Una delle conseguenze più fastidiose dello stato in cui versano le cose – tutte queste guerre, crisi economiche, violenze, populismi ecc. che quotidianamente funestano le nostre vite, a livello mediatico ma anche e soprattutto pratico – è che, nell’opinione di molti, il futuro ha smesso di esistere. O, più precisamente, ha smesso di esistere come opportunità, come speranza di cambiamento in senso positivo, facendoci arrendere al timore, alla paura che il domani sarà drammatico come l’oggi o forse – probabilmente – anche peggiore. Qualche tempo fa, sul finire di un anno, l’ennesimo, particolarmente difficile, un (per nulla) simpatico economista simpaticamente affermò: “La cosa positiva di quest’anno è che sicuramente è stato migliore del prossimo”. Ecco come far cascare le braccia a un’intera popolazione. Non c’è dunque motivo di pensare che nel 2014 le cose andranno particolarmente meglio: sicuramente scoppierà o continuerà qualche conflitto da qualche parte nel mondo, sicuramente un sacco di gente perderà il lavoro, sicuramente l’ambiente sarà sempre più inquinato, sicuramente morirà qualche personaggio di quelli che ancora ci fanno pensare che l’umanità non è poi così malvagia e via discorrendo. Questo elenco di amenità potrebbe essere praticamente infinito.
Ma facciamo un salto indietro, tornando all’epoca che più di ogni altra, almeno tra quelle dell’ultimo secolo, sembra, secondo alcuni, somigliare alla nostra: la Grande Depressione. A quel tempo, mentre nella vecchia Europa il fascismo faceva quasi ovunque il bello e il cattivo tempo, con le conseguenze che tutti sappiamo, in New Jersey una donna, una semplice cameriera, non se la passava per niente bene: un marito cafone e manesco, un improvviso licenziamento… Insomma, un disastro. Eppure questa donna, di nome Cecilia, a tanti anni di distanza possiamo dire che ce l’ha fatta, o quantomeno che ha trovato un modo per tirare avanti, nonostante la miseria e l’infelicità. Chi o cosa le ha dato una mano in un momento tanto difficile? Be’, ormai dovreste averlo capito, trovandovi su una pagina di un blog dal nome così poco ambiguo. Il cinema, per lei, fu una passione così forte da salvarle la vita. In tutti i sensi. Ma non solo: il cinema la portò in un altro mondo. Migliore, più felice. Un mondo – in bianco e nero – di avventure esotiche e romantiche, di gente elegante e di città dalle mille luci. Forse Cecilia a un certo punto esagerò anche un pochino, visto che il protagonista del suo film preferito, intitolato La rosa purpurea del Cairo, a un certo punto uscì dallo schermo per conoscere quella ragazza che a ogni proiezione, puntualmente, si ripresentava in sala. Ma questa è un’altra storia: difficilmente a qualcuno di noi accadrà la stessa cosa (e, nel caso, cominciate a preoccuparvi). Da Cecilia, però, possiamo comunque imparare molto. Soprattutto – e mi si perdoni se questa cosa sembrerà retorica – ad avere ancora la forza e la voglia di sognare, di evadere dal grigio quotidiano. Ora, non starò a dirvi che il cinema o l’arte salveranno il mondo, perché sarebbe una pia illusione, e nemmeno che un film potrà risolvere l’esistenza di chi si trova a combattere ogni giorno contro ingiustizie, disoccupazione o quant’altro. A leggere alcuni di questi nomi grandiosi che sto per elencarvi, però, a me vengono già i brividi, e tutto sommato un nuovo film di Scorsese o di Wes Anderson può essere davvero una buona motivazione, o quantomeno una molla positiva, per aver voglia di iniziare un altro incerto, forse drammatico, forse tragico anno. “Buttarsi in un cinema con una pietra al collo”, cantava De André. Ma io preferisco piuttosto pensare al cinema come a un luogo in cui questa pietra ce la possiamo togliere davvero. Almeno ogni tanto, almeno per un po’.
Buon anno e buona visione.
- The wolf of Wall Street, di Martin Scorsese: non poteva che iniziare con il Maestro questa breve rassegna dei film più attesi del 2014. Non sono un grande fan dell’ultimo Scorsese (ho amato The Departed, molto meno Shutter Island e Hugo Cabret), ma un suo nuovo film è sempre e comunque un evento. Protagonista di The wolf of Wall Street è il solito Leonardo DiCaprio, che ormai è quasi una garanzia di qualità.
