“Create il vostro personale stile visivo, rendetelo unico per voi stessi e identificabile per gli altri”
(Orson Welles)
Virtuosismo stilistico complesso e raffinato, sottilmente snob. Procedimento creativo attraverso il quale un cineasta sublima la propria idea di cinema in una sfida con se stesso e con lo spettatore.
Nata in Francia intorno al 1950, quando il critico transalpino André Bazin sentì il bisogno di coniare un termine nuovo per cogliere appieno il linguaggio e lo stile di Orson Welles, l’espressione plan-séquence ha codificato l’unica tecnica cinematografica in grado di riprodurre il tempo reale sul grande schermo. Con piano-sequenza, si intende infatti un unico segmento narrativo autonomo ottenuto attraverso una sola inquadratura, priva di interventi di montaggio, che assume per intero il ruolo di una scena.
Se Orson Welles è da considerare un pioniere di questa tecnica, nel corso degli anni molti autori si sono distinti per uno stile fortemente personale, la cui riconoscibilità risiedeva (anche) nell’uso ricorrente del piano-sequenza, che non rappresenta un ritorno all’inquadratura fissa delle origini del cinema, bensì incarna un progresso in termini di regia: Max Ophüls, Yasujirō Ozu, Jean Renoir, Michelangelo Antonioni, Andrej Tarkovskij, Theodoros Angelopoulos, Robert Altman e, in tempi più recenti, Martin Scorsese, Brian De Palma, Béla Tarr, Tsai Ming-liang, Michael Haneke e Paul Thomas Anderson, giusto per fare qualche esempio. Procedimento legato all’evoluzione del linguaggio filmico e alla modernità cinematografica, il piano-sequenza ha trovato terreno fertile anche nel cinema istintivo della Nouvelle Vague, i cui principali esponenti (Jean-Luc Godard su tutti) amavano alternarlo a sequenze dal montaggio frammentato. Nel 1948, Alfred Hitchcock aveva intenzione di girare Nodo alla gola con un unico piano-sequenza, ma le tecniche dell’epoca non lo consentivano, poiché le bobine della macchina da presa non contenevano un metraggio di pellicola sufficiente. Così, realizzò il film mediante 8 piani-sequenza, della durata di dieci minuti l’uno, collegati tra loro in modo da apparire un’unica ripresa, cavalcando “l’idea un po’ folle di girare un film costituito da una sola inquadratura” (A. Hitchcock). Esattamente cinquantaquattro anni più tardi, nel 2002, questa idea è divenuta possibile: grazie all’avvento del digitale, il maestro russo Aleksandr Sokurov ha potuto girare i 96 minuti del capolavoro Arca russa in un’unica, straordinaria inquadratura.
Nel piano-sequenza, la plasticità dell’immagine, nella complessità della ripresa, assume un fascino ipnotico che restituisce allo spettatore la percezione di un continuum spazio-temporale, spingendolo verso un atteggiamento mentale attivo. L’assenza di interventi di montaggio nega la possibilità che esistano punti di vista differenti e complementari, tanto da costringerci a scegliere su cosa soffermare la nostra attenzione, come se la rappresentazione filmica coincidesse con un’ipotetica realtà messa in scena.
Con Gravity, eccellente pellicola sci-fi presentata fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, che vanta una straordinaria sequenza di apertura di 18 minuti girata senza stacchi di montaggio, il regista messicano Alfonso Cuarón ha offerto quest’anno una prova di maestria registica degna di quella dei più grandi nomi del passato.
E l’uscita nelle sale del suo ultimo lungometraggio, diviene così un’occasione per andare a (ri)scoprire, tra pietre miliari della storia del cinema e piccoli gioielli dimenticati, 15 piani-sequenza memorabili.
Ecco la classifica:
1) L’infernale Quinlan di Orson Welles (1958).
