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I filtri d’amore nell’Antica Roma

Creato il 09 settembre 2013 da Valeria Vite @Valivi92

Abbiamo appurato che l’arte della seduzione sta a me come la pedicure agli zoccoli di un cavallo, perciò ho deciso di mandare a quel paese lenti a contatto, scollature e tacchi alti in favore dei ben più efficaci filtri d’amore. Naturalmente sto scherzando, però ho comunque deciso di dedicare un post a questo genere di stregoneria del passato.

Internet abbonda di deleterie cialtronerie riguardanti disgustose ricette Wikka,  rimedi della nonna e altri assurdi intrugli in cui molti sembrano credere veramente, Acqua e limone tuttavia diffida dai ciarlatani e seleziona soltanto fonti storiche accertate per descrivere non tanto l’incantesimo in sé, ma piuttosto per parlare dell’importanza che tali credenze hanno avuto nella nostra cultura. Anche a causa delle varie stupidaggini diffuse in rete dagli amanti dell’esoterismo che impediscono di distinguere il vero dal falso, tralascerò la storia dei filtri d’amore nel Medioevo e mi soffermerò sull’Antica Roma.

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Vasellame in vetro rinvenuto nella laguna di Venezia (notizie.antika.it)

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Amatoria pocula, incantesimi illegali

Il nome latino dei filtri d’amore è amatoria pocula. Se il primo termine non necessita di spiegazioni, è forse il caso di specificare che il secondo significa bicchiere, tazza o si riferisce comunque ad un generico recipiente utilizzato per bere. Si tratta dunque di una bevanda d’amore, l’ideale per soggiogare un bel ragazzo che non ci degna di uno sguardo o per sedurre la fanciulla dei vostri sogni.

L’utilizzo dei filtri d’amore era malvisto sin dagli antichi: essendo venduti da ciarlatani dalla dubbia reputazione, che li preparavano con ogni sorta di schifezza solubile in acqua, tali preparati erano considerati dei potenti veleni ed erano vietati persino nelle XII tavole del V secolo a.C., il primo codice di leggi scritte romano. Il concetto verrà poi ripreso dalla Lex Cornelia de sicariis et veneficiis, emanata da Silla nell’81 a.C., che prevedeva la pena di morte per i colpevoli. Nonostante ciò, gli amatoria pocula erano molto diffusi in ogni ceto sociale ed erano un elemento ricorrente nell’immaginario collettivo romano, tant’è che compaiono in vari aneddoti relativi a celebri personaggi romani.

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Le follie dell’imperatore Caligola

De vita caesarum è un’opera di Svetonio composta dalle biografie degli imperatori romani sino a Domiziano. Le biografie di Svetonio non si basano soltanto sulle fonti ufficiali come testimonianze oculari, decreti, senatus consulta, verbali del Senato o le opere di Gaio Asinio Pollione, Cremuzio Cordo o le Res Geastae Divi Augusti, ma ricorrono spesso anche a scritti propagandistici e diffamatori, testimonianze orali e tutto ciò che può alimentare il gusto per l’aneddoto, il curioso e il pettegolezzo. Sarà forse per questo motivo che, quando nel IV libro si accinge a scrivere la biografia di Caligola, l’imperatore più pazzo della storia di Roma, non esita a riportare una bizzarra informazione sulla sua vita amorosa:

“Creditur potionatus a Caesonia uxore amatorio quidem medicamento, sed quod in furorem verterit.”
“Si crede che sua moglie Cesonia gli fece bere un filtro d’amore, ma che ciò lo rese pazzo.”

Svetonio non dedica altre righe a tale diceria né abbiamo altre prove contro la buona fede della matrona Cesonia, tuttavia è interessante notare le singolari condizioni in cui i due sposi si sono innamorati (copio qui sotto il testo originale, tenete tuttavia presente che non siamo a scuola perciò sentitevi liberi di bruciare il dizionario di latino e prendere in considerazione soltanto il testo tradotto):

