Dellamorte Dellamore non é il film di Dylan Dog e non é neanche soltanto uno splatter sugli zombie. Non è un film sull’indagatore dell’incubo perché il romanzo di Sclavi è ispirato a quest’ultimo solo in minima parte (si fa confusione perché l’aspetto fisico di Dylan Dog é ispirato proprio a Rupert Everett).
Per la ricchezza e la robustezza del soggetto e per una grande scenografia di Antonello Geleng, il film più che uno zombie movie può essere classificato come una commedia nera.
Francesco Dellamorte è il guardiano del cimitero di Buffalora: é un uomo triste e solitario, preso in giro dal resto degli abitanti della cittadina. Ogni notte però, con l’aiuto dell’assistente Gnaghi, si trasforma in cacciatore di zombie (che si svegliano nel suo cimitero sette giorni dopo la sepoltura).
Questo é a grandi linee l’impianto principale della trama, che serve a delinearne i principali aspetti: un uomo schiacciato in una realtà chiusa e costretto ad una eterna ripetizione delle sue pene.
Il film non si articola però secondo uno svolgimento lineare, ma come una sequenza di singoli episodi semi-connessi ( può far venire in mente mulholland drive di David Lynch) in cui il collante vero e proprio é in effetti la presenza dei protagonisti.
Durante il film Dellamorte si innamora di diverse donne (tutte interpretate dalla stessa attrice: é un omaggio al film Duello a Berlino di Michael Powell & Emeric Pressburger). Tutte le volte la storia d’amore finisce male.
La prima si eccita solo negli ossari e finisce uccisa dal marito-zombie.
La seconda ha invece una fobia per il pene, il che spinge Dellamorte ad “adeguarsi”.
Tutte queste vicende conducono Francesco alla follia finale: egli si convince che sia meglio sparare alle persone prima che muoiano per evitare che tornino in vita da zombie (e spezzare finalmente la sua ciclica sofferenza).
Si dirige quindi in città per uccidere coloro che si prendevano gioco di lui e con loro l’ultima incarnazione della sua amata.
Non riesce nel suo intento quindi la soluzione che gli pare più ovvia è quella della fuga. Ben presto si troverà a constatare che forse non esiste neanche un mondo al di fuori del suo ristretto universo. Tenta allora la carta della soluzione estrema, il suicidio, ma viene ancora una volta trattenuto, il che lascia intendere che il protagonista é costretto nel suo universo da legami ben più forti di quelli puramente “fisici”.
Detto questo è abbastanza semplice capire le tematiche di un film all’apparenza semplice ma in fondo complesso. Una tristezza ciclica impossibile da spezzare, la dicotomia amore-morte, la figura della donna forza della natura, il tutto condito nello humor nero tipico di Sclavi (da non dimenticare anche un’accenno di satira sociale, nella sottotrama del sindaco che specula persino sulla figlia morta).
Notevoli infine alcuni riferimenti visivi: il bacio nella cripta che ricalca il quadro “Gli amanti” di Magritte o la riproduzione de “L’isola dei morti” di Böcklin.
Insomma, se pur con alcuni difetti, “Dellamorte Dellamore” si dimostra essere ancora oggi un film interessante, originale, lontano dai gusti commerciali del pubblico nostrano che, non a caso, non premiò affatto il lavoro di Soavi ma che ebbe molta fortuna all’estero.
FABIO BUCCOLINI