Magazine Cinema
Il cinema post-11 Settembre segue una strada ancora poco riuscita, quando, a distanza di un anno dall'evento, esce in sala 11'09''01, un film ad episodi legati all'avvenimento. In questo caso le motivazioni politiche sono limitate, emerge con forza l'intento "poetico" dell'opera, contaminato da analisi personali di registi troppo spesso ideologici, e si configura come un lungo intercorrere di quadri narrativi troppo dissonanti tra loro. Mettere insieme cinema tanto diversi, nonostante l'elemento di affiliazione dell'intera comunità civile mondiale, è un rischio e il risultato è disomogeneo, ma soprattutto risibile in certi punti, da sfiorare il paradosso e far emergere l'inconsistenza dei brani proposti. Qualche frammento è molto buono, ma seguito da qualche altro pessimo.
Prima di affrontare l'ambito autoriale-narrativo, forse il miglior prodotto appartiene a quel misto di stile documentaristico-drammatico che vede un Paul Greengrass in piena forma ricostruire uno degli eventi meno noti di quel giorno. Ovvero lo schianto di un aereo dirottato, che avrebbe dovuto colpire un obiettivo importante (la White House), in Pennsylvania, grazie al coraggio dei passeggeri che riuscirono a ribellarsi, consapevoli della loro fine imminente. E' un film claustrofobico, veloce, televisivo (tanto che mi pare di aver intravisto molti collegamenti con una fiction, trasmessa qualche anno fa, dalla "Storia siamo noi"), in cui ogni cosa è narrata con precisione cronometrica e attendibilità e in cui la sceneggiatura è solo un modello di ricostruzione (anche emotiva), ma non di posizione politica. Notevole.
I registi più inclini ad una narrazione "emotiva" sono finora stati Mike Binder con il buon "Reign over me", direttamente legato alla perdita, con Sandler intenso e Don Cheadle ottima spalla, James C. Strouse che ha tracciato un profilo famigliare non direttamente successivo all'evento, ma comunque vicino ad un fatto (la guerra in Iraq) scaturito dall'evento, in "Grace is gone", oltre ad Oliver Stone, che insieme ad un ritratto non troppo riuscito del presiedente Bush in "W.", ha fallato con gli eroi di "World Trade Center", cadendo più volte in una retorica che non proviene dal suo bagaglio. Molto superiore la storia di Paul Haggis, "Nella valle di Elah", che unisce riflessione personale, dramma di un padre, indagine e politica e vanta interpreti d'eccellenza al loro meglio. Tommy Lee Jones è superbo. Ancora, seppur con dei limiti, in quanto più votato ad una dimensione privata (non a caso rispetto all'originale cambia anche la collocazione di guerra), "Brothers, di Jim Sheridan, con un buon cast, e una storia forte non sviluppata a dovere, remake del film di Susanne Bier.
Ibrida è la connotazione di "The visitor" del 2007, meno incline al patetismo, e più vicino al filone di "fobia dello straniero", successivo all'attacco, che ha riguardato molti Americani musulmani e/o di colore e immigrati nel mondo occidentale. "L'ospite inatteso", con Richard jerkins a padroneggiare la scena, è un raccordo fondamentale per il superamento delle differenze e la vicinanza dei popoli, o meglio, delle persone.
Un dittico politico è rappresentato dalle lunghe, quasi estenuanti, dissertazioni di due autori molto politicizzati, Robert Redford e Win Wenders. Il primo esprime una plurità di punti di vista, che cade nella retorica, sulla democrazia statunitense, affianacato da un Tom Cruise senatore-repubblicano, e da una Meryl Streep accanita giornalista democratica. Dalla massima "Leoni per Agnelli" all'insegnamento della Costituzione, il passo è facile. Diverso il caso di Wenders che vede, in un'inattendibile dialettica, confrontarsi una ragazza emancipata (Michelle Williams), con lo zio reduce dal Vietnam, poco tempo dopo l'evento traumatico, con posizioni divergenti e lontane.
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