«I segreti di Borgo Larici»
Nonostante la crisi che morde, la fiction Mediaset si mette in costume, ma con un occhio attento alla spesa puntando sulla lunga serialità. Dall’8 gennaio su Canale 5 partono le 7 puntate de «I segreti di Borgo Larici», regia di Alessandro Capone. Protagonista Giulio Berruti: «Sono Francesco Sormani, primogenito di un ricco industriale tessile nell’Italia degli anni Venti — spiega l’attore — che, invece di seguire le orme paterne e lavorare nell’azienda di famiglia, fa il pilota d’automobili da corsa, ma si innamora di una ragazza semplice, Anita (Serena Iansiti) figlia di operai, e con lei intraprende una coraggiosa lotta per l’affermazione dei diritti civili e sociali: Francesco, che è un idealista, contesta la sua famiglia, rompe gli schemi e, anche per amore, sposa una causa in cui crede, quella dell’uguaglianza, di un mondo dove non esistano più barriere».La vicenda, che come saga familiare potrebbe ricordare una «Downton Abbey» italiana, in realtà si svolge sullo sfondo dell’imminente avvento del fascismo nel piccolo Borgo Larici, un villaggio industriale nel nord Italia, e affronta tutt’altro argomento. «Ci siamo ispirati a un villaggio, Crespi d’Adda, vicino Milano — sottolinea Antonino Antonucci, direttore Mediaset Fiction che produce la serie —. Sembravano isole felici, dove gli operai della fabbrica, oltre ad avere il lavoro, usufruivano della casa, la scuola per i figli, le strutture necessarie per vivere bene con le proprie famiglie. In quella di Crespi c’era persino il cimitero, con la tomba più monumentale destinata ai padroni e poi le tombe per i lavoratori. In realtà — obietta — non erano delle “illuminate” strutture, ma luoghi dove gli operai finivano per essere tenuti sotto stretto controllo, dove mancava la libertà». Un’utopia, che risale all’idea del falansterio illuminista, applicata con criteri diversi: «L’intento sociale era nobile — osserva lo sceneggiatore della serie, Stefano Piani — ma il fine era non solo quello di controllare la vita privata degli operai, bensì di farli produrre di più: in pratica, rinunciavano alla libertà per vivere meglio e più sicuri». Se fosse in bianco e nero, «I segreti di Borgo Larici» potrebbe sembrare uno sceneggiato italiano di quelli di una volta, osserva il regista Capone: «È un prodotto seriale, ma lontanissimo dal fotoromanzone».
La lunga serialità è una nuova tendenza sia nella tv commerciale, sia nel servizio pubblico: nei prossimi mesi vedremo su Canale 5 ancora molta cronaca, action e thriller, come i sequel de «Il peccato e la vergogna», del «Tredicesimo Apostolo»; tra le novità, «Le mani dentro la città», «Il Bosco», ma anche una commediona firmata dai fratelli Vanzina e un’inedita Sabrina Ferilli nel ruolo di sindaco-coraggio in un piccolo paese che combatte contro la corruzione. Tra le miniserie in costume, «Rodolfo Valentino» con Gabriel Garko e «Romeo e Giulietta» con Alessandra Mastronardi. Anche su Rai 1 abbondano le lunghe serie: tra le novità, «Gli anni spezzati» di Graziano Diana, «Un matrimonio» di Pupi Avati, «Il ritorno di Ulisse» con Alessio Boni. Tra i titoli di miniserie e tv-movie spiccano «Oriana Fallaci» con Vittoria Puccini, «L’oro di Scampia» di Marco Pontecorvo e «Non è mai troppo tardi» sul Maestro Manzi.
«La lunga serialità costa meno perché si ammortizzano i costi — ammette Antonucci — ormai le sceneggiature si scrivono in funzione produttiva: si lavora con due troupe a pieno ritmo. “Borgo Larici” è stata realizzata in 3 mesi, un record». E anche per i costi vivi del set, i produttori si comportano da brave massaie: «I costumi di questa fiction siamo andati a noleggiarli a Londra, dove paradossalmente costavano meno che in Italia! — avverte Antonucci —. E poi abbiamo chiesto rinunce a tutti, a cominciare dai cachet degli attori».
Concorda Berruti: «Il nostro settore è molto colpito dalla crisi e, se vogliamo continuare a mantenere la qualità, bisogna prendere esempio dal mondo produttivo anglosassone. Ammetto che il ritmo sostenuto con cui abbiamo girato le 7 puntate è stato massacrante, ma ce l’abbiamo fatta». Poi conclude tornando al suo personaggio: «Ho voluto interpretare Francesco Sormani, perché ho un’analogia con lui: anch’io sono appassionato di auto da corsa e per questo, da ragazzino, ho lavorato per quattro anni nell’officina di un meccanico-carrozziere. Una passione che non è mai tramontata: chissà che un giorno non appenda al chiodo la carriera d’attore, per tornare a sporcarmi le mani con l’olio delle auto e delle moto d’epoca».
Emilia Costantiniper "Corriere della Sera"