14 film. Luchino Visconti, Takashi Miike, Peter Bogdanovich, Nicholas Ray, Steven Soderbergh, Takashi Shimizu, Mike Nichols etc.
Una relazione privata di Frédéric Fonteyne, la7d, ore 23,05.
Bellissima di Luchino Visconti, Rete Capri, ore 21,00.
Dio mio, di quei film che è obbligatorio vedere almeno una volta nella vita. Luchino Visconti – siamo nel 1951 – incontra Anna Magnani, già immergendo il suo neorealismo in un mélo social-familiare che di lì a qualche anno si sarebbe espanso a ulteriori capolavori (Senso, ecc.). In un annuncio si cerca una bambina per una parte a Cinecittà. La popolana Maddalena sogna per la piccola figlia il benessere e la fama che non ha potuto avere, e in quel casting vede finalmente la possibilità del grande riscatto sociale. Incontrerà un tizio che, spacciandosi per molto ammaniccato con la produzione, finirà con l’illuderla e truffarla. La scena di Maddalena che incita la figlia a farsi valere durante il provino davanti a Alessandro Blasetti è di quelle che non ti levi più dalla memoria. Mamma Magnani in una delle sue interpretazioni da peso massimo della storia del cinema. Walter Chiari è il traffichino impostore. Profetico, con dentro già tutta quella società dello spettacolo, quel feticismo della celebrità in cui siamo immersi e imprigionati oggi. Vederlo, e provare a pensare ai talent, ai vari reality.
I’ll sleep when I’m dead di Mike Hodges, Rai Movie, ore 21,15.
Noir di rispetto girato nel 2003 da un nome illustre nel cinema di genere broitannico, quel Mike Hodges che nel 1973 ci aveva dato un piccolo classico del crime come Carter (con un meraviglioso Michael Caine). Tornano in questo suo Dormirò quando sarò morto le atmosfere tenebrose, i delitti e i controdelitti, le feroci vendette del mondo criminale. Clive Owen è Will, un passato da gangster e adesso la voglia di ripulirsi, stare tranquillo, ricominciare. Ma come cinema e narrativa insegnano, quando uno cerca di togliersi dal girop puntualmente succede qualcosa che lo fa ripiombare nel gorgo. In questo film a sconvolgere Will è il fratello minore, suicida dopo essere stato vittima di un efferato stupro. Sarà caccia ai colpevoli e tremenda vendetta. Con Jonathan Rhyse Myers e due grandissimi veterani, Charlotte Rampling e Malcolm McDowell, Più l’icona del cinema inglese anni ’50-60 Sylvia Syms.
Fuori orario di Martin Scorsese, Rete 4, ore 0,04.
Uno Scorsese non così enorme, uno dei film meno personali del regista di Toro scatenato, però molto godibile: anche se questa storia di un uomo qualunque e senza qualità trascinato da una donna-ciclone (Rosanna Arquette) in una notte pazza che gli cambierà la vita ricorda molti film già visti, da Ma papà ti manda sola? a Tutto in una notte. Oltretutto, quasi un contemporanea esce un altro film molto simile, Qualcosa di travolgente di Jonathan Demme. Però Scorsese dopo l’insuccesso di Re per una notte aveva bisogno di tornare a galla, e in quel momento, anno 1985, questa produzione indipendente servì egregiamente allo scopo. Con Griffin Dunne e Rosanna Arquette. Una ri-visione la merita (anche per il titolo, più fortunato dello stesso film, poi adottato da Enrico Ghezzi per la sua fascia nottura su Rai3 di cinema di margine e di esplorazione).
Sukiyaki Western Django di Takashi Miike, Rai 4, ore 0,40.