Attore, regista, sceneggiatore, produttore. Tra le più grandi e influenti personalità artistiche del ‘900, Orson Welles, con Touch of Evil (secondo l’evocativo titolo originale), segna una tappa fondamentale nel cinema noir, mettendo in scena la figura mefistofelica di un poliziotto corrotto che, in realtà, rappresenta una metafora nichilista del “potere”. Il piano-sequenza di apertura, che si apre con un dolly vertiginoso, è un riferimento assoluto presente in ogni manuale di tecnica cinematografica. Charlton Heston e Janet Leigh che attraversano il confine tra Messico e USA, in una simbolica contrapposizione tra Bene e Male, percorrendo una strada affollata da auto e decine di comparse, sono entrati di diritto nell’immaginario collettivo. Capolavoro.
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2) Le armonie di Werckmeister di Béla Tarr (2000).
Il più grande regista vivente. Cineasta ungherese che ha sempre indagato la razza umana nelle sue manifestazioni più degradate, raccontando l’impotenza dell’uomo di fronte alla “fine”, Béla Tarr è colui che più di tutti oggi rappresenta la bellezza, la struggente poesia, l’emozione autentica di un cinema autoriale che, ad un contenuto metaforico di inaudito spessore, accompagna soluzioni stilistiche di ineguagliabile valore artistico. Unici per composizione dell’immagine e senso del ritmo, i piani-sequenza di Béla Tarr rimangono scolpiti nella memoria. L’incedere fluido, sinuoso, glaciale della macchina da presa, in questa sequenza tratta da Le armonie di Werckmeister, è cinema allo stato puro. “Al termine della violenza e della furia distruttrice, la scoperta della pietà, dell’uomo e della sua miseria”(Andrea Chimento).
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3) Professione: reporter di Michelangelo Antonioni (1975).
Tra i più grandi autori della storia del cinema italiano, Michelangelo Antonioni è stato uno dei cineasti che ha contribuito a cambiare il linguaggio cinematografico internazionale all’inizio degli anni ’60, nel momento in cui si è venuta a creare quella frattura epocale tra “cinema classico” e “cinema moderno”. Eccellente direttore di attori, Antonioni ha imposto uno stile personale fin dalla sua pellicola d’esordio, Cronaca di un amore (1950), in cui compare già uno straordinario piano-sequenza di 3 minuti. Il suo virtuosismo più celebre, rimane però la sequenza finale di Professione: reporter, in cui l’incedere avvolgente della macchina da presa, lascia e riprende il protagonista Jack Nicholson con un movimento tra i più complessi mai visti sullo schermo. Da vedere e rivedere.
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4) Nostalghia di Andrej Tarkovskij (1983).
Ultimo grande artista della tradizione russa, Tarkovskij, nonostante una filmografia abbastanza esigua, è un autore che ha segnato profondamente il linguaggio cinematografico universale, attraverso una poetica complessa, composta da suggestioni oniriche, struggenti elegie che omaggiano la sconfinata bellezza di una Natura talvolta ostile, e rimandi metaforici alla straziante condizione post-bellica della sua amata Russia. Divenuto fonte di ispirazione per molti cineasti contemporanei (Sokurov, Tarr e Malick, ad esempio), lo stile ermetico di Tarkovskij si impone come uno degli aspetti più affascinanti di tutto il cinema moderno. Il celebre piano-sequenza presente in Nostalghia, storia di un poeta sovietico in viaggio in Italia per studiare la vita di un compositore russo del XVIII secolo, è la testimonianza oggettiva della struggente sensibilità di un autore immenso.
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5) Lo sguardo di Ulisse di Theodoros Angelopoulos (1995).
Regista del capolavoro assoluto La recita (1975), Théo Angelopoulos, il più prestigioso esponente del cinema greco contemporaneo, ha portato sullo schermo fiabe malinconiche e struggenti elegie del passato, esaltando il silenzio e lo scorrere del tempo come autentiche forme di poesia visiva. Il cinema di Angelopoulos, costruito interamente attraverso lunghe inquadrature con un uso limitato del montaggio, ha offerto alcuni tra i piani-sequenza più suggestivi di sempre. La scena del ballo, tratta da Lo sguardo di Ulisse, è forse l’esempio che meglio racchiude tutta la poetica del suo autore.
