Vivono come nababbi a spese dello Stato, guadagnano più dei Capi di Stato esteri e ora, grazie ad un emendamento silenzioso, si salvano dalla temuta spending review: questa è la goduriosa vita dei diplomatici italiani.
Come tutte le amministrazioni dello Stato, anche il Ministero degli Affari Esteri era chiamato a un taglio del 20% degli organici dirigenziali e del 10% della spesa complessiva per il personale non dirigenziale. La mannaia di Monti, però, non si abbatterà sui pascià, ma solo sui dipendenti più poveri.
Un emendamento proposto da Paolo Giarretta del Pd e Gilberto Picchetto Frattini del PDL, i relatori della spending review in Parlamento, ha offerto un salvacondotto temporaneo solo al Ministero guidato da Giulio Terzi di Sant’Agata e al personale della Prefettura in corso di accorpamento.
Secondo l’emendamento, il taglio forzato è bloccato finché non sarà la stessa Farnesina a riorganizzare le rappresentanze estere. La rivisitazione delle 319 sedi estere tra ambasciate, consolati e istituti di cultura durerà anni in un continuo tira e molla tra gruppi di interesse locali, parlamentari eletti all’estero e lobby di funzionari ministeriali.
Così l’ambasciatore italiano continuerà ancora a lungo a guadagnare 380mila euro lordi l’anno tra indennità di servizio (esentasse) e stipendio metropolitano a cui vanno aggiunti il 20% di maggiorazione per il coniuge, 5% per i figli, l’indennità di rappresentanza e sistemazione, il contributo spese per residenza e personale domestico e un premio di risultato variabile tra i 50 e gli 80 mila euro.
Per fare due esempi, l’ambasciatore a Parigi guadagna 525 mila euro netti l’anno tra tutte le cose, il console ad Amburgo 228 mila euro all’anno. La sola voce “indennità di servizio” dei 919 diplomatici in servizio ha pesato sul bilancio pubblico per 311 milioni di euro.
La scure, invece, cadrà sulla testa dei figli di un dio minore. Blocco degli aumenti, come succede da dieci anni, per il personale assunto nelle ambasciate con contratti e tariffe locali (che prendono 10 volte di meno di quelli assunti a Roma) e taglio del 40% degli insegnanti di lingua italiana. Per la disparità di stipendio all’interno delle sedi diplomatiche, l’Italia dovrà difendersi in tribunale in India dall’accusa di discriminazione territoriale.
Fonte: Il Fatto Quotidiano