Al Cairo è comune trovare divani in strada. Per Eleonora Gatto sono diventati un’ossessione. E li ha fatti parlare con le sue fotografie. Ci racconta come.
Guest post di Eleonora Gatto - Sono nata da padre calabrese e madre bergamasca, i due estremi dell’Italia, e da ibrido mi piace pensare di racchiudere il meglio cosi’ come il peggio di entrambe le realta’. Sono cresciuta al Cairo, dove alla domanda: “Di che nazionalita’ sei?” rispondevo con fierezza: “Egiziana!”,finche’, dopo due anni in Libia e due in Oman mi sono resa conto che non esistono nazioni, confini o muri (o non dovrebbero esisterne) per cui, mi considero prima di tutto una cittadina del mondo.
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Il Cairo (foto di Eleonora Gatto)
di Eleonora Gatto
Mi ricordo ancora quando, quel 25 gennaio 2011, guardavo con ammirazione le prime immagini di Piazza Tahrir colma di manifestanti, uniti dalla stessa richiesta: far cadere il regime dittatoriale di Mubarak. Mai avrei pensato di ritrovarmi in quella stessa piazza a pochi mesi di distanza a condividere con gli egiziani la loro visione di liberazione.
Ritorno al Cairo
L’impatto con Il Cairo e’ stato un risveglio dei sensi appartenenti a un passato che a tratti sentivo non mi appartenesse più. Solleticati dal caos cittadino, dagli urli gracchianti dei venditori ambulanti, dall’odore suadente delle spezie e dal perpetuo flusso del Nilo i ricordi assopiti di un’infanzia trascorsa al Cairo riemersero con inaudita veemenza. Sarei dovuta rimanere un mese, ma catturata dal suo fascino finii per viverci un anno. Al-Qahira è una città cocciuta con cui ti scontri quotidianamente, ma la sua personalità dirompente spesso lascia il posto a un lato più dolce di fronte al quale qualsiasi risentimento viene a meno. Questa doppia personalità è ciò che la rendeva magnetica ai miei occhi. Era, infatti, in grado di agglomerare opposti capaci di convivere l’uno accanto all’altro suscitando emozioni contrastanti e creando evidenti contraddizioni che davano vita a divertenti combinazioni così come a inaspettati incontri.
Strade del Cairo (foto di Eleonora Gatto)
Vivere al Cairo significava essere investiti da una ventata di stimoli ogni qualvolta si uscisse di casa e io non ponevo resistenza, mi lasciavo travolgere.
Soprafatta dalla curiosità, ogni giorno mi facevo guidare dall’istinto che mi conduceva verso strade secondarie e quartieri periferici ai margini della società alla ricerca di particolari capaci di rendere luoghi, apparentemente segnati dalla durezza della vita, unici. Laddove l’indifferenza distoglieva lo sguardo dalla miseria e l’emarginazione, io coglievo una variegata umanità che sfociava in vivacità d’animo. Solo in questo modo, esplorando i meandri più reconditi, son riuscita a instaurare un rapporto più intimo con la città tanto da far emergere dalle mie fotografie una confidenzialità espressa da ritmi rallentati, da gesti quotidiani e da tempi sospesi. In quell’ossimoro vivente qual’era il Cairo, fu un fenomeno in particolare a destare la mia attenzione fotografica in quanto sembrava rimanere costante rispetto all’incessante moto che animava la capitale. Abbandonati sul ciglio della strada, tanto usuali da passare inosservati, i divani del Cairo sono una perenne presenza negli spazi pubblici. Si adattano a qualsiasi anmbito urbano.
I divani del Cairo – racconta storie
In un’afosa giornata di metà maggio, sotto un sole cocente, trascinavo i piedi nella polvere sollevando al mio passaggio una lieve nube che, subito dopo, si posava nuovamente su quelle strade deserte e silenziose. Attraversata a mezzogiorno, la Città dei Morti (*vedi nota a pié pagina) appare come un qualsiasi cimitero, in realtà dietro le imponenti porte degli antichi mausolei si sentiva il chiacchiericcio delle famiglie riparatesi dall’arsura pomeridiana. Camminavo incuriosita da quella necropoli vivente seguendo con lo sguardo le linee armoniche e curvilinee delle cupole e delle mura. La stanchezza si fece sentire all’improvviso, senza preavviso ed io, istintivamente, sprofondai in un divano abbandonato sul ciglio della strada. Era consumato: i braccioli di legno erano instabili e la base completamente sfondata, ma aveva comunque adempiuto al suo dovere, quello di accogliere un’esausta passante in cerca di sollievo.
I divani del Cairo – Città dei morti (foto di Eleonora Gatto)
Fu un gesto automatico quello di sedersi, ma la bizzarria d’averlo fatto su un divano lasciato per strada mi divertì. In quel quartiere dove il tempo sembrava dilatarsi, mi capitava spesso di approfittare della tranquillità per perdermi, non solo per le intricate vie, ma nei miei pensieri. Così, in quell’occasione cominciai a domandarmi a chi potesse appartenere quel divano, quante altre persone si fossero sedute su di esso, di quanti eventi dev’essere stato testimone e a quanti racconti deve aver ascoltato. La mia fantasia sprigionò una serie infinita di personaggi, trame e intrecci che animarono le strade desolate del quartiere. Finché, ben presto, mi resi conto che era il divano stesso che mi stava narrando ciò che lui aveva assorbito dalle gocce di sudore di coraggiosi avventurieri, dai fugaci sospiri di giovani innamorati divisi e dalle attese impazienti di viaggiatori in partenza. Mi narrava ciò che i più loquaci, una volta accomodati su di esso, avevano raccontato al vento, alle formiche, a un passante o al divano stesso in perenne ascolto. Tutti momenti che la polvere del divano aveva conservato affinché potessero essere tramandati a chiunque si fosse posto in ascolto.
