1960: One-Eyed Jacks di Marlon Brando
Un film quasi dimenticato, un film di cui attualmente si sta effettuando una opportuna rivalutazione.
Marlon Brando (di cui MyMovies ha scritto “il maggiore fenomeno divistico e artistico dello schermo. Ha davvero cambiato il cinema”) è qui alla sua prima e unica regia.
Tratto dal romanzo di Charles Neider (The Authentic Death of Hendry Jones) I due volti della vendetta è il lavoro che fece sì che (Stanley Kubrick abbandonò il set dopo sei mesi di lavorazione) “Hollywood lo scoprisse anche come regista impegnato, abile nel saper costruire le scene tanto quanto un regista di esperienza” (CiakHollywood) ed è uno dei film e delle fonti di ispirazione che più di ogni altro hanno influenzato la carriera registica di Quentin Tarantino: eppure alla critica del tempo non piacque, giudicandolo un western lento e atipico (il pubblico invece lo apprezzò: in Italia nella stagione 1961-62 si collocò al 12° posto tra i 100 maggiori incassi).
Forse l’unico western dove si vede il mare, ultimo film girato in VistaVision, I due volti della vendetta è un’opera complessa (Giovanni Natoli afferma che siamo di fronte alla celebrazione di “due eroi del west rivisitati in un ottica freudiana” e che il rapporto tra Brando e Malden va visto in “chiave edipica”) e di non facile catalogazione. Certamente un western, ma anche una struggente love story, un potente affresco di un’epoca in trasformazione, una ferma denuncia antirazzista e antimoralista (è noto come nonostante rappresentasse ormai Il Mito per eccellenza, Brando fosse vittima di quella che fu chiamata “The Brando Blacklist”: un’azione di ostracismo attuata dai produttori delle major, che non digerivano le sue battaglie a favore delle minoranze etniche e culturali). L’attenzione è concentrata non tanto su gli avvenimenti (che pure ci sono e in abbondanza, il film dura due ore e mezza), quanto sulle psicologie, sui comportamenti -spesso realisticamente contradditori- dei singoli personaggi di cui si analizzano le motivazioni e le mentalità. Se Brando avesse proseguito su questa strada chi sa quali traguardi avrebbe potuto raggiungere. Sa dirigere gli attori, l’uso della macchina da presa è sapiente, le panoramiche e i paesaggi sono difficilmente dimenticabili, la colonna sonora è utilizzata nel migliore dei modi.
Come attore, Marlon Brando riempie lo schermo come nessuno. Magnetico è dire poco. Personificazione del Metodo Stanislavskij, sembra non muovere un muscolo ma nel suo volto si intravedono sensazioni pensieri sentimenti… a profusione: c’è poco da fare, è stato, ed è, il numero Uno del cinema (1).
Karl Malden ha modo di confermare il talento recitativo fuori del comune che ha fatto di lui una delle presenze più illustri della cinematografia hollywoodiana.
Intensa la debuttante Pina Pellicer (suicidatasi pochi anni dopo). Brava come sempre Katy Jurado, presenza costante e di prestigio nel cinema americano degli anni 50-60.
p.s.
In mostra, fino al 19 settembre 2010 al Museo Nazionale del Cinema della Mole Antonelliana di Torino, centinaia di immagini che documentano il film (le immagini sono del fotografo della Magnum, Sam Shaw, famoso per essere stato l’autore di una delle immagini più celebri della storia del cinema, quella di Marilyn Monroe con la gonna sollevata sulla grata della metropolitana di Quando la moglie è in vacanza).
note
(1) La conferma che lo è ancora la ritroviamo nel film russo Mars dove la protagonista afferma “Vorrei essere bella come Marlon Brando!”.
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