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I fichi rossi di Mazar-e Sharif – Mohammad Hossen Mohammadi (Ponte33)

Creato il 06 marzo 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

I fichi rossi di Mazar-e Sharif – Mohammad Hossen Mohammadi (Ponte33)Recensione di Rossella Gaudenzi

«Ho sete, e la faccia grondante di sudore, il respiro bollente. Sento che qualcuno mi sta leccando il braccio che esce dalla manica strappata. Mi giro verso il mio vicino. È lui che me lo sta leccando. Sta leccando il sudore salato del mio corpo che non si lava da giorni. Sento ancora più sete. L’uomo smette di leccarmi il braccio e mi guarda. Nel buio scorgo la luce dei suoi occhi e poi sento la sua lingua che riprende a raccogliere il sudore del mio braccio».
Dove si trova, quanto è grande e che (razza di) luogo è Mazar-e-Sharif? Questo viene da chiedersi per prima cosa scorrendo con timore i racconti della raccolta dell’afgano Mohammad Hossen Mohammadi I fichi rossi di Mazar-e Sharif. E ancor meglio ci si domanda: quanto sono distanti da me, dalla mia famiglia, dalla mia civiltà, nel tempo e nello spazio, le atrocità fin qui narrate? Mazar-e-Sharif è il più grande centro urbano dell’Afghanistan settentrionale, sorta nei pressi dell’antica Balkh, città dello zoroastrismo, recante tracce del passaggio di Alessandro Magno e ad oggi conta una popolazione di circa 800.000 abitanti. Gli orrori narrati da Mohammad Hossen Mohammadi si sono compiuti e continuano a compiersi qui. Dietro le quinte di una guerra che si protrae da dodici anni senza un reale accenno di interruzione.
La lettura dell’opera di Hossen Mohammadi quantomeno disturba. Ci si ritrova per le mani quattordici racconti non da leggere d’un fiato ma da centellinare e diluire in acqua zuccherata: storie di corpi putrescenti, di mutilati di guerra sfruttati, di abusi subiti e inflitti, di prostituzione necessaria alla sopravvivenza, di faide, di follia generata dall’esperienza della guerra. Le voci narranti si mischiano, a creare sapientemente caos nell’ordine degli eventi: si passa dalla voce di tre morti – lo scrittore fa parlare anime che osservano disseppellire i propri cadaveri –, tre miseri contadini freddati nel tragitto verso i campi, alla voce dei testimoni dell’uccisione, alla voce dell’assassino. E ancora: il grido del prigioniero che cerca di sopravvivere all’asfissia in un container è sormontata da quella del carnefice che nello stesso container di lamiera ha stipato decine di uomini affinché muoiano sotto il sole cocente e possano poi essere scaricati  in una fossa comune.
L’autore sembra registrare e trascrivere il pensiero dei personaggi in quattordici storie che hanno in comune la totale assenza di giudizio. Ogni racconto, nella sua drammatica oggettività, potrebbe essere la fedele testimonianza dell’esperienza di un uomo o di una donna il cui unico fine è quello di non soccombere alla guerra. Realismo e lirismo convivono nella prima raccolta di racconti data alle stampe del giovane Mohammad Hossen Mohammadi.
«Quando si affacciò nel cortile, il sole che era sorto dietro l’albero dei fichi l’abbagliò. Strizzò gli occhi e guardò le punte delle foglie che luccicavano sotto i raggi. Andò nell’angolo assolato del cortile dove si trovava l’albero e guardò tra i rami e le foglie alla ricerca di un fico. Ne avvistò uno turgido e bello rosso. “Come il fuoco!” esclamo. Se ci fosse stato il padre avrebbe detto: “Come le guance di Zara!” e gliele avrebbe pizzicate». Rosso come il sangue che in Afghanistan scorre copioso e si mischia alla polvere di un deserto in cui basta un nonnulla per uccidere o essere uccisi.
La copertina del libro, da ammirare nella doppia raffigurazione fronte-retro, è una preziosa e riuscita opera di Iman Raad, interprete della nuova generazione di illustratori iraniani.

Nota sull’autore
Nato nel 1975 inAfghanistan a Mazar-e-Sharif e cresciuto in Iran, Mohammad Hossen Mohammadi torna nel suo Paese dopo aver conseguito il diploma per studiare medicina, ma l’arrivo dei Talebani lo costringe a tornare precipitosamente in Iran. Rientra nel 2010 aKabul, quando è ormai scrittore affermato, dove tuttora vive e ha fondato una casa editrice per promuovere giovani scrittori. Collabora con diverse riviste letterarie e dirige la Casa della Letteratura afgana; è direttore del dipartimento di giornalismo dell’Università Ibn Sina. Anjirha-ye sorkh-e Mazar (I fichi rossi di Mazar-e Sharif), opera del 2004, è la sua prima raccolta di racconti con la quale ha vinto i premi Golshiri, Mehregan e Isfahan. Successivamente ha pubblicato due romanzi, una seconda raccolta di racconti e diversi saggi di storia e di critica letteraria. 

Mohammad Hossen Mohammadi, I fichi rossi di Mazar-e Sharif
traduzione dal persiano di Narges Samadi
Ponte33, 2012
pp. 144, euro 16

 


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