Un maestro ne racconta un altro: Che strano chiamarsi Federico è il toccante omaggio di Ettore Scola a Federico Fellini, uno dei titoli più emozionanti dell’intera Mostra di Venezia 2013.
In occasione del ventennale della morte del regista riminese, Scola decide di raccontarne il cinema, lo spirito, gli esordi, il privato.
La sua posizione è quella di un ammiratore devoto che trasmette, con straordinaria lucidità, il privilegio di aver conosciuto (fino a diventarne grande amico) una delle figure più significative del novecento italiano.
Non è un documentario Che strano chiamarsi Federico, non segue schemi o regole programmatiche ma si affida unicamente al ricordo e alle sensazioni.
Si parte dalle frequentazioni comuni di Scola e Fellini (da il “Marc’Aurelio” a Ruggero Maccari) per passare ai loro primi incontri fino alle visite di piacere sul set dei rispettivi film.
Dal debutto come disegnatore nel 1939 fino al termine della sua vita e carriera, Fellini è rappresentato come un grande artista che, per quanto fosse vittima di un’innata creatività fanciullesca, non è mai diventato un “bambino perbene”.
Alla biografia romanzata si aggiungono inserti che Fellini avrebbe certamente amato: la figura del narratore e la fragilità del confine realtà-finzione in primis.
Se è vero che nel corso della pellicola si ride molto, con l’approssimarsi della conclusione risulta difficile trattenere le lacrime. Un “raggio di sole” illumina il definitivo carosello felliniano: Federico, come un alterego del suo alterego Guido Anselmi, sale su una giostra mentre davanti a lui sfilano sempre più rapidamente gli spezzoni di tutte le sue opere o, meglio, i personaggi (veri o fantastici, nati da bugie o da semplici schizzi) che hanno attraversato la sua (dolce?) vita.
Voto: 3/4