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I dialoghi nella narrazione

Creato il 31 gennaio 2016 da Pamelaserafino
 

A volte i dialoghi svolgono un ruolo essenziale nella costruzione di un racconto, ma perché siano efficaci è importante che siano parte integrante della struttura narrativa di cui devono rispettare il ritmo e lo stile. In altre parole i dialoghi non devono essere un espediente per rendere più semplice la narrazione né devono costituire un corpo di parole scollegato dal significato generale del testo; i dialoghi infatti servono ad illuminare i caratteri, le intenzioni, dei protagonisti, gli sviluppi successivi del racconto.

Di seguito  le caratteristiche che dovrebbe avere un dialogo nella costruzione di un racconto:

- Sintetico. E’ consigliabile un massimo di quindici parole per ogni battuta.

- Semplice. I dialoghi non possono avere un linguaggio troppo forbito (a meno che non sia una caratteristica propria del personaggio)  e devono rispecchiare l’epoca in cui è ambientato il racconto.

- Scorrevole. Imparare a sentire quando il dialogo è stentato, poco credibile o innaturale.

- Corretto. Curare la sintassi.

Si vedano di seguito alcuni esempi

-” Come si sente tenente?- disse Piani. Stavano camminando sul ciglio di una strada affollata di veicoli e di truppe.

- Bene.

- Io sono stanco di questa marcia.

- Be’, ora non possiamo far altro che marciare. Non dobbiamo preoccuparci.

- Bonello è stato uno scemo.

- E’ stato uno scemo sul serio.

- Che cosa gli farà tenente?

- Non lo so.

- Non potrebbe dichiararlo catturato dal nemico?

- Non lo so.

- Capisce, se la guerra continua possono dare dei fastidi seri alla famiglia.

- La guerra non continua- disse un soldato.- stiamo andando a casa. La guerra è finita.

- Stiamo tutti andando a casa.

- Venga, tenente- disse Piani. Voleva allontanarsi da loro.

- Tenente? Chi è un tenente? abbasso gli ufficiali.

Piani mi prese per il braccio.- E’ meglio che la chiami per nome- disse- Potrebbero darle dei guai. Hanno sparato a qualche ufficiale.- Accelerammo il passo per oltrepassarli.

- Non farò un rapporto che metta nei guai la sua famiglia- dissi continuando la conversazione.

- Se la guerra è finita non importa- disse Piani- Ma non credo che sia finita. Sarebbe troppo bello se fosse finita.

- Lo sapremo presto dissi- Non credo che sia finita. Credono tutti che sia finita, ma non ci credo.

- Viva la pace- gridò un soldato. – Andiamo a casa.

- Sarebbe bello se andassimo tutti a casa- disse Piani- le piacerebbe andare a casa?

- Sì

- Non ci andremo mai. Non credo che sia finita.

- Andiamo a casa- gridò un soldato.”

( da Addio alle armi di E. Hemingway)

Nell’esempio citato il dialogo tra il protagonista tenente- medico americano e il suo attendente italiano Piani  ricalca i moduli  del linguaggio di Hemingway diretto ed asciutto, che rende l’immediatezza di un evento.  La marcia dei due soldati verso la salvezza si dispiega direttamente all’attenzione del lettore senza pause meditative e descrittive. Il lettore in questo modo è posto realisticamente al centro della scena.

- Damigella, l’onorevole e reverendo Gran Maestro chiede se sei in grado di presentare un campione che combatta oggi per la tua causa, o se riconosci di essere stata giustamente condannata ad un meritato castigo.

- Riferisci al Gran Maestro- rispose Rebecca- che io riaffermo la mia innocenza, che non mi ritengo giustamente condannata e che non voglio rendere me stessa responsabile della mia morte. Digli che chiedo che mi venga concessa la dilazione consentita dalle sue leggi. Forse Dio che non manca mai di intervenire opportunamente negli estremi mali, mi manderà un liberatore. Quando la dilazione sarà trascorsa, si farà la Sua volontà!

L’araldo si ritirò per comunicare la risposta al Gran Maestro.

