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Creato il 09 novembre 2013 da Ifilms

Locandina FargoQUELLA CHE VEDRETE É UNA STORIA VERA – I fatti esposti nel film sono accaduti nel 1987 nel Minnesota. Su richiesta dei superstiti, sono stati usati dei nomi fittizi. Per rispettare le vittime tutto il resto è stato fedelmente riportato.

Seguito ideale (seppur climaticamente agli antipodi) di Blood Simple, Fargo è una lucida e agghiacciante riflessione sul male nascosto dietro un fittizio velo di quotidianità e semplicità. La provincia americana così fredda e asettica è specchio di una società che ha ormai passivamente accettato la violenza e l’amoralità; ed è proprio lì dove sembra che nulla fuori dall’ordinario possa succedere che si nascondo gli orrori più sconvolgenti e torbidi.

L’orrore del quotidiano provinciale viene osservato con sguardo ironico e distaccato, mentre l’umorismo nero e macabro dei due fratelli del Minnesota raggiunge nuove vette: esemplare in tal senso è una scena di lotta che vede coinvolto Carl Showalter, il personaggio interpretato da Steve Buscemi.

Nella suddetta scena viene inserita un’inquadratura in dettaglio di una gamba di Carl, che indossa pantaloni color beige e un calzino bianco. Ad una visione superficiale quell’inquadratura sembra assolutamente fuori contesto, ellittica e inutile, ma più avanti nel film rivedremo quello stesso dettaglio della gamba con i pantaloni beige e il calzino bianco e in tal modo sapremo che la gamba che Gaer Grimsrud (Peter Stormare) sta inserendo nel trituratore del legno è proprio quella del suo complice. Attraverso un semplice dettaglio i Coen hanno voluto anticipare e sottolineare con ironia la terribile sorte che spetta al personaggio di Carl.

 

L’ambientazione geografica rende tutto più straniato e fuori da ogni logica rassicurante: il bianco dei manti nevosi è imbrattato col rosso del sangue, mentre le strade o i luoghi all’aperto che vediamo sono grandi distese, tendenzialmente deserte, aumentando quel senso di calma apparente e stasi.

“E tutto per cosa? Per quattro biglietti di banca... C’è altro nella vita che quattro biglietti di banca. Non ci hai mai pensato?” (Marge Gunderson)

Marge Gunderson (Frances McDormand), poliziotta al settimo mese di gravidanza, è personaggio paradigmatico di un mood: il suo essere gravida, la sua andatura a papera, i suoi movimenti sgraziati sulla neve a causa del pancione, contribuiscono a dare un senso di immobilità e di apatia al film. Anche il personaggio chiave, quello che porterà al ridimensionamento di uno status quo, pur ricco di una sua integrità e moralità, fa parte di questo mondo ovattato e rallentato. La provincia assume allora l’accezione di un mondo a parte, dove tutto può passare inosservato.

Tutti i personaggi, almeno una volta nel corso del film, vengano colti in un momento in cui guardano la televisione, come inebetiti: e così affrontano la realtà, spettatori inermi di uno spettacolo che non capiscono e che, fondamentalmente, non vogliono capire (si veda il colloquio a tre Buscemi-Macy-Stormare all’inizio del film).

In un contesto che pretende di essere normale, la straordinarietà è un personaggio come quello di Marge, donna eccezionale semplicemente perché fa il suo dovere, ama suo marito e pone cuore e attenzione anche nelle piccole cose, come i quadri del consorte che andranno sui francobolli. Marge, a sua volta, non comprende il mondo in cui vive, ma cerca di fare uno sforzo in più, ponendosi delle domande che però rimangono inevitabilmente senza risposta.

Un personaggio eccezionale anche all’interno dell’intera filmografia coeniana, costellata di figure mediocri che, cercando di evadere dallo squallore della propria vita, si immischiano in situazioni più grandi di loro destinate a virare al peggio o fools senza la minima idea di quello che capita intorno a loro. Al contrario, Marge rappresenta quel briciolo di innocenza che ancora persiste, vero centro morale del film e i Coen sembrano per la prima volta sbilanciarsi a favore di un personaggio, cui mettono in bocca parole condivisibili.

Ma è, per l’appunto, una mosca bianca, perché il mondo di Fargo è popolato da mostri grotteschi e spietati. Ciò che regola l’agire umano sono sempre gli istinti più bassi o primordiali, come la violenza o l’avidità, e mai la razionalità umana riesce a dominare il caso, il grande protagonista di questa e di molte altre storie dell’universo coeniano.

