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Creato il 02 settembre 2013 da Ifilms

locandina-film-tom-à-la-fermeArriva in concorso uno dei titoli più attesi di tutta la kermesse veneziana. Quarto lungometraggio dell’enfant prodige canadese Xavier Dolan (classe 1989), Tom à la ferme, basato sull’omonima pièce teatrale dello scrittore Michel Marc Bouchard, è un film mutevole, sfuggente, perfetto nella sua calcolata imperfezione, che parte come un film intimista per poi assumere i tratti del melò classico prima di sfociare in un thriller dei sentimenti.

Dopo la morte del suo compagno, il giovane Tom (Xavier Dolan), straziato dal dolore, si insinua con toccante pudore nella casa (o fattoria, per rimanere fedeli al titolo) del compianto ragazzo, venendo in contatto per la prima volta con il fratello Francis e la madre Agathe, ignara dell’omosessualità del suo amato figlio. Segreti inconfessati e ambigui risvolti sentimentali sconvolgeranno il delicato equilibrio familiare.

 

Xavier Dolan, dopo aver incantato il Festival di Cannes con i suoi tre precedenti lavori, approda alla Mostra del cinema di Venezia con il suo film più squilibrato ed ellittico, probabilmente il più coraggioso. Dedicandosi come sempre anima e corpo al suo progetto (oltre ad essere interprete e regista è, come nelle altre sue pellicole, anche sceneggiatore e montatore), il giovane cineasta di Montréal effettua un cambio di rotta, allestendo un impianto teatrale di sapore fassbinderiano che funge da contenitore ad una vicenda che è un semplice scheletro di base su cui costruisce un’indagine non priva di fascino sull’elaborazione del lutto, la difficoltà e la necessità di colmare un’assenza (fisica e emozionale), le dinamiche di sottomissione, la ricerca di un rifugio protettivo.

Dopo le affascinanti intuizioni iniziali, in cui Dolan raggiunge vertici di poesia pura, tipici della sua poetica, il film cambia spesso registro senza assumere una precisa identità. La scrittura non risulta ben calibrata, soprattutto quando vira verso una rilettura ironica (parodistica?) degli stilemi melodrammatici classici. Anche la ricerca strettamente formale, vero punto di forza del cinema sensoriale di Dolan, appare opaca e priva del consueto splendore figurativo. L’esasperazione dei tratti caratteriali dei protagonisti compone un ritratto obliquo, fuori fuoco, rapsodico, che impedisce un pieno coinvolgimento emotivo, pur creando suggestioni che non lasciano indifferenti, soprattutto nella prima parte, in cui l’atmosfera rarefatta di attesa esalta la sensibilità di un autore di innegabile talento. La ridondante e poco funzionale colonna sonora di Gabriel Yared non sembra poi essere il giusto contrappunto musicale a un film che inizialmente era stato concepito senza musica, scandito solo dai suoni della natura.

 

Voto. 2/4


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