“Lolliam Paulinam, C. Memmio consulari exercitus regenti nuptam, facta mentione aviae eius ut quondam pulcherrimae, subito ex provincia evocavit ac perductam a marito coniunxit sibi brevique missam fecit interdicto cuiusquam in perpetuum coitu. Caesoniam neque facie insigni neque aetate integra matremque iam ex alio viro trium filiarum, sed luxuriae ac lasciviae perditae, et ardentius et constantius amavit, ut saepe chlamyde peltaque et galea ornatam ac iuxta adequitantem militibus ostenderit, amicis vero etiam nudam. Uxorio nomine [non prius] dignatus est quam enixam, uno atque eodem die professus et maritum se eius et patrem infantis ex ea natae. Infantem autem, Iuliam Drusillam appellatam, per omnium dearum templa circumferens Minervae gremio imposuit alendamque et instituendam commendavit.
“Lollia Paolina era sposata con l’ex console C. Memmio, comandante di armate. Caligola, avendo sentito parlare di sua nonna come di una delle più belle donne del passato, la fece subito ritornare dalla provincia, se la fece cedere da suo marito per sposarla lui stesso [ma che schifo!] e ben presto la rimandò indietro, vietandole per sempre di aver rapporti carnali con chicchessia. Cesonia non era di particolare bellezza e nemmeno nel fiore degli anni, per di più aveva già avuto tre figli da un altro marito, ma era corrotta e viziosa. Provò per lei una passione ardente e duratura a tal punto che spesso la mostrò ai suoi soldati mentre cavalcava al suo fianco con mantello, scudo ed elmo; agli amici la fece vedere anche nuda. La onorò con il titolo di sposa; quando ebbe partorito, in un solo e medesimo giorno si proclamò suo marito e padre della bambina che aveva messo al mondo. Chiamata la bambina Giulia Drusilla la portò nei templi di tutte le dee e la posò nel grembo di Minerva che pregò di nutrirla e allevarla.”

La strana passione dell’imperatore per una donna anziana deve certamente aver suscitato scalpore nella metropoli e non c’è da stupirsi che la donna sia stata accusata di chissà quale maleficio. La povera Cesonia tuttavia non centra nulla con le celebri follie che hanno reso Caligola uno dei pazzi più celebri della storia, infatti Svetonio racconta:

“Valitudo ei neque corporis neque animi constitit. Puer comitiali morbo vexatus, in adulescentia ita patiens laborum erat, ut tamen nonnumquam subita defectione ingredi, stare, colligere semet ac sufferre vix posset. Mentis valitudinem et ipse senserat ac subinde de secessu deque purgando cerebro cogitavit.”
“La sua salute non fu ben equilibrata né fisicamente né psichicamente. Soggetto ad attacchi di epilessia durante la sua infanzia, divenuto adolescente, era abbastanza resistente alle fatiche, ma qualche volta, colto da un’improvvisa debolezza, poteva a mala pena camminare, stare in piedi, riprendersi e sostenersi. Lui stesso si era accorto del suo disordine mentale e più di una volta progettò di ritirarsi per snebbiarsi il cervello.”

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Lucrezio … un demente suicida?

Lucrezio è uno dei poeti e dei filosofi epicureismi più famosi di Roma, ll De rerum naturae, la sua opera più famosa, è un capolavoro della saggezza umana. Tra le poche informazioni biografiche sul suo conto troviamo però le sconcertanti affermazioni che San Girolamo ci rivela nel suo Chronicon:

“Titus Lucretius Carus nascitur, qui postea a poculo amatorio in furorem versus et per intervalla insaniae cum aliquot libros conscripsisset, quos postea Cicero emendavit, sua manu se interfecit anno 44”.
“Nasce il poeta T. Lucrezio, che dopo essere impazzito per un filtro d’amore e aver scritto alcuni libri [del poema?] negli intervalli della follia, che Cicerone pubblicò postumi, si suicidò all’età di quarantaquattro anni”.

Secondo alcuni commentatori moderni, esisterebbe un nesso tra la leggendaria assunzione di un filtro d’amore e la concezione di Lucrezio dell’innamoramento come Insania (follia), un sentimento che destabilizza l’animo e annienta l’equilibrio razionale. Altri invece ritengono che si tratti soltanto di una calunnia diffusa da San Girolamo per screditare la dottrina pagana di Lucrezio e il suo poema materialista ed epicureo, che sosteneva la mortalità dell’anima, spacciandolo per il delirio di un folle e di un suicida con la sportività che contraddistingue i primi cristiani. Non è certo che il poeta si sia suicidato, sebbene il De rerum naturae sia rimasto incompiuto, né si ritiene corretto tentare di individuare nel celebre poema le tracce di un’eventuale psicosi clinica, nonostante i continui paragoni tra amore e follia effettuati da Lucrezio.

San Girolamo ha tratto le informazioni su Lucrezio dal De Poetis, un’opera di Svetonio degli inizi del II sec. D.C. oggi andata perduta di cui il santo si serviva abitualmente. Ci troviamo di fronte dunque ad un secondo riferimento ai filtri d’amore nelle opere di Svetonio e potrebbe non trattarsi di una coincidenza: può darsi infatti che lo storico fosse particolarmente interessato ad aneddoti di questo genere.

