Magazine Cultura

I dolori del non più giovane scrittore

Creato il 30 gennaio 2011 da Sulromanzo

 

Scrittoio
Sta guardando la pagina bianca che uno schermo a cristalli liquidi materializza davanti a lui.

Non pulsa più come i vecchi monitor degli anni ’80. La pagina sembra un soldato di guardia all’ultimo avamposto di un impero, è stanca e poco motivata, vorrebbe essere distesa davanti ad altri occhi, ricoperta di altre storie, ma non perde la sua posizione, è comunque un soldato e si farà colmare di linee e simboli, sperando che possano diventare qualcosa di meglio di una pagina di carta reale subito accartocciata da quello scrittore insoddisfatto.

Lo scrittore insoddisfatto lo sa, pensa di riuscire a sentirla, non riesce ad andare avanti. Chiude il computer e si alza, iniziando a camminare avanti e indietro intorno alla scrivania, mentre nel suo stomaco si rigenera quello strano languore. Cibo, ha bisogno di cibo. Cioccolata, tanta cioccolata. Non si sposta dal suo percorso per prenderla. Un altro desiderio da far attendere, il resistere lo tempra, lo prepara a poter godere appieno della realizzazione che ci sarà, lui non può dubitarne, non deve. Qualcun altro lo ha fatto, in molti lo hanno fatto, continueranno a farlo, ma lui no, lui deve crederci e migliorarsi, leggere, studiare, riscrivere, ripensare, alleggerire, approfondire, lasciare libertà al lettore senza smettere di guidarlo, innovare senza stravolgere, esordire avendo già scritto tanto. Quel languore però continua a rovistare nel suo stomaco alla ricerca di soddisfazione e allora lui cammina a passo più svelto, pentendosi, ancora una volta, di non aver scelto una scrivania più grande e una stanza intorno a essa per assediare le sue ansie, invece di ritagliare un pezzetto della stanza da letto per farne un “angolo studio”. Già la parola lo infastidisce: angolo studio. Fa pensare a qualcosa di residuale, di posticcio. Uno studio deve essere un posto per isolarsi dal mondo, per riflettere in libertà, cercando di condensare la realtà in personaggi corposi e contraddittori, migliori e più credibili di quelli reali. Serve una recinzione di libri sulle pareti e un fondale di legno sotto i piedi. Serve una finestra che dà in un bosco e dell’aria immobile e densa a cui appendere in vista le parole da usare. Come può fare tutto questo in un “angolo”?

Il languore dello scrittore sta aumentando, tramutandosi in dolore, mentre la certezza di aver messo in punizione la sua ispirazione lo spinge ad abbandonare il suo “angolo” in favore della cucina. Sul tavolo, piegata a mò di triangolo, lo aspetta quella lettera. Un oggetto così piccolo non può contenere in sé tanto dolore. Fa finta di pensarlo mentre le gira intorno, evitando di sedersi al tavolo né tantomeno di poggiare le dita sullo stesso piano su cui lo aspetta la lettera. Il contatto, anche riflesso, può essergli letale e lui lo sa. Due cartelle e mezzo, fitte e giustificate, in cui il suo ultimo racconto è stato vivisezionato e alla fine ingiustamente scartato. Troppo complesso, troppo articolato, troppi personaggi, mai abbastanza, troppo pesanti, troppo leggeri. Le critiche si rimescolano nella sua testa come se fossero membri di famiglie differenti, suddivisi alla rinfusa al momento di abbandonare la nave delle sue sicurezze, e che ora viaggiano su scialuppe lanciate a tutta forza le une contro le altre pur di ricongiungersi. La lettera è arrivata dopo un’attesa lunga, silenziosa, culminata in un forzato oblio. Nessuno risponde alle sue richieste di valutazione, lo scrittore lo sa, è normale.

Sei uno scrittore esordiente neanche più giovane, cosa ti aspetti?” questo si ripete lo scrittore insoddisfatto, sa che è vero, sa che deve resistere e continuare a scrivere, sa che chi dice di aver spedito una sola copia ed essere stato chiamato mente. Milioni di inediti in attesa di un lettore, magari di un lettore competente. Che assurdità costruire la vita su una tale possibilità.

La lettera è sempre lì. Lo scrittore la raccoglie.

Una piccola sinossi del testo, poi punti forti e deboli: trama, personaggi e stile. Da manuale.

Da manuale, eppure lui non gradisce. Lui esplode, la lancia a terra, le urla contro che è stata redatta da un incompetente, da un idiota qualsiasi che si nutre a reality show, che non sarebbe in grado neanche di distinguere fra lo stile di Hemingway e quello de­lla Allende.

Rabbia.

Spalle alla lettera che giace sul pavimento, per mostrarle tutto il proprio disprezzo. Ma il corpo teso e caparbio dello scrittore sta cedendo, rivelandosi ben più fragile di quel pezzo di carta. Si deve girare di nuovo il nostro scrittore insoddisfatto, tornare a raccogliere quella missiva, usarla. Deve scoprire come avvicinare il suo testo alla volontà di quell’incompetente perché è lui a scegliere, è lui a decidere cosa andrà in stampa, cosa dovranno leggere i lettori del non più giovane scrittore al posto del suo romanzo.

E se non vi fosse riuscito? Lo scrittore insoddisfatto torna a sedersi, la schiena ben allineata allo schienale della sedia di formica, la mente che si sta scuotendo pronta a rileggere, a studiare, a cercare di capire, di tradurre in testo qualcosa di ancora troppo generico, senza poter parlare con “l’incompetente”. Tale diritto spetta solo allo scrittore non più esordiente, pensa depresso lo scrittore che esordiente ancora lo è. Lui deve capire senza parlare.

Lo scrittore afferra la penna, la stringe fra indice e medio, non osa ancora entrare in contatto con la carta di cui è fatta quella lettera. La penna è una vecchia stilografica verde, con il pennino in argento. Lo scrittore ne pulisce la punta dall’inchiostro con il pollice, l’accarezza come un antico ciondolo, un amuleto, l’ultima collana d’aglio che rimane allo scrittore per penetrare nel regno delle forze del male che tentano di farlo impazzire per impossessarsi delle sue membra.

Non lo avranno, non questa volta.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :