Magazine Diario personale

I'd rather be sleeping

Da Margherita

Stasera mi sento come nel periodo peggiore della mia permanenza a New York. Ho passato quasi tutto giorno, come ogni giorno, davanti al computer, cercando di terminare un progetto, editando articoli, tentando di prenotare una visita in ospedale. Non ho più forze.
Ho provato a stare da sola, ho provato a cucinare, anche se non ho fame. Ho tagliato cipolle per farci la zuppa. Non riesco a stare da sola senza che qualcosa mi occupi le mani e la mente. Tendo con una certa facilità a visualizzare coltelli e a dirmi che non devo permettermi di visualizzare coltelli, perché non è un buon segno.
Dovevo uscire, ma alla fine starò a casa, cercando di stordirmi per sopportare la solitudine. Solo che in casa non c'è alcol, se non un fondo di grappa di medio livello che mi portavo in giro quando la temperatura scendeva sotto zero, o quando sapevo di essere diretta in un locale dove non servono superalcolici. Sono una di quelle persone ridicole che posseggono una fiaschetta, ma in genere nessuno me lo viene a dire, perché la faccio girare.

Stasera mi sento così sola che non riesco neanche ad immaginare come farò ad uscire dal letto domani mattina. L'aspetto più ridicolo nella mia pressoché imperitura solitudine è che il mondo sembra pieno di persone che vogliono essermi amiche, solo che nessuna è mai qui, a portata di mano. E io devo stare qui, in questa città di merda in cui alle sette e mezza tutti i supermercati sono chiusi, così va sempre a finire che sacrifico quel minimo di spesa che dovrei fare per terminare di stendere un capitolo, perché poi rimetterci mano diventa un incubo.

Quando ero una giovinetta, mi sentivo spesso dire che era bene smussassi gli angoli, per non rischiare di trovarmi da sola. Dovevo farmi più soffice, più accondiscendente, più umile. Dovevo stare zitta. Dovevo smetterla di vantarmi di quello che avevo fatto.
Alla lunga ho cominciato a vergognarmi di quello che di buono e notevole avevo raggiunto, perché avevo sempre il timore che qualcuno pensasse che mi ero montata la testa.
Da non so quanti anni mi sento ripetere che devo limitare il sarcasmo. Devo fare finta che il sarcasmo non sia stato una delle mie armature più solide, quando ero in balìa degli elementi. Devo smetterla di dire le cose come stanno, perché dire le cose come stanno è una peculiarità delle persone depresse, che ci fanno schifo, com'è noto.

Ho smussato gli angoli, ho imparato a mediare, a fare a meno di usare certe parole. Ho scoperto che il mio super-potere è attirare persone depresse e incasinate. Le persone depresse e incasinate solo tra le poche che stanno ad ascoltarmi quando apro bocca per dire qualcosa che a me pare rilevante.
Potrei esprimermi meglio, in questo momento, ma il succo è questo. Persone depresse ed incasinate. Poche, in ogni caso. Perché sono un soggetto difficile, a quanto pare, e non è poi servito a molto che io mi rimpicciolissi fino a scomparire. Alla fine, eccomi, sono qui. Scrivo perché è l'unico modo che ho per parlare con una persona che sia in questa stanza.

Mi sposto, e non è mai finita. Le ossa a pezzi. Giorni senza parlare veramente. Le notti in bianco. Le voragini che si aprono ogni volta che qualcuno se ne va. Le voragini che si aprono ogni volta che sono io che me ne vado. Il richiamo dei boschi, e la paura di andarci da sola. Le volte in cui vorrei solo che qualcuno venisse da me e mi parlasse di qualcosa di lieve, lasciandomi il tempo e lo spazio per intervenire. Le volte in cui esco di casa da sola, perché mi sento sul punto di implodere, e allora divento quella figura orribile e nerovestita che cammina con il passo sgraziato di chi ha portato troppo gli anfibi. Le volte in cui mi dico che tanto vale fare la scelta che si palesa come più stupida, perché lo so starò male in ogni caso.


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