Il cinema giapponese incontra il western. E' già successo in tempi non certo recenti che il jidai-geki si sia prestato ad interpretazioni in chiave western, basti pensare al capolavoro di Kurosawa, I Sette Samurai e I Magnifici Sette di John Sturges. Ma viceversa? Per un genere considerato di nicchia non dovrebbe sorprendere che praterie, pistoleri e cowboys non abbiano trovato certo spazio nel paese del Sol Levante. Almeno fino a Takashi Miike. Quello che è considerato, a ragione, uno dei più prolifici ed importanti autori del cinema giapponese di oggi, arriva al film di genere (ufficialmente il primo nella sua sterminata filmografia) a suo modo, puntando già dal titolo ad una completa ibridazione: paesaggi polverosi nei quali si stagliano architetture tipicamente nipponiche. Costumi che miscelano componenti orientali ed occidentali. Uomini armati di pistole e katane. Basta il titolo però per capire quanto Sukiyaki Western Django voglia essere una reinterpretazione/omaggio allo Spaghetti Western italiano in generale, e al leggendario pistolero di Sergio Corbucci nello specifico. Ma anche qualcosa in più.
Partendo da una storia di Masa Nakamura, suo storico collaboratore per alcuni dei suoi film migliori (Bird People of China, Young Thugs Nostalgia e Big Bang Love) Miike scrive di suo pugno una sceneggiatura che, arrivando a buttare dentro in maniera per nulla celata perfino Shakespeare, racconta le origini nipponiche e non ufficiali di Django: in un piccolo paesino, nel quale si racconta sia nascosto un tesoro, due clan si contendono il territorio nella speranza di poterci mettere le mani sopra per primi. Ci sono gli Heike, i rossi, e i Genji, i bianchi. Un bambino, Heiachi, nato dall' amore tra un ragazzo Heike ed una donna Genji, potrebbe essere il punto d' incontro per porre fine alla faida ma l' avidità, la violenza e la vendetta hanno la meglio. L' arrivo in città di un misterioso pistolero senza nome porterà grossi squilibri nelle due fazioni portando da una situazione di stallo ad un faccia a faccia definitivo. Pur lasciando le sue ossessioni e le sue tematiche accantonate da una parte (anche se il piccolo Heiachi sarebbe potuto essere un protagonista perfetto in uno dei suoi tanti film precedenti) il regista giapponese confeziona un film curatissimo, girato con particolare attenzione alle sequenze d' azione, ironico nell' esplicitazione della violenza e nel far recitare tutti gli attori in un inglese "nipponico" esilarante ed irritante allo stesso tempo. Scelta coraggiosa soprattutto per un regista il cui successo commerciale arriva dopo tanta gavetta, ma i cui lavori hanno attirato l' attenzione dei Festival internazionali e di tanti registi (tra i quali Tarantino che ricopre qui un piccolo ruolo) ritagliandosi uno spazio importante perfino negli USA grazie al suo contributo nella prima serie dei Masters of Horror. Certamente non il miglior Miike che ci si potesse aspettare, ma sempre carico di quella inconfondibile vena anarchica che neanche le produzioni main stream sono riuscite a soffocare.
Voto: 2,5/4