Gran delirio citazionista e cinefilo di uno dei maestri dell’action del cinema orientale, il giapponese Takeshi Miike. Del 2007, il film è un tributo dichiarato già dal titolo allo spaghetti western (il sukiyaki è un piatto giapponese e Django è il capolavoro di Sergio Corbucci). La storia, quello di uno straniero che arriva in un villaggio dove si scontrano due clan opposti, e si incunea tra di loro riuscendo a distruggerli, è quella di Per un pugno di dollari di Sergio Leone, a sua volta mutuata da La sfida dei samurai di Akira Kurosawa. Partenza e ritorno in Giappone, via Italia. E però c’è parecchio anche di altri spaghetti western, come ovviamente il Django corbucciano e, sempre di Corbucci, Il grande silenzio. Poco visto da noi, dunque imperdibile, anche perché tra gli attori c’è Quentin Tarantino, sodale in questa impresa di Miike che cita il grande cinema di genere del passato, come anche lui ama fare. Cinema di genere che è molto spesso quello italiano, cosa che dovrebbe inorgoglirci se non fossimo quel popolo aduso all’autoflagellazione e all’autodenigrazione (anche in fatto di cinema) che siamo.
Shock Labyrinth di Takashi Shimizu, Rai 4, ore 23,10.
J-horror (ovvero horror giapponese) presentato nel 2010 addirittura al festival di Venezia, che sotto la gestione Müller ha sempre avuto un occhio di riguardo e anche due per il cinema del Far East. Non senza un qualcha ragione però, visto che il suo regista Takashi Shimizu si è fatto onore e pure un nome grazie a film di paura piuttosto innovativi nella decade scorsa come la serie Ju-on, poi diventato The Grudge nel remake americano da lui stesso firmato. In questo Shock Labyrinth c’è una ragazza creduta morta che torna dopo dieci anni tra quelli che erano stati i suoi amici d’infanzia, coinvolti tutti nella sua allora misteriosa scomparsa. Quando Yuki, questo il suo nome, si ammala, la porteranno in ospedale e il gruppo si ritroverà intrappolato in un labirinto non si sa quanto reale e quanto invece proiezione mentale. Naturalmente si scatenerà un ritorno al passato fatto di incubi, terrori, sensi di colpa, espiazioni, e ognuno dovrà fare i conti con quel rimosso. Film non corrivo che gode di uno status piuttosto elevato presso gli appassionati.
Terramatta – Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano di Costanza Quatriglio, Rai 5, ore 21,10.
Vincenzo Rabito chi? Un’incredibile storia, la sua. Rabito è un cantoniere siciliano nato nel 1899 in provincia di ragusa e diventato post mortem, e assai paradossalmente per un semianlfabeta, un caso letterario. Tutto comincia nei primi anni Duemila quando approda all’Archivio diaristico nazionale di Pieve di Santo Stefano il dattiloscritto dell’ormai defunto Vincenzo Rabito. Il quale, in una lingua furiosamente e prodigiosamente reinventata (non era mai andato a scuola, aveva imparato a leggere da sola e da quelle letture aveva ricavato una sua personale scrittura) racconta la sua vita. La miseria dell’infanzia, la grande gierre a il grande massacro con la morte di suoi amici e compagni, l’adesione al fascismo, il lavoro in ferrovia, il ripudio del fascismo e la militanza comunista Quasi un secolo di storia nazionale attaverso il particolare e solo apparentemente periferico, laterale, minore punto di vista di un proletario siciliano. Il diario vince il Premio Pieve e viene poi pubblicato, in un’edizione assai accurata, da Einaudi. Nel 2012 Costanza Quatriglio ne ricava questo film, ricorrendo a una voce narrante che legge molte pagine del diario, più materiale d’archio e immagini che cercano di ricostruire e rievocare il mondo di Rabito.
Angels in America 1 – Cattive notizie di Mike Nichols, Rai Movie, ore 23,30.
Angels in America 2 – L’abbandono di Mike Nichols, ore 0,30.
