-ingerenza. La soluzione, come ha anche scritto in una lettera il nostro Patriarca, risiede nella riconciliazione. Si tratta di una terza via, né politica, né militare; una via di dialogo e di negoziazione fra le diverse componenti del tessuto sociale siriano: fra tribù, famiglie, gruppi religiosi, culturali, etnici. Questa via per me è fondamentale, la sola possibile, e sta dando pian piano i suoi frutti.
Cosa ha da dire sulla condotta dei media internazionali nella gestione della crisi siriana?Purtroppo l’informazione nel mondo sedicente libero è sempre più filtrata ed orientata, è diventata pura manipolazione e demagogia. Possiamo dire che non si segue l’evento, ma lo si precede per farlo accadere. E’ un totalitarismo del pensiero: non è possibile prendere una posizione diversa o che contraddica il pensiero unico. Si coprono crimini commessi da un lato, se ne montano di falsi dall’altro; abbiamo a che fare con gente senza scrupoli che usa tutti i mezzi possibili per arrivare ad una conclusione interessata. Eppure stiamo forse assistendo, soprattutto nei mezzi di comunicazione di lingua inglese, ad un cambio apparentemente sostanziale, almeno per quel che riguarda la questione siriana. Comincio a vedere nell’Indipendent, nel Mail on Sunday, nel Guardian, nel Washington Post, nel Los Angeles Times giornalisti onesti, che guardano in faccia alla realtà e hanno il coraggio di descriverla per com’è. Lo apprezzo molto. Credo d’altronde che la cosa sia da collegarsi anche al fatto che la comunità internazionale si trovi ora in una impasse per l’opzione militare, dal momento che la violenza indotta in Siria non sta dando i frutti aspettati. Oggi, se si vuole insistere sulla via militare, vi sarà un confronto regionale e forse anche oltre le dimensioni regionali. Per questo le voci della sapienza, della pazienza, della riconciliazione devono farsi sentire, ora più che mai.
Nelle crisi in corso, ed in quella siriana in particolare, possiamo vedere – per grandi linee – una differenza nella percezione dei fatti e nelle reazioni anche in seno alla stessa comunità cristiana, fra i cristiani d’Oriente da un lato e quelli d’Occidente dall’altro?
Io credo che il cristiano cerchi gli stessi principi di libertà e democrazia, ma anche di amore, giustizia, uguaglianza, a prescindere dalla propria collocazione geografica. Ma i cristiani d’Occidente spesso subiscono un lavaggio del cervello mediatico, a causa della potenza della manipolazione dei mezzi d’informazione. Molti cattolici, soprattutto direttori di testate o di organizzazioni, non possono vedere oltre la prospettiva della classe politica e, riguardo alle questioni di cui stiamo trattando, prendono appassionatamente posizione con titoli graditi, dal sapore idealista, che parlano di “primavera” e di “libertà”, anche se la realtà va nel verso opposto. Spesso non si vede l’ipocrisia delle grandi potenze che pretestuosamente fanno la voce grossa per la protezione della popolazione civile, si dicono pronte a fare una guerra umanitaria, di protezione dei civili, e nel contempo danno armi e munizioni a bande armate di cui si ignora l’origine. L’insurrezione armata si infiltra nelle aree residenziali della popolazione civile e terrorizza la stessa. Ma questo vale anche per i patrimoni culturali dell’umanità. Gli antigovernativi avrebbero ‘liberato’ siti archeologici come Palmira o il più importante castello fortificato dell’era delle Crociate, Krak de Chevalier. Ma quale senso ha liberare simili luoghi? Ciò vuol dire in realtà usare come scudi dei patrimoni culturali di valore inestimabile, cosa fra l’altro proibita dalla Convenzione di Ginevra. Sono cose che dobbiamo mostrare all’Occidente.
E’ un paradosso che le potenze occidentali non si stiano facendo scrupoli nel sostegno, anche indiretto, a combattenti di cui spesso può provarsi la matrice ideologica fondamentalista; un paradosso nella misura in cui per più di 10 anni siamo stati invece abituati alla necessità della guerra globale e totale al terrorismo ed al fondamentalismo…
E’ davvero inconcepibile; larga parte dell’Esercito Libero Siriano è composto non da disertori, ma da una grande percentuale di stranieri, spesso di matrice fondamentalista, di quella galassia legata ad al-Qaeda, ai salafiti, o anche di criminali e contrabbandieri. Inoltre, si è parlato di recente sul Mail on Sunday della presenza di almeno un centinaio di truppe britanniche, mentre lo spagnolo ABC si domanda come sia possibile fare la rivoluzione per la libertà e la democrazia con persone armate che gridano “Allah akbar”. Il fondamentalismo è stato manipolato dalle grandi potenze: la lotta al terrorismo è stata un pretesto per scatenare guerre e poi si è finito per usare questi stessi terroristi come forza da combattimento per scatenare altre guerre. Un atteggiamento inconcepibile da parte dell’Occidente, una strategia da crimine organizzato.
Problemi come la crisi siriana, o altri gravi che affliggono diverse regioni del globo, dimostrano a suo parere la necessità di ripensare il funzionamento della diplomazia e delle istituzioni internazionali, nonché la distribuzione dei poteri a livello globale?
Credo sia necessario anzitutto pensare ad un nuovo diritto internazionale, perché quello ora vigente è bellicoso; è come finalizzato al mantenimento di uno status quo fra nemici. Ma oggi la situazione è cambiata; non vi è più confronto ideologico ma di interessi, principalmente economici. Per questo si deve fondare un nuovo diritto internazionale dove le Nazioni Unite non siano mezzo di potere degli Stati Uniti ma un Senato mondiale preposto all’equilibrio internazionale. Un simile progetto ha bisogno di molti sforzi; credo comunque che oggi il monopolio degli USA non possa continuare e un mondo multipolare rappresenta una grande occasione per fare emergere un nuovo ordine mondiale fondato sulla collegialità responsabile. Credo che nel mezzo degli stessi eventi molto dolorosi che affliggono il Medio Oriente stia emergendo un nuovo polo per un nuovo mondo, che romperà l’egemonia inaccettabile degli USA, la quale non è finalizzata alla libertà come si dice; pensiamo solo a tutte le guerre causate, a partire da quella in Vietnam, senza beneficio per nessuno. Poi come cristiani non dobbiamo dimenticare che la natura ha un suo ordine e le pretese umane non possono marciare verso la distruzione della natura stessa. Gli Stati Uniti, anche qui, non hanno firmato il Protocollo di Kyoto. Terra e cosmo sono sotto la responsabilità di tutti gli uomini e Stati e non invece sotto la proprietà di un solo Stato. Infine, altro fondamentale aspetto riguarda il modo in cui un popolo vuole darsi il proprio profilo politico. Al riguardo, non è vero che la democrazia è l’unica via possibile, tantomeno quella occidentale. E’ necessaria piuttosto una democrazia fra Stati, a livello internazionale, nella quale ciascun paese abbia il diritto di autodeterminarsi. L’attuale ingerenza sugli affari interni dei singoli paesi, con il suo tono moralizzante, è in realtà una manipolazione, un’ingerenza volta a far trionfare gli interessi delle grandi potenze.