- Her, di Spike Jonze: un altro geniaccio. Sono già passati quasi cinque anni da Nel paese delle creature selvagge, che fu una delusione, ma dall’autore di capolavori come Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee è ancora lecito aspettarsi grandi cose. Ottimo, almeno sulla carta, anche il cast, con Joaquin Phoenix e Scarlett Johansson (di cui però, purtroppo, sentiremo solo la voce. Doppiaggio permettendo, tra l’altro).
- American Hustle, di David O. Russell: il regista è quello di Il lato positivo e The fighter, due film che negli ultimi anni hanno fatto centro al botteghino e incetta di premi e nomination. Lo stile è hollywoodiano all’ennesima potenza e non particolarmente autorale, ma estremamente godibile e ben confezionato. In American Hustle siamo negli anni Settanta e al centro della vicenda c’è una truffa. Il cast è, come si suol dire, stellare: Christian Bale, Bradley Cooper e l’adorabile Jennifer Lawrence, che proprio grazie a Russell, l’anno scorso, ha vinto un Oscar.
- Noah, di Darren Aronofsky: potrebbe essere uno dei film più cafoni della storia del cinema. E d’altronde Aronofsky ci ha abituati a grandi cose ma anche a tonfi clamorosi. Però chissà, magari verrà fuori qualcosa di originale da questa ennesima pellicola biblica. Con Russell Crowe nella parte di Noè (nientemeno) e la meravigliosa Jennifer Connelly, di nuovo con Aronofsky quattordici anni dopo Requiem for a Dream.
- The Grand Budapest Hotel, di Wes Anderson: ecco, dovessi dire un nome per rappresentare il cinema del terzo millennio direi sicuramente Wes Anderson. I suoi film sono tutti stupendi. Punto. E due anni fa Moonrise Kingdom ci ha fatto sognare. In questo nuovo film, ambientato negli anni Venti, il solito cast spaziale: Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Jude Law e via dicendo. Oltre ovviamente all’immancabile Bill Murray. Vorrei vivere in un film di Wes Anderson.
- Grace di Monaco, di Olivier Dahan: su questo film non è che abbia grandissime aspettative, ma tutto sommato mi incuriosisce pensare a Nicole Kidman nella parte di Grace Kelly. Il regista è quello di La vie en rose.
- Il capitale umano, di Paolo Virzì: molti, sicuramente, non saranno d’accordo, ma secondo me Virzì è, insieme a Paolo Sorrentino, il regista italiano migliore e più importante della sua generazione. I suoi ultimi tre film (Tutta la vita davanti, La prima cosa bella e Tutti i santi giorni) mi sono piaciuti tanto ma tanto, e ovviamente mi aspetto grandi cose anche da questo – scelta insolita per il regista toscano – thriller con Valeria Golino e Luigi Lo Cascio.
- Wish I was here, di Zach Braff: già protagonista di una delle serie tv più “generazionali” del XXI secolo (ovviamente Scrubs), Zach Braff ha esordito come regista nel 2004 con La mia vita a Garden State, che non era male. Quasi dieci anni dopo ha deciso di tornare dietro la macchina da presa con un film la cui produzione è stata lanciata tramite una campagna su Kickstarter. I due milioni di dollari necessari per finanziare il film sono stati raccolti in tre giorni. Nel cast, oltre allo stesso Braff, anche Kate Hudson.
- Nymphomaniac, di Lars von Trier: si potrebbe dire che il titolo dice già tutto. Ma per me è il nome del regista, piuttosto, a dire già tutto: von Trier è un maestro del cinema europeo, un genio indiscusso (anzi, molto discusso, ed è giusto che sia così) capace di raggiungere il suo apice creativo a 55 anni con un film, il suo dodicesimo, indescrivibilmente scioccante, Melancholia. Nymphomaniac non sarà sicuramente a quel livello, perché sarebbe umanamente impossibile, ma credo che, al di là delle provocazioni e di tutto quel che si è detto a livello mediatico, sarà un film interessante. Nel cast, oltre a Uma Thurman, Willem Dafoe e il redivivo Christian Slater, anche i due attori feticcio del regista danese, Charlotte Gainsbourg e Stellan Skarsgård.
Alberto Gallo