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La lenta marcia di avvicinamento di archeologi sardi all’idea che i nuragici scrivessero può esser letta con ottimismo o anche con il fastidioso dubbio che sia ormai irreparabile la inadeguatezza della nostra scuola archeologica. Per indole, propenderei per l’ottimismo: in fondo sono passati appena quattro anni da quando questo blog, solitariamente, ha cominciato a pubblicare notizie e articoli sulle scoperte che venivano fatte di iscrizioni nuragiche. Quattro anni fa, la vulgata archeologica sarda produceva fondamentalmente luoghi comuni offensivi e immotivati del tipo “si tratta di falsi” e sillogismi come questi: “La scrittura è roba da città e da stato, i nuragici non avevano stato né città, ergo…” o “I vinti non hanno scrittura, i nuragici sono dei vinti, ergo…”. Nella vulgata, erano ospitate anche affermazioni apodittiche quali “i nuragici non avevano bisogno di scrivere”. Certo, nessuno dei negatori arrivò, allora, a concepire inarrivabili affermazioni come questa, riguardante alcuni reperti archeologici: Essi non recano “alcuna traccia di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura”. Ma qui parla un ministro e non a tutti è concessa una profondità concettuale che solo quel ruolo assicura. Chi ha seguito questo blog negli ultimi tempi, sa che la “scrittura nuragica”, con o senza virgolette, è argomento di un articolo di Paolo Bernardini e di due articoli di Giovanni Ugas scritto per questo sito. La scrittura nuragica, non mi interessa ora dire come, è insomma stata affrancata dal silenzio o peggio dalla negazione assoluta. Da qualche giorno, ai due archeologi si sono uniti l’ex soprintendente di Nuoro e direttrice degli scavi a Arcu de is forros, Maria Ausilia Fadda, e l’esperto di filologia orientale, Giovanni Garbini. Su Archeologia viva, la dottoressa Fadda ha scritto un articolo tanto bello e informato nella descrizione di cioò che è stato trovato negli scavi di Arcu de is forros (circa 7 km a nord di Villagrande Strisaili) quanto raffazzonato e ambiguo nella interpretazione di uno straordinario reperto, quello di cui si occupa Stella del mattino e della sera. Una cosa, lei e Garbini l’affermano: quell’anfora cananea del 700 aC è scritta con lettere filistee incomprensibili. Secondo l’archeologa nuorese, la scritta potrebbe essere “la matrice linguistica del protosardo”. Tralasciando la ambiguità di quel “matrice linguistica” che il protosardo avrebbe trovato nell’VIII secolo in una scritta filistea, resta il fatto che i protosardi, malamente come potevano fare delle scimmie copiatrici, scrivevano. Senza città e senza stato. Secondo Garbini, come detto, l’epigrafe è indecifrabile. Quei filistei del 700 aC, insomma, a contatto con i lontani isolani, avevano dimenticato come scrivere lettere comprensibili ai posteri. Capite perché è fondato il dubbio che la confusione sia grande. Ho come l’impressione che, per ripicca o per altro, c’è chi vorrebbe leggere, per dire, คควาย (bufalo in lingua tai) servendosi dell’alfabeto latino, concludendo, così, che si tratti di segni incomprensibili. La scritta sull’anfora è quella che trovate in testa a questo post. Nella mia ignoranza, ci vedo un pugnaletto nuragico così come lo ha visto l’amico Stella, e come segnalo qui accanto. Forse è dunque vero, in filisteo non si capisce. E se si usasse il nuragico (con tutto quell’armamentario di segni che Gigi Sanna da anni ci suggerisce)? Coraggio, amici archeologi: molti di voi hanno fatto il gran passo, ammettendo che i nuragici scrivevano. Compite un altro piccolo passo e usate la griglia che potete trovare anche in questo blog.
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