Le prime due delle sei puntate con cui nel 2003 il canale più fico e culturalmente orientato d’America, la Hbo,portò in tlevisione uno dei più celebri e importanti play Usa di fine Novecento, affidandone la regia a un veterano come Mike Nichols (Il laureato, Comma 22). Angels in America è un complesso, ambiziosissimo affresco (e il risultato una volta tanto è all’altezza delle ambizioni) scritto nei primi Novanta da un signore di nome Tony Kusher di molto talento. Più storie, e più coppie, ruotano intorno all’Aids, allora arrembante, centro drammaturgico e motore immobile di una narrazione assai stratificata. In un’America della quale Kusher mette in risalto l’impronta neoconservatrice reaganiana una coppia gay si trova a dover fronteggiare l’Aids di uno dei partner, un avvocato che ha sempre nascosto la sua omosessualità si scopre affetto anche lui da Hiv, un uomo politico non ammette ilproprio contagio. Kusher sceglie la strada del non-realismo e si inerpica su su verso il visionario, il fantastico con forti venature oltrenaturali-religiose. Gli angeli non sono solo nel titolo, entrano come personaggi e messaggeri nel corpo del testo e, si potrebbe dire, dei personaggi. Un’America malata in cerca di salvezza e costretta a fare i conti con i propri fantasmi del passato recerte e meno recente (la Ethel Rosenberg che ritorna in forma di spettro). Potente. Non riducibile a un testo di cultura Lgbt, Angels in America sa andare oltre l’identitario e farsi discorso collettivo e perfino specchio di una nazione. Quanto sia bravo Kusher lo si è visto anche l’anno scorso nel meraviglioso Lincoln di Steven Spielberg, per cui ha scritto una delle sceneggiature più belle degli ultimi anni. In Angels in America un cast da urlo: Al Pacino, Meryl Streep, Emma Thompson.
Che – Guerriglia di Steven Soderbergh, La Effe, ore 21,10.
Seconda parte del dittico biografico realizzato nel 2008 da Steven Soderbergh sulla figura di Che Guevara, cercando di restituirne filologicamente vita e storia al di là del mito. Si prendono in considerazione stavolta i suoi ultimi tre anni, quelli compresi tra 1965 e fine 1967. Si comincia con la partenza di Guevara dalla Cuba saldamente castrista alla volta della Bolivia, dove fonderà il suo movimento guerrigliero nel nome di Simon Bolivar, con l’obiettivo di innescare la rivoluzione armata nel continente latino-americano. Sappiamo com’è finita. Benicio Del Toro è il Che, in una immedesimazione che non è solo psicofisica. Occhio, c’è anche (oltre ad attori come Matt Damon e Franka Potente) quell’Edgar Ramirez che rivedremo poi nel Carlos di Olivier Assayas (e più recentemente in Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow). Il film di Soderbergh, pur lanciato con gran pompa a Cannes, dove a Del Toro andò pure il premio come migliore attore, non ebbe l’esito sperato e si inabissò nell’indifferenza del pubblico. Forse arrivava fuori tempo massimo. Alle platee popcorn globalizzate ormai di un biopic su un eroe rivoluzionario non importava granché. Da riconsiderare però nell’ambito della filmografia, incredibilmente eclettica e aperta, di Soderbergh.
L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich, Rai Movie, ore 1,30.
Così un cinefilo di nome Peter Bogdanovich nel 1971 omaggia, rigorosamente in bianco e nero, il vecchio cinema della vecchia Hollywood e l’America profonda ancora innocente a cavallo tra anni Quaranta e Cinquanta. In un paesino del Texas dimenticato da Dio e dagli uomini il vecchio cinema sta chiudendo, ultimo film in programmmazion Il fiume rosso di Howard Hawks, John Wayne vs. Montgomery Clift. La fine del cinema è anche quella dell’adolescenza per due amici, un rito di passaggio verso un altrove non conosciuto. Nostalgia di Bogdanovich per quel mondo che di lì a poco la guerra di Corea spazzerà via per sempre irrompendo in quel microcosmo fino a sconvolgere le vite di tutti. Jeff Bridges, Timothy Bottoms e Cybill Shepherd giovani e incantevoli, più Ellen Burstyn e una straziante Cloris Leachman. Da noi non fu molto amato – troppo poco politico per quei tempi invasati di furore ideologico – ma negli Stati Uniti è un culto generazionale.
