La Farnesina annuncia che i due marò non faranno più ritorno in India. “E’ ingiusto, così è stata tradita la fiducia”, accusa Abdul Ghani. Harish Salve ha annunciato che non difenderà la decisione del governo italiano di non far tornare in India Latorre e Girone.
E’ il 15 febbraio 2012 e la petroliera italiana Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente: l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste delle autorità indiane.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due vittime viene effettuata l’autopsia. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano dedito alla protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) invece che in un normale centro di detenzione.
Questo è quanto ha raccontato Matteo Miavaldi, caporedattore per l’India della China Files, l’11 novembre scorso sul caso dei due Marò.
Quando il 22 dicembre, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò, sono atterrati a Ciampino per festeggirare le vacanze di Natale con le proprie famiglie, molti hanno profetizzato che i due non avrebbero fatto più ritorno in India per poter essere giudicati dalla Corte Indiana.
Il Governo italiano e i due marò hanno smentito i maligni; i fucilieri hanno fatto ritorno in India per poter essere giudicati e il Governo Monti ha rispettato gli impegni.
Il 18 gennaio scorso la Corte Suprema ha chiesto al governo indiano di costituire un tribunale speciale che riveda la questione della giurisdizione e, se del caso, successivamente processi Latorre e Girone. Si tratta di una iniziativa inedita in India che comporta che il ministero degli Esteri chieda a quello della Giustizia di designare i giudici per questo tribunale, e rimetta quindi il dossier al massimo tribunale indiano per una definitiva approvazione.
Il governo indiano, sull’acquisita fiducia visto il precedente permesso natalizio, ha concesso ai due marò un ulteriore permesso per le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio scorso, e come garanzia ha preteso una lettera dall’ambasciatore d’Italia Daniele Mancini in cui si impegna ad assicurare il ritorno dei due imputati.
Dopo le 4 settimane concesse, i due marò avrebbero dovuto fare ritorno in India, ma così non è stato. Qualche giorno fa la Farnesina ha annunciato che Latorre e Girone resteranno in patria e non si sottoporranno al giudizio delle autorità indiane.
Allora è proprio vero che tante volte a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina.
La giurisdizione
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano (la petroliera batteva bandiera italiana) e dovrebbero godere quindi dell’immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali.
A livello internazionale vige la Convention for the Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation(SUA Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo) nel 1988, che a seconda delle interpretazioni, indicano gli esperti, potrebbe dare ragione sia all’Italia sia all’India.
C’è da chiarire, che secondo quanto ha riportato il China Files, i due marò in questi mesi, non hanno passato un solo giorno nelle famigerate celle indiane, alloggiando sempre in guesthouse o hotel di lusso con tanto di tv satellitare e cibo italiano in tavola. Tecnicamente, «dietro le sbarre» non ci sono stati mai.
Harish Salve, il legale indiano che ha rappresentato le posizioni italiane davanti alla Corte suprema di New Delhi nella vicenda dei due marò, ha annunciato che non difenderà la decisione del governo italiano di non far tornare in India Latorre e Girone. Il legale, riferiscono i media indiani, ha detto di sperare che il governo italiano onori l’impegno assunto davanti alla Corte suprema.
Le reazioni dall’India
Il premier del Kerala, Oommen Chandy, ha definito inaccettabile la decisione italiana. “Andrò a New Delhi in serata e affronterò la questione con il ministro degli Esteri. Stiamo anche cercando di affrontare il problema da un punto di vista legale”, ha detto ai giornalisti indiani; il chief minister del Kerala vuole anche incontrare Manmohan Singh sulla questione.
“E’ ingiusto, così è stata tradita la fiducia”, accusa Abdul Ghani, presidente dell’Unione Nazionale Marittimi in India. “Il nostro sistema giudiziario è stato molto leale con i militari italiani permettendo loro di andare e, se non ritornano, il diritto dovrà fare il suo corso”.
Ma le più deluse sono le famiglie dei pescatori uccisi: “Questa non è altro che una cospirazione al massimo livello” ha accusato una delle vedove, come riporta l’emittente indiana Ndtv nella sua versione online. La donna, che si identifica soltanto con il nome di Dora, ha dichiarato: “Il governo indiano dovrebbe fare in modo di riportare i due marinai ad affrontare il processo nel nostro Paese”.
Non voglio sostituirmi alla Corte Indiana, condannando o meno i due Marò, ma neanche posso avallare la tesi innocentista che molti tra, politici e giornalisti, hanno sostenuto e continuano a sostenere.
Forse la cosa più giusta è che vengano rispettati gli accordi e che i due marò vengano giudicati, come prestabilito, dalla Corte di competenza.
Se si rispettano gli impegni presi, potremmo evitare un’ulteriore brutta pagina dell’Italia nei confronti del mondo.