I divani del Cairo – Città dei morti (foto di Eleonora Gatto)
I divani del Cairo – Midan Tahrir (foto di Eleonora Gatto)
I divani del Cairo -Manseyyhat Nasr (foto di Eleonora Gatto)
Da quel giorno, pensai ai divani del Cairo non più come a oggetti inanimati, ma come a raccontastorie urbani e l’interesse divenne ossessione. Ovunque mi recassi scrutavo vicoli, angoli e fessure alla ricerca di un divano, e quindi di una storia. Il contagio fu immediato tanto da coinvolgere anche le persone a me vicine che spesso mi mandavano indicazioni accurate sulla posizione di un divano dal quale avevano colto un racconto. Non era difficile scovarli, ci si imbatteva in essi quasi quotidianamente, ma nessuno fino a quel momento aveva mai pensato di immortalarli. Fotografarli ha significato creare delle scenografie urbane nelle quali attori inconsapevoli entravano e uscivano liberamente dalla scena creando un’empatia visiva con lo spettatore. Quest’ultimo viene accompagnato per le vie della città attraverso la presenza costante dei divani, i quali son in grado di trasmettere ad ognuno un racconto diverso a secondo della predisposizione dell’osservatore.
Da tenere in considerazione è anche il ruolo che ricoprono in un periodo quale quella post-rivoluzionaria. Non a caso li trovai anche a Tahrir. Posizionati ordinatamente sul bordo della piazza avanzavano le proprie richieste attraverso un manifesto che li sovrastava, la loro partecipazione rispecchiava l’impegno politico che aveva investito l’intero Paese. Anch’essi, da testimoni inconsueti, contribuiscono alla narrazione degli eventi storici degli ultimi anni. In definitiva, questi divani hanno subito un’evoluzione che ha permesso loro di assumere caratteristiche proprie di un processo di trasformazione che ha investito tutti gli ambiti, da quello sociale a quello politico, culturale e… urbanistico. Vale quindi la pena approfondire la questione per comprendere meglio la loro importanza.
La rivoluzione, anche socio-urbanistica
(foto di Eleonora Gatto)
Dovete cercare di immaginare una metropoli che oscilla tra una cifra ‘ufficiale’ di 17 milioni di persona e una di credo popolare che arriva ad un improbabile 30 milioni. Una metropoli in continua espansione che si alimenta di frenesia cittadina originando un vortice di caos nel quale, però, vi son quartieri che hanno trovato il loro spazio-respiro vitale nell’informalità’. Una realtà, quest’ultima, rafforzata dagli ultimi avvenimenti legati alla Primavera araba egiziana.
L’iniziale crollo delle strutture gerarchiche, seguito dall’attuale instabilità ha creato una dimensione libertaria dalla quale si e’ sprigionata un’inimmaginabile ondata di creatività artistica, culturale e ideologica in tutta la capitale. Liberati da un governo dittatoriale che ha soffocato le loro aspirazione per anni, gli Egiziani hanno avviato un processo di ri-appropriazione degli spazi pubblici e d’autogestione dello spazio urbano. Un’evoluzione che non e’stata sufficientemente compresa dai media, soprattutto occidentali, che si son limitati a documentare l’ovvietà’. Infatti, negli ultimi anni, hanno mostrato i fatti più eclatanti: scontri, morti e soprusi; ma così facendo non sono stati in grado d’intercettare il cambiamento più latente che, tutt’oggi, attraversa le strade cairote: la volontà collettiva di partecipare alla formazione della propria città: non solo con cemento e mattoni, ma anche tramite la creazione di nuove reti sociali e la condivisione dello spazio pubblico.
Un processo iniziato il 25 gennaio 2011, quando migliaia di persone hanno occupato Midan Tahrir chiedendo le dimissioni di Mubarak (ottenute l’11 febbraio 2011). Nel giro di pochi giorni furono montate le tende, mentre sempre più persone confluivano in Tahrir fino ad arrivare ad un milione (si parlò di millioneyya). Un’esperienza di vicinanza unica per il Paese. La condivisione di uno spazio così ristretto permise agli Egiziani d’entrare in contatto con realtà fino ad allora poco conosciute. Almeno inizialmente, la piazza divenne una microsocietà in grado di funzionare senza alcuna imposizione dall’alto, ma basata sul mutuo soccorso e sull’autogestione degli spazi.
In tale contesto socio-urbanistico si inseriscono i divani del mio progetto fotografico, i quali hanno assunto un ruolo diverso da quello tradizionale. Se si pensa a un divano, solitamente, lo si concepisce come un semplice pezzo d’arredamento d’interni. Al Cairo invece, trovandosi sparsi per la città, son mutati in beni d’uso comune e in punti d’incontro per passanti, famiglie e quartieri interi. Esprimono, dunque, la coesione sociale, l’aggregazione sociale, il senso di collettività e la solidarietà che caratterizza la cultura egiziana. Mostrano il piacere di stare in compagnia, la generosità nel condividere i bisogni, la disponibilità nel mutuo aiuto, il desidero di essere sempre comodi e infine… una tendenza ad essere un po’ ficcanaso.
Questi divani hanno perso la loro funzione originaria e son stati assimilati dal caos cittadino diventando elementi integranti dell’ambiente urbano.
Eleonora Gatto
La mostra è stata esposta per ora solo una volta a Bergamo. Qui una recensione. A dicembre sarà a Genova.
Attualmente Eleonora Gatto sta cercando altri spazi dove esporre le sue foto.
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