«La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La Rivoluzione è un atto di violenza». (Mao Tse-tung).
Sesto e penultimo film del grande Sergio Leone, Giù la testa è il canto del cigno di quel western made in Italy che ha conosciuto l’apice del successo negli anni ’60, con la “trilogia del dollaro” e il capolavoro C’era una volta il West, sempre diretti da Leone. Messico, 1913. Ribelle irlandese esperto di dinamite (James Coburn), si allea con rozzo e generoso bandito (Rod Steiger) per svuotare una banca. Si ritroveranno a combattere con i peones di Pancho Villa e Emiliano Zapata. Western “politico” picaresco, ironico e ambizioso, che, con tono ora scanzonato ora solenne, diventa un inno all’amicizia virile, ai nobili ideali, alla presa di coscienza individuale, senza rinunciare ad una marcata presa di posizione antimperialista. L’ideale di rivoluzione e le differenze di classe sono i temi fondanti di un film che raggiunge la perfezione grazie alle straordinarie prove dei due attori protagonisti (Steiger istrionico, Coburn ammirevolmente sotto le righe), alla fotografia di Giuseppe Ruzzolini e alla celebre colonna sonora di Ennio Morricone. Tra i comprimari, eccellente Romolo Valli.
Indimenticabile.