“Io prendo la Sierra”; “Quella ce la dividiamo”; “Come cazzo facciamo a divedere una macchina? Usiamo una fottuta motosega?” (Carl Showalter e Gaer Grimsrud)

Fargo 2

Ancora di più che nei precedenti e successivi film, in Fargo violenza e stupidità sono interdipendenti e inscindibili: la stupidità rappresentata assume connotati nefasti, ben peggiori di quelli di una cattiveria esibita e manichea. Con geniali colpi d’inventiva umoristica e spruzzate di grand guignol, i Coen ci raccontano la stupidità come madre di ogni tipo di violenza, progenitrice colpevole di corruzione, avidità, indifferenza e di tutti i crimini che ne derivano.

L’inettitudine e la codardia di Jerry sono i motivi che lo porteranno ad organizzare il falso rapimento, mentre la sua incapacità di prendere di pugno la situazione farà si che la stessa volga al peggio; l’eccessiva sicurezza di sé e la non curanza per i piccoli dettagli fanno si che Carl prima si faccia fermare dal poliziotto per non avere messo la targa alla macchina e poi, nel goffo e infruttuoso tentativo di corrompere l’ufficiale, dia un pretesto a Grimsrud per commettere quel primo omicidio che scatenerà la successiva mattanza. Fargo racconta quindi la banale stupidità del male, tanto inquietante quanto spassosa e proprio per questo ancora più sfuggevole, assurda e violenta.

Ma l’idiozia non è semplicemente veicolo espressivo di meschinità e crudeltà; secondo il punto di vista dei Coen è anzi un tratto distintivo che accomuna tutti i protagonisti della vicenda. La stessa Marge appare come un personaggio goffo, pittoresco e non particolarmente brillante: riscattare la donna è il suo senso morale, la sua ingenuità in buona fede e lo stupore candido con cui fatica ad accettare il male che la circonda e la cui forza devastante non riesce a comprende.

Figura antitetica a Marge è quella di Jerry Lundegaard, il personaggio che i Coen osservano con maggior distacco e feroce intento dissacratorio. La sua maschera ha il volto dello strepitoso William H. Macy che riesce rendere memorabile un meschino tragicomico, frustrato, ansioso, umiliato e spaventato all’idea di un’ennesima mortificazione. Jerry è grottesco e impacciato nei suoi goffi tentativi di imbrogliare parenti e clienti e nasconde la propria latente disperazione dietro una cordialità fasulla, dei sorrisi stanchi e un livore montante nel cuore.

Fargo, North Dakota

Ma Fargo deve molto anche alla sua straordinaria e alienante ambientazione tra i ghiacci dell’estremo nord americano: una sorta di inferno ghiacciato, circondato da manti nevosi bianchissimi, metafore di un candore perduto ma al tempo stesso di una vacuità morale e umana disarmante.

Paesaggi affascinanti e al contempo inquietanti che fanno da sfondo a un crescendo grottesco e spietato di delitti efferati in cui il panorama innevato fa da ulteriore elemento straniante, dando un senso assurdo alla morte raccontata con imperturbabile leggerezza.

Un’atmosfera fredda e sospesa tra realtà e onirismo: i personaggi si muovono quasi galleggiando, passo incerto e sguardo vitreo, immersi in un contesto di “normale” apatia in cui si trovano a vivere e ad agire più per forza d’inerzia che non per reale consapevolezza.

Protagonisti e comprimari appaiono assuefatti al torpore della sonnacchiosa provincia, osservatori di uno spettacolo in divenire in cui, nonostante tutto, non hanno voce in capitolo: l’universo coeniano, infatti, è regolato dal caso, il vero deus ex machina che determina il corso degli eventi.

Omicidi efferati e distratti, errori demenziali, dialoghi apparentemente inconcludenti, digressioni narrative quanto meno bizzarre (l’ex compagno di scuola di Marge), situazioni surreali (l’interrogatorio che vede poliziotto e testimone incappucciati, dunque irriconoscibili, per difendersi dal freddo): tutto è funzionale per descrivere un mondo caoticamente calmo, una sorta di teatro dell’assurdo tra i ghiacci, strambo e brutale.

Benché buona parte della storia si svolga a Minneapolis, i Coen hanno scelto la città di confine di Fargo (in North Dakota) per il titolo della loro opera, con chiaro significato metaforico. Il film, infatti, è un insieme di confini che si sfiorano e si compenetrano: tra farsa e tragedia; tra assurdo e quotidiano; tra demenza e orrore.

 

Fargo 3

 


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