I dannosi rapporti tra cibo, carburanti e finanza

Creato il 24 ottobre 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Timothy A. Wise

Su Triple Crisis, un blog che ha come sottotitolo Global Perspectives on Finance, Development and Environment, Timothy Wise ha scritto, il 18 aprile di quest’anno, che proprio quando pensi che i legami perversi tra cibo, carburanti e finanza non potrebbero essere peggiori, ti arriva la notizia che Vitol, la più grande impresa indipendente di commercio del petrolio al mondo, è entrata nel commercio di grano, assumendo una squadra di Viterra, in Toronto. A tal proposito, aggiunge Wise, Javier Blas nel Financial Times ci ricorda che Viterra è stata comprata di recente da Glencore, che è forse il più grande speculatore globale nel commercio di beni.

Per i poveri del mondo non è una bella notizia. Questi hanno già sofferto negli ultimi sei anni tre impennate dei prezzi alimentari, provocate in parte dalle speculazioni finanziarie sui beni agricoli, l’energia e i metalli, e si sono appena liberati del naufragio immobiliare e del crollo dei titoli finanziari. Questi accordi delle multinazionali, anche se non cambiassero niente, sono un forte segnale di un sistema, quello del cibo, ormai in rovina.

Vitol non è sola naturalmente. Mercuria, un’altra impresa di commercio dell’energia, di recente ha assunto operatori commerciali della Morgan Stanley per costruirsi un portafoglio di beni agricoli. Il legame non potrebbe essere più chiaro: un’impresa di scambi energetici assume una banca d’investimento per accedere ai beni agricoli. Secondo Blas, l’iniziativa denuncia che nel campo energetico i profitti stanno calando a causa della volatilità troppo bassa dei prezzi. Va ricordato infatti che le imprese di scambio speculano, non investono. Esse hanno bisogno di grandi e frequenti variazioni di prezzo per guadagnare. E se c’è una cosa che caratterizza i beni agricoli, questa è la volatilità.

Secondo Blas, l’estendersi ai mercati agricoli delle imprese che commerciano in petrolio è naturale, perché permette loro di avvantaggiarsi del rapporto tra benzina/diesel e i biocarburanti. Esse possono usare la loro conoscenza del mercato dell’energia per agire sul mercato agricolo, in un contesto in cui le variazioni dei prezzi del petrolio trascinano i prezzi agricoli.

Un recente rapporto Oxfam spiega che la connessione va anche nell’altro senso. I Quattro Grandi del commercio di grano (Archer Daniels Midland, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus, noti come ABCD) hanno investito molto nella speculazione finanziaria sugli stessi prodotti che controllano.

L’anno scorso l’UNCTAD ha evidenziato questi rapporti perversi. Nel 2002, prima dell’aumento dei biocarburanti e dell’influsso dei mercati finanziari sui prezzi delle merci, le variazioni di prezzo di petrolio, beni agricoli e titoli finanziari erano indipendenti tra loro. Le variazioni dei titoli avevano una tendenza opposta a quelle di petrolio e beni agricoli; tanto che gli esperti nella gestione dei portafogli raccomandavano di investire in beni per contrastare le perdite in titoli.

Ma nel 2012 questo compenso non esisteva più. Le variazioni nella stessa direzione suggeriscono che la domanda/offerta di petrolio e quella di beni, che restano indipendenti tra loro, non determinano più i rispettivi prezzi. L’UNCTAD attribuisce questo fatto all’invasione in questi mercati degli investitori finanziari. Questi infatti sono ancora pieni di capitale speculativo in eccesso che va in cerca di rapidi guadagni.

L’UNCTAD conclude che, a causa di queste distorsioni, i prezzi dei beni in un mercato dominato dalla finanza non esprimono indicazioni esatte circa la scarsità delle merci. Ciò nuoce all’allocazione delle risorse e all’economia reale. Sarebbe urgente un’iniziativa politica su scala globale per ripristinare il funzionamento sano del mercato delle merci. Ma tale iniziativa non c’è ancora, dato che la finanza usa i suoi profitti per indebolire la regolamentazione del commercio con azioni giudiziarie (una battaglia ancora in corso negli USA).

Wise si chiede: perché è importante tutto questo? Perché ciò che accade nei mercati internazionali delle merci deriva da fattori esterni; e la volatilità dei prezzi è molto contagiosa al livello globale.

Basti pensare all’Uganda, che è esportatore di mais. Se il prezzo del mais raggiunge un picco a causa della scarsità del bene, questo livello resta anche dopo che il prezzo mondiale è calato, perché i mercanti locali sono in grado di mantenere le condizioni locali di scarsità. Il 65% del reddito liquido ugandese viene impiegato per l’acquisto di cibo, e la popolazione urbana dipende molto dal mais. Con i prezzi al massimo, i poveri diventano più poveri.

Bisognerebbe far smettere Wall Street di giocare sui prezzi del cibo, e togliere via il cibo dai nostri contenitori di gas.

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