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Il crimen magiae di Apuleio

Un altro importante episodio della storia romana sui filtri d’amore riguarda Apuleio, il celebre autore de Le metamorfosi che, oltre ad essere un brillante scrittore, era anche un filosofo platonico, seguace di vari culti iniziatici ed esperto di magia bianca.

Nel corso di uno dei suoi numerosi viaggi, mentre si dirigeva ad Alessandria lo scrittore sosta ad Oea, attualmente conosciuta come Tripoli, ove viene ospitato dal vecchio compagno di studi Ponziano. La madre dell’amico, la ricca vedova ormai sfiorita Emilia Pudentilla, decide di sposarsi con Apuleio e, nonostante le iniziali ritrosie dell’amato, riesce a convolare a nozze.

Poco tempo dopo Ponziano muore e i parenti di Pudentilla, per non perdere l’eredità, accusano Apuleio di aver sedotto la donna con un filtro d’amore a base di strani pesci marini per impossessarsi dei suoi beni. Viene dunque avviato un processo a carico dell’accusato nella città di Sabartha, al cospetto del proconsole romano Claudio Massimo, tra il 158 e il 159 d.C. Secondo la Lex Cornelia, le accuse di Crimen magiae avrebbero potuto costare ad Apuleio la pena di morte, il quale tuttavia riesce ad ottenere l’assoluzione grazie alla mancanza di prove incriminanti e ad una brillante orazione difensiva, pubblicata con il titolo di Apologia o Pro se de magia.

Il testo pervenuto sino ai nostri giorni, che rispecchia lo stile spettacolare della seconda sofistica, è un rifacimento a posteriori del discorso realmente pronunciato in tribunale, infatti è privo delle espressioni tipicamente adottate in contesti giudiziari ed è troppo lungo per essere recitato in una orazione pubblica. Apuleio ha adottato uno stile dinamico, con un lessico e un registro molto vario, con cui smentisce brillantemente delle accuse infondate e ne approfitta per sfoggiare la propria cultura.

Il riassunto in italiano dell’Apologia è disponibile cliccando su questo link: http://www.sunelweb.net/modules/freecontent/index.php?id=546

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Le ricette di Ovidio

Nell’antichità venivano commercializzate ogni sorta di porcherie per stregare l’oggetto del nostro amore o per rinvigorire il furore amoroso dei maschietti, molte delle quali erano nocive per l’organismo. Nell’Ars amatoria, la sua opera più famosa, Ovidio condanna i pericolosi filtri d’amore propinati da fattucchiere e ciarlatani, spesso prodotti con ingredienti pericolosi per l’uomo: sarebbero infatti di gran lunga più utile ed efficace l’assunzione di erbe e piante officinali. A questo proposito, Ovidio consiglia alcune ricette naturali a base di cipolla bianca proveniente dalla Grecia, pinoli, erica e miele. Anche le mandorle comporterebbero degli effetti positivi in amore e molti altri alimenti che oggi abbiamo smesso di considerare medicamentosi o magici. Spero che vi divertirete a scoprire, nel corso della lettura del poema, con quanta semplicità gli antichi cercavano di ottenere effetti medici, se non addirittura magici, con le sostanze più semplici.

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Vasellame in vetro rinvenuto nella laguna di Venezia (notizie.antika.it)

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Conclusioni

I filtrica d’amore, come molte altre schifezze, erano molto diffuse tra i superstiziosi dell’antichità sebbene la società avesse ormai compreso la differenza tra credenza religiosa e magia da ciarlatani. Siccome molto spesso le fattucchiere che producevano tali rimedi utilizzavano sostanze pericolose (mi piace immaginare i poveri amanti non ricambiati colpiti da coliche, nausee e cagarelle varie), la legge era molto severa nei confronti dei produttori come dei consumatori, infatti era prevista la pena di morte sin dai tempi più antichi. I filtri d’amore tuttavia erano un elemento ricorrente nell’immaginario collettivo romano e venivano menzionati nei pettegolezzi e nelle malelingue o sfruttati come strumento di diffamazione a tal punto da comparire nelle biografie di alcuni “vips” della storia romana come Caligola, Lucrezio e Apuleio.

Resta comunque valida la sentenza riportata da Seneca nelle Epistulae Morales ad Lucilium:

Hecaton ait, – ego tibi monstrabo amatorium sine medicamento, sine herba, sine ullius veneficae carmine: si vis amari, ama -.
Dice Ecatone: “Ti indicherò un filtro amoroso, senza pozioni, senza erbe, senza formule magiche: se vuoi essere amato, ama.”

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