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6) I protagonisti di Robert Altman (1992).
Tecnicamente ineccepibile, capace di alternare lunghe carrellate a frenetiche sequenze dal montaggio sincopato, Robert Altman è stato il regista americano che più di tutti ha rifiutato qualsiasi etichetta precostituita, rifuggendo ogni possibile accostamento ad una corrente cinematografica codificata. Croce e delizia della critica tradizionalista, il vecchio leone di Kansas City si è divertito per più di quarant’anni a suon di carrelli, jump cut, dolly, zoom e panoramiche, dimostrando un’invidiabile lucidità nel far implodere ogni stereotipo hollywoodiano (e, per estensione, americano) per mezzo di un cinema destrutturato che ha fatto scuola. Altman, con il piano-sequenza di apertura de I protagonisti, immerge lo spettatore all’interno del film con maestria assoluta, rendendo evidente, fin dalla prima scena, il suo smisurato talento.
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7) Boogie Nights – L’altra Hollywood di Paul Thomas Anderson (1997).
Enfant prodige del nuovo cinema americano, Anderson, con il suo secondo film, scritto e diretto a soli 27 anni, si è già guadagnato un posto di rilievo nell’Olimpo dei grandi registi a “stelle&strisce”: sceneggiatura solida, regia avvolgente, magistrale direzione degli attori e un’evidente padronanza del mezzo cinematografico, sono qualità innegabili di un film che raccoglie le istanze di Robert Altman (nella coralità del racconto) e di Martin Scorsese (nella sapiente ricostruzione del microcosmo underground degli anni ’70-‘80) per rielaborarle con stile personale. La prima sequenza di Boogie Nights, girata con un’unica inquadratura di 3 minuti, accompagna lo spettatore a conoscere tutti i protagonisti del film, in una vertiginosa rassegna a ritmo di disco-music, la cui location è uno psichedelico locale notturno.
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8) Il falò delle vanità di Brian De Palma (1990).
Autore tecnicamente sublime, capace di mettere in scena morboso erotismo e raffinate suggestioni voyeuristiche per mezzo di vertiginosi virtuosismi registici, Brian De Palma ha legato indissolubilmente il suo nome a quello di sir Alfred Hitchcock, prendendolo ossessivamente come sommo modello di riferimento. Oltre ai rallenty ad effetto e alla caratteristica rotazione di 360° della macchina da presa attorno ai personaggi, una delle tecniche di ripresa con cui De Palma esalta il suo barocchismo stilistico è sicuramente il piano-sequenza. La sequenza di apertura de Il falò delle vanità, in cui lo spettatore segue Bruce Willis in un complicato percorso all’interno di un edificio, ne è l’esempio più significativo.
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9) Halloween di John Carpenter (1978).
Diretto dal regista di culto John Carpenter, il classico dell’horror Halloween ha segnato una tappa fondamentale nel genere, dando vita ad una sterminata serie di epigoni che non si sono mai nemmeno avvicinati alla grandiosità del modello originale. Il piano-sequenza d’apertura, in particolare, è divenuto un classico intramontabile: Carpenter, proponendo l’agghiacciante punto di vista del piccolo assassino Mike, forza lo spettatore ad essere complice del raptus omicida del bambino. Geniale l’uso della maschera sull’obbiettivo della macchina da presa. Guardandolo, è impossibile non sentire un brivido lungo la schiena. Cult.
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10) I figli degli uomini di Alfonso Cuarón (2006).
Disperato affresco di un mondo distopico, ambientato in un futuro prossimo, che affronta le problematiche dell’immigrazione e la decadenza dei valori nella società occidentale, I figli degli uomini ha ottenuto il “Premio Osella per il miglior contributo tecnico” alla 63ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, grazie allo straordinario lavoro di Emmanuel Lubezki, uno dei più grandi direttori della fotografia viventi. La maestria tecnica del piano-sequenza che segue i protagonisti all’interno di un auto, mentre cercano di scappare da un attacco terroristico, ha dell’incredibile.
