C’è tutta l’innocenza, la speranza e la vitalità dei suoi 11 anni, negli occhi di Tarek. Piccolo esule palestinese, vive con la madre in un campo profughi della Giordania: è il ‘67 e, mentre i video di Arafat e le fughe dei giovani che si arruolano nelle milizie Fedayyìn sono gli unici segnali della guerra lontana, la vita scorre monotona in quel microcosmo chiuso e limitato, dove ogni giorno il ragazzino spera di vedere, su uno dei camion che arrivano carichi di fuggiaschi, il padre rimasto al di là del confine. Piccolo genio incompreso e impaziente, un giorno Tarek decide che vuole ritrovare la strada di casa: prende la sua cartella e s’incammina verso la Palestina, finendo però in un campo di addestramento di guerriglieri, che lo accolgono amorevolmente come mascotte.
Opera seconda di Annemarie Jacir, prima regista donna palestinese, When I Saw You (Lamma Shoftak il titolo originale), è un piccolo film di grazia straordinaria e contagiosa ironia, visto in questi giorni nella sezione Forum della 63ma Berlinale. È ambientato nell’anno chiave 1967 (scelto perché legato ai ricordi dei genitori dall’autrice, ma anche in quanto momento storico di rivoluzioni e cambiamento), ma è la storia di tutti i bambini senza casa di questo mondo, di oggi e ieri.
Fin troppo facile citare I quattrocento colpi e il Neorealismo italiano: tutto il film vive della performance pura e naturale del giovanissimo e straordinario Mahmoud Asfa, scelto dalla regista dopo un lungo casting effettuato in un vero campo profughi. Insofferente come Antoine Doinel, il bambino-uomo Tarek si aggira come l’Edmund di Germania anno zero tra la desolazione e la precarietà dell’accampamento, senza però mai perdere il suo inguaribile ottimismo e il desiderio di ritrovare papà e casa.
È proprio in questa prima parte che l’opera funziona meglio: quando poi Tarek finisce “adottato” dai Fedayyìn, combriccola di confusi e focosi guevaristi il cui capo istruttore sembra la parodia burbera e benevola del sergente Hartman, la regista la tira un po’ troppo per le lunghe peccando leggermente di ripetitività. Fino al finale sospeso: dove si può dire che, una volta tanto, lo strumento del fermo immagine venga usato in maniera calzante e non gratuita.
Tra humour e amarezza, struggenti melodie arabe e note di Cat Stevens,When I Saw You è un racconto di formazione e insieme il toccante ritratto di un rapporto madre-figlio: visto con gli occhi di Tarek, il mondo non può che diventare un posto migliore, dove la guerra non è altro che un gioco e i confini segnati dal filo spinato non esistono più.
Voto: 2,5/4