Ci si avvicina alla zona calda della classifica, dopo la sesta posizione di Massimo Giletti. Devo una precisazione ai commentatori, alcuni dei quali si stupiscono di non avere mai pensato a certi nomi come intellettuali. Il titolo è preciso e parla dei dieci finti intellettuali italiani più ridicoli, l’aggettivo “finti” è stato pensato per solidificare il distinguo fra “intellettuali” e “finti intellettuali”. I nomi della classifica non rappresentano intellettuali, ma per ognuno ho letto o sentito più volte che la nomea circolante è tale. Piaccia o non piaccia, come sostenevo nel post introduttivo:
“Di fronte a una situazione simile, l’intellettuale vecchio stampo è morto, è disarmato, soffre di comunicazione se non si sporcacon quanto è veloce, essenziale, urgente. Perché a soppiantare il suo ruolo ci sono i finti intellettuali, gli intrattenitori senza arte né parte, che però risultano talvolta amati da molti, perché simpatici, perché essenziali, perché veloci nell’esprimere giudizi su qualsivoglia tema dell’attualità. I finti intellettuali sfruttano la televisione, ma sempre più spesso anche internet, con blog e video e collaborazioni che cercano, con la potenza delle funzioni integrate dei mezzi, di aumentare la loro presunta autorevolezza. Amatissimi, ripeto, da un certo pubblico, nonostante ciò non di rado ridicoli per tutta una serie di motivi che andremo a esplorare da mercoledì prossimo, quando sarà rivelato il nome di chi sta al numero dieci della nostra nuova classifica”.
Il personaggio di oggi possiede un legame profondo con il mondo del calcio, del quale si sente esperto, tanto che grazie alla sua mimica inconfondibile ha reso la gestualità un brand da vendere, sul quale fare ridere e discutere. La formazione umanistica e i vecchi fuochi sessantottini riecheggiano in non pochi suoi interventi, quasi a voler tornare nostalgicamente ai tempi andati. Talvolta cade in catalessi improvvisa: Brigitte Bardot scuote tutte le sue viscere, o meglio, è l’immagine dell’artista francese degli anni Sessanta a scuoterle.
Non fuori luogo ricordare che fu collaboratore di Paese Sera, tra i fondatori de Il Manifesto (esperienza che si concluse dopo pochi mesi), direttore responsabile del giornale di Lotta Continua e fece parte della redazione del quotidiano Reporter che forse qualcuno ancora ricorda (credo sia curioso far notare che il finanziatore, oltre al PSI, di tale quotidiano durato neppure due anni, fra il 1985 e il 1986, era un imprenditore lombardo oggi molto noto, nome Silvio, cognome Berlusconi).
La sua carriera cambiò in maniera radicale negli anni Novanta quando divenne ospite fisso del Maurizio Costanzo Show, facendosi conoscere nella sua gestualità (avete presente il braccio incurvato verso l’alto con mano spalancata all’indietro?) e nelle sue taglienti critiche ai fatti e ai personaggi dell’attualità. Se ancora non fosse chiaro sto parlando di Giampiero Mughini.
Ho deciso di inserirlo al quinto posto della classifica poiché la sua furbizia nell’utilizzo di certe espressioni nella televisione va a braccetto con un comunicatore più esperto di marketing che di contenuti. Non basta. Un signore nato nell’area comunicativa sessantottina, vicino alle posizioni extraparlamentari di sinistra e impegnato, a suo dire, fin da giovane sui fronti dei problemi sociali italiani, può oggi, se le leggi fisiche hanno una loro logica, cioè se lancio un grave verso l’alto poi torna in basso, trovarsi a dedicare il suo tempo al serissimo quotidiano Libero e a parlare dei goal di Cassano? Come se Cristo a un certo punto della sua carriera si fosse dedicato, in nome dell’amore e dell’impegno sul sociale, a vendere armi Beretta ai libici.Questi sono i personaggi che con difficoltà riesco a tollerare, coloro che si sono sporcati, sì, sporcati la bocca con ideali di sinistra (dicono che siano della sinistra, ma i miei disordinati studi di filosofia politica mi hanno insegnato a indugiare sulle categorie con prudenza…) per anni e, di sorpresa, parlano di concretezza e di azione, divenendo più materialisti dei materialisti, nei fatti, non a parole. E allora non resta che chiederci se il periodo di fervore politicamente impegnato non fosse nient’altro che un modo come un altro per farsi notare, per sgomitare, per raggiungere una certa popolarità per poi tornare a ciò che l’anima chiedeva in nuce: la superficialità, vero concetto imprescindibile quando si pensa a un opinionista. Mughini è oggi forse uno dei più versatili opinionisti della televisione italiana, la stessa televisione che ha sdoganato i culi e le tette, la volgarità e l’epidermide di ogni argomento, non il derma, diventando tuttologi del tutto tutti insieme al tutto.
Alla prossima, ci sono altre categorie odiose di finti intellettuali.