55 giorni a Pechino di Nicholas Ray, Italia 7 Gold, ore 22,45.
Una delle più eccentriche e cultistiche proposte filmiche di questa serata tv, e non solo di questa. Un kolossal ad alto impatto diretto da uno degli eretici di Hollywood, Nicholas Ray (che con il cinema oversize e le grandi masse si era già cimentato poco prima con Il re dei re, uno dei molti film sulla vita di Cristo). Adoro 55 giorni a Pechino, da quando lo vidi la prima volta su grande schermo, e quando lo ridanno in tv (non così frequentemente) cerco di non perdermelo. Adoro questo e gli altri kolossal primi anni Sessanta di quel produttore visionario e irregolare che fu Samuel Bronston, quasi tutti con il suo interprete di riferimento Charlton Heston, e tutti ambiziosi affreschi di pezzi di Storia importanti, proprio la grande Storia con la maiuscola. Se El Cid metteva in scena la Reconquista spagnola e la guerra con i Mori (se vi capita, non perdetevelo), se La caduta dell’impero romano (il più bel peplum mai realizzato, ma per davvero) era la narrazione di una Roma già indebolita e alle prese con i Barbari, questo 55 giorni a Pechino rievoca la rivolta dei Boxer nella Pechino del 1900 contro la presenza coloniale delle legazioni straniere. Vista ovviamente dalla parte degli occidentali perché, ringraziando il cielo, il politically correct non era ancora arrivato a fare i suoi danni. Charlton Heston, Ava Gardner, David Niven. Il fasto decadente della Città Proibita ben prima dell’Ultimo imperatore di Bertolucci. Poi c’è Nicholas Ray alla mdp. In questo film di diplomatici occidentali assediati in terra straniera c’è già qualcosa anche dell’Argo di e con Ben Affleck. Non sarebbe male un confronto tra i due.
Usa contro John Lennon di David Leaf e John Scheinfeld Rai 5, ore 0,13.
Un docu del 2006 sull’impegno pacifista e anti-Vietnam di John Lennon e sulle pressanti attenzioni che gli rivolsero per questo motivo le istituzioni americani, in particolare l’Fbi che tentò in ogni modo di farlo espellere dagli Stati Uniti.
La montagna del dio cannibale di Sergio Martino, Iris, ore 0,30.
Uno dei film del filone cannibalico anni Settanta, di cui il vertice resta Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato. Ma anche questo, di Sergio Martino, gode di ottima fama tra gli appassionati. Con Ursula Andress dispersa nella giungla tra tribù ovviamente voraci di carne umana. Fregarsene delle stroncature e delle sentenziosità della vieille critique italiana, e goderselo senza sensi di colpa davanti alla tv.
Codice Magnum di John Irvin, Iris, ore 23,01.
Noir/crime-story del 1986 prodotto da Dino De Laurentiis su misura dell’allora action hero Arnold Schwarzenegger, assemblaggio di muscoli poderosi e robotica inespressività facciale, che nemmeno il botox. Chi ha fatto la soffiata e guidato un commando di killer verso il rifugio segreto di un testimone e relativa scorta? Se lo chiede lo sceriffo Stanton allorché arriva sul posto, constatando la strage nella quale ha perso la vita anche suo figlio, che della scorta faceva parte. Per identifcare il colpevole, si finge un malavitoso e comincia a indagare e muovere le sue pedine. Sarà vendetta, ovvio. Dirige John Irvin.