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11) Breaking News di Johnnie To (2004).
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 2004, Breaking News è un interessante film di azione violenta che indaga sul potere manipolatorio dei media nella società contemporanea. Esponente di spicco del cinema cinese di genere nonché precursore del rinnovamento del genere noir operato ad Hong Kong negli anni ’90, To, nel prologo del film, si esibisce in un virtuosismo tecnico ad altissimo coefficiente di difficoltà, realizzando un piano sequenza di 7 minuti che mette in scena la sparatoria urbana fra una gang e la polizia, durante la quale la macchina da presa si muove dal basso verso l'alto e viceversa per mostrare l'azione su più piani differenti.
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12) Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese (1990).
Considerato uno tra i più memorabili gangster-movie di sempre, Quei bravi ragazzi rappresenta una vetta assoluta all’interno della straordinaria filmografia di Martin Scorsese. Teso e vibrante, complesso e stratificato, con un cast in stato di grazia, il film è un compendio ideale dello stile di regia del suo autore: fluidi movimenti di macchina, carrelli e dolly vanno a comporre articolate sequenze girate con cura maniacale. L’ingresso di Ray Liotta e Lorraine Bracco al Copacabana Club, girato in un unico piano-sequenza di 3 minuti, è da antologia del cinema. Paul Thomas Anderson sentitamente ringrazia.
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13) La cena di Ettore Scola (1998).
Con La cena, Ettore Scola compone un affresco corale, amaro e desolato, dell’Italia degli anni ’90, tra disillusione e rassegnata malinconia, senza tradire il suo consueto sguardo ironicamente lucido. Ambientato interamente nel microcosmo del ristorante “Arturo al Portico”, il film aggiunge un ulteriore tassello alla classica “commedia all’italiana”, attraverso una messinscena rigorosa ed elegante. Ne è la testimonianza il bellissimo piano-sequenza circolare in cui Scola passa in rassegna i personaggi della vicenda, interpretati da alcuni dei più grandi attori italiani, componendo una galleria fotografica in movimento, resa ancor più raffinata dall’Andantino del Concerto per flauto, arpa e orchestra K299 di Wolfgang Amadeus Mozart, usato come accompagnamento musicale.
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14) L’uomo in più di Paolo Sorrentino (2001).
Trai più talentuosi cineasti italiani contemporanei, Sorrentino si è sempre dimostrato coerente con se stesso nel mettere in scena drammi grotteschi popolati da personaggi bizzarri (più aderenti al vero di quanto si possa immaginare) attraverso uno stile barocco e sovrabbondante, sempre teso alla esaltazione massima della grande bellezza dell’immagine. Già nel suo film d’esordio, ha messo in mostra tutto il suo potenziale, costruendo un piano-sequenza di grande cura formale che segue Toni Servillo mentre si aggira all’interno di una discoteca, prima di concedersi un ballo in pista.
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15) Hard Boiled di John Woo (1992).
Raffinato coreografo della violenza, specializzato in pellicole ad alto tasso di adrenalina, John Woo ha firmato alcuni tra i più grandi polizieschi girati ad Hong Kong negli anni ’80 e ’90. Ispirandosi alla poetica crepuscolare di Sam Peckinpah, ha saputo fondere pathos, sentimento e sangue realizzando opere noir di grande fascino e suggestione. Ricchi di riprese al rallentatore e furibonde sparatorie pulp di ascendenza western, i film di Woo sono il punto di sintesi tra passato e presente, classico e moderno. Hard Boiled, l’ultimo film girato in patria, prima di trasferirsi (purtroppo) a Hollywood, vede sullo schermo due icone del cinema orientale: Chow Yun-Fat e Tony Leung Chiu Wai. E proprio loro due sono i protagonisti del piano-sequenza, ambientato in un ospedale, che li vede fronteggiare una banda di criminali a colpi di mitra.
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