- Dio non voglia- disse Luke Beaumonoir -che un ebreo o un pagano possano accusarci di ingiustizia! Finché le ombre della sera non avranno invaso il cielo da Occidente a Oriente, noi resteremo in attesa che un campione si presenti a sostenere la causa di questa sventurata donna. Quando il giorno sarà trascorso, essa dovrà prepararsi a morire.

L’araldo comunicò a Rebecca le parole del gran Maestro, ed ella piegò il capo in segno di sottomissione, incrociò le braccia, e volgendo lo sguardo al cielo, parve aspettare dall’alto l’aiuto che non poteva attendersi dagli uomini. Durante quella terribile pausa, la voce di Bois-Guilbert le giunse all’orecchio: non era che un bisbiglio e e tuttavia la fece sussultare più di quanto non avesse fatto l’ingiunzione dell’araldo.

- Rebecca, mi ascolti?- disse il templare.

- Nulla debbo ascoltare da te, uomo crudele e spietato-rispose la sventurata fanciulla.

- E’ vero, ma ascolti le mie parole?- chiese il templare.- Il suono della mia voce spaventa le mi stesse orecchie. Non so più dove siamo e per quale motivo ci abbiano portato qui. Questo campo, codesta sedia, quelle fascine. Io ne conosco la destinazione e tuttavia esse mi appaiono come qualcosa di irreale. Mi sembrano l’immagine paurosa di una visione che spaventa i miei sensi con mostruose fantasie, senza persuadere, però, la mia ragione.

- La mia ragione, invece, se ne rende conto quanto i miei sensi- replicò Rebecca- Entrambi mi dicono che le fascine sono destinate a consumare il mio corpo mortale e a schiudermi un pensoso ma breve cammino verso un mondo migliore.

- Tu sogni, Rebecca sogni- rispose il templare.- Visioni inutili, negate anche dalla sapienza dei vostri sadducei. Ascolta, Rebecca- proseguì animatamente il templare. – tu hai una migliore probabilità di vita e di libertà, a dispetto di quello che credono questi miserabili fanatici. Monta dietro di me, sul mio destriero, su Zamor, il valoroso cavallo che non mi ha mai deluso. L’ho vinto in combattimento singolo contro il sultano di Trebisonda. Monta dietro di me, ti dico. Entro una brevissima ora saremo al sicuro da ogni inseguimento e da ogni ricerca. Un mondo nuovo di gioia si schiuderà per te. Per me una nuova gloriosa carriera. Pronuncino pure la condanna: io la disprezzo; cancellino pure il nome di Bois-Guilbert dall’elenco dei loro monaci schiavi! Laverò con il sangue la macchia che oseranno lanciare sul mio scudo.

- Va’ via tentatore!- Ribatté Rebecca- Neppure in questa estrema contingenza mi smuoverai di un capello dal mio posto; pur essendo circondata da nemici, io ti considero il peggiore di essi. Va’ via in nome di Dio!”

( da Ivanhoe di W. Scott)

Nei suoi romanzi Scott coniuga il gusto per la rielaborazione in chiave avventurosa di situazioni e personaggi storici con un’attenta ricostruzione degli ambienti e dei comportamenti tipici dell’epoca a cui fa riferimento. Questa attenzione per la definizione precisa e ricca di riferimenti alle tradizioni locali (in sintonia con il gusto romantico dell’epoca) si fa sentire anche nell’uso del linguaggio: il recupero delle procedure tipiche delle manifestazioni socio- religiose del Medioevo si accompagna alla scelta accurata dei termini specifici del linguaggio cavalleresco, delle formule che nel Medioevo regolavano i rapporti interpersonali e gerarchici.

I dialoghi si inseriscono all’interno di questo impianto narrativo e non ne tradiscono il senso: Rebecca la bella ebrea perseguitata dai cavalieri Templari che vogliono impossessarsi della ricchezza di suo padre, con coraggio non si .piega al volere del nemico. Dal dialogo traspaiono la tensione della giovane e la sua malinconia.


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