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Creato il 25 maggio 2013 da Ifilms

only lovers left aliveONLY LOVERS LEFT ALIVE di Jim Jarmusch

 

Inserito nel concorso a sorpresa, quando ormai l’elenco delle pellicole partecipanti sembrava completo, il film di Jarmusch è sicuramente uno dei titoli più attesi di tutta la kermesse. A quattro anni dal thriller The Limits of Control, inedito in Italia, l’eclettico cineasta di Akron è tornato dietro la macchina da presa con la consueta personalità, proponendo una storia d’amore tra due vampiri lontana anni luce, ça va sans dire, dagli stereotipi di genere a cui ultimamente ci siamo dovuti abituare.

La forza creativa e il senso di libertà che attraversa Only Lovers Left Alivefanno pensare ai lavori migliori di Jarmusch, però la carenza di autentica spontaneità impedisce un pieno apprezzamento. La mancanza di una sceneggiatura vera e propria, in questo caso, più che un mezzo per testare le potenzialità del cinema appare forzata e a tratti supponente. Per quanto Jarmusch si sforzi di andare oltre la superficie, la sensazione è che ci si trovi di fronte ad un film vuoto, il cui grande potenziale non riesce a colpire nel segno.

Superiori ad ogni elogio i due attori protagonisti Tom Hiddleston e Tilda Swinton, che si sono calati anima e corpo nei panni di due originali vampiri di oggi, di nome Adam e Eve. Only Lovers Left Alive, prodotto alieno da ogni schema, è una pellicola che, comunque, riflette con intensità sul mondo contemporaneo, la sua deriva, i suoi mostri.

Un'operazione senza limiti e senza controllo, per la quale ci concediamo di aspettare una seconda visione per poterne avere un quadro definitivo, cercando di capire dove inserirla nel gigantesco mosaico audiovisivo jarmuschiano.

 

Voto: 2,5/4

 

VENUS IN FUR di Roman Polanski

 

«Ci sono due cose al mondo che mi piacciono veramente. La seconda è girare un film...».

A due anni dallo strepitoso successo di critica e pubblico ottenuto con Carnage, uno dei migliori film visti alla Mostra di Venezia nel 2011, il geniale Roman Polanski si presenta in concorso qui a Cannes con un’opera torbida e sensuale, perfettamente in linea con la sua poetica.

Adattamento cinematografico di una pièce teatrale di David Ives, ispirato al romanzo erotico Venus im Pelz (1870) dell’austriaco Leopold von Sacher-Masoch, opera che continua a esercitare una notevole influenza in ambito letterario e culturale, arrivando a rappresentare uno dei pilastri della subcultura BDSM, Venus in Fur(“Venere in pelliccia”) prosegue il discorso sui rapporti tra persone costrette ad una convivenza forzata proposto in Carnage, in cui l’angusto spazio delimitato dalle mura di un appartamento, popolato da due coppie complementari, portava all’esplosione di sentimenti di violenza repressa. Qui, invece, è il gioco della seduzione tra i due (soli) protagonisti ad assumere un ruolo centrale. In un gioco sadico, a mettersi a nudo non sono i corpi, bensì le anime con il loro lato oscuro.

Emmanuelle Seigner è straordinaria nel calarsi nei panni di un’attricetta che cerca di convincere il regista teatrale Mathieu Amalric a scritturarla nella sua prossima rappresentazione. La tensione sessuale che scaturisce tra i due sfocia in un sottile ed ambiguo gioco a due, in cui i connotati di preda e cacciatore assumono toni sempre più sfumati. Come nella migliore tradizione polanskiana, dietro ad una facciata di rigorosa rispettabilità si cela un insospettabile degrado.

Roman Polanski, ad un passo dagli 80 anni, si conferma uno dei più importanti cineasti in attività, capace di rimanere fedele a se stesso con invidiabile coerenza tematica e stilistica. Venus in Furha tempi perfetti, ritmo incessante e il grande pregio di esaltare due attori in stato di grazia: Mathieu Amalric, straordinario come sempre, ricorda incredibilmente un giovane Polanski, mentre la conturbante Emmanuelle Seigner, diretta dalla sua dolce metà, ritrova la carica erotica dei tempi d’oro.

Voto: 3/4

 

ZULU di Jérome Salle

 

Chiude il concorso il thriller Zuludel regista francese Jérome Salle, al suo quarto lungometraggio, che ha scritto il film insieme allo sceneggiatore Julien Rappeneau (36 Quai des Orfèvres), figlio del cineasta transalpino Jean-Paul Rappeneau, sulla base del romanzo omonimo di Caryl Férey, vincitore del Grand prix de littérature policière nel 2008.

Due poliziotti di Cape Town (Orlando Bloom e Forest Whitaker) indagano sull’omocidio di una giovane adolescente. Nonostante l’Apartheid sia ormai lontana, il ricordo di quanto accaduto è, per molti, difficile da rimuovere. Quello che poteva essere un film teso e avvincente è, in realtà, una pellicola fiacca che si muove su binari ampiamente consolidati, secondo i cliché che popolano ogni thriller commerciale. Se la tenuta registica è più che apprezzabile, la sceneggiatura rimane piatta e ridondante, senza guizzi degni di nota.

Benché sia il film di chiusura del festival e quindi goda di un’attenzione particolare, Zulu è un prodotto di intrattenimento senza grandi pretese, che pone l’attenzione sul delicato tema dell’Apartheid per fini più commerciali che artistici.

La buona prova di Orlando Bloom, ex astro nascente di Hollywood che ha perso sempre di più il suo appeal con il passare degli anni, e soprattutto l’intensa interpretazione del grande Forest Whitaker (memorabile in La moglie del soldato di Neil Jordan) garantiscono al film un’autentica credibilità.

Voto: 2/4


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