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I finocchini Maggiora.

Creato il 15 aprile 2013 da Enricobo2
I finocchini Maggiora.
Un commento di un'amica sul post delle uova rotte, ha tirato fuori dal calderone dei miei ricordi più lontani, quelli un po' fumosi che compaiono e scompaiono come le cime degli alberi nelle nebbie della sera, che ormai un poco obnubila la mente, un altro flash di analogo argomento. Anche qui sono passati così tanti anni che, l'altra giorno, in cui ho posto la questione ad un gruppetto di miei pari età, quasi nessuno ha mantenuto un ricordo men che sfocato della cosa. Dunque erano gli anni '50, non c'era la televisione e quando non ero a scuola, la mia mamma mi portava con sé a fare le compere. Aveva i suoi negozi di fiducia, perché in quel tempo, in cui quasi tutto si vendeva ancora sfuso, epoca rimpianta con occhio languido dagli sciocchi (pronti a sottolineare con la matita blu solo gli aspetti negativi che ovviamente ci sono sempre in ogni miglioria) e quindi priva o quasi di ogni prodotto confezionato, dovevi andare solo a comprare da gente seria, altrimenti ti ritrovavi il latte annacquato o l'olio misto di schifezze. Nella via centrale di Alessandria, la più elegante e raffinata, dove cominciava ad affermarsi il passeggio pomeridiano, stavano aprendo i negozi della nuova modernità del dopoguerra. Non come l'affollata e parallela via del Mercato dove, grazie al susseguirsi ininterrotto dei negozi di alimentari, si godeva di un affollamento mattutino più rumoroso e plebeo. In Corso Roma, vedevi nascere quello che si direbbero le nuove tendenze, accanto ai negozi storici della città elegante: l'esposizione di Borsalino, il negozio di scarpe di Marchina e tanti altri di cui mi sfugge il nome, accanto ad altrettanto storici bar. 
Fece grande rumore l'apertura al centro del Corso del primo grande magazzino cittadino, l'Upim un modo di comprare moderno che vellicava nel cliente il senso di un'abbondanza, che terminate le miserie della guerra, stava diventando ormai alla portata di tutti, in un paese pieno di speranze ed in crescita tumultuosa. Poco più in là, sull'angolo con via Bergamo, aveva aperto da poco un negozio che rispondeva a questa tendenza in modo ancor più innovativo. Era lo spaccio cittadino del biscottificio Maggiora, un'azienda dell'astigiano che aveva capito le nuove possibilità della crescita del paese, passando come altre (vedi Ferrero) da negozio di campagna a industria. Erano nate le prime confezioni (un tempo genere di lusso assoluto che si vendevano in eleganti scatole di latta, gioia del collezionismo di oggi) di biscotti a prezzi accessibili al popolo, ma durante questa lavorazione, se ne rompevano un sacco, con notevole aggravio dei costi di produzione. Ed ecco l'intuizione geniale. Nel grande negozio sul Corso, un intero bancone era dedicato alla vendita dei biscotti "rotti", che un nugolo di commesse affannate provvedeva a mettere in sacchetti gonfi di carta bianca in cui venivano ammucchiati alla rinfusa. Il successo dell'operazione fu così travolgente, che alla fabbrica dovettero aprire un apposito settore che rompeva apposta biscotti e wafer, per soddisfare la richiesta. Altro che marketing. Appena arrivavi nelle vicinanze del negozio, per tutto il corso sentivi un profumo intenso e delizioso di biscotto che aleggiava nell'aria. 
Era come seguire la scia del pifferaio magico, che ti metteva subito di buon umore. Entravamo nel negozio, sempre pieno, aspettavamo il turno senza affanni, evidentemente quelle code dell'abbondanza parevano nulla al confronto di quelle della miseria del tempo di guerra e poi, col nostro pacchetto di biscotti rotti in mano, passavamo all'altro bancone, dove, sugli scaffali, facevano bella mostra le bellissime ed inarrivabili scatole di latta e le nuovissime confezioni in carta dei Maggiorini, che naturalmente nessuno comperava. Ma lì stava un'altra squisitezza imperdibile. I famosi Finocchini, una sorta di pan di spagna secco al sapore di anice che veniva prodotto un specie di tegole parallelepipede leggermente arcuate. Anche questi erano acquistabili sfusi e la mia mamma, me ne comperava sempre un pacchettino più piccolo, che le commesse riempivano con cura con una paletta di latta corta, prelevando a tre per tre i biscotti da un grande mucchio dietro la vetrina. Uscivamo dal negozio contenti e la mamma li faceva portare a me come fosse un piccolo tesoro. La fabbrica e quindi il negozio, chiuse negli anni '70, assorbita da Talmone e smise di fare biscotti, un altro esempio dell'incapacità delle dimensioni aziendali familiari italiane di adattarsi ai cambiamenti del mercato. Da quarant'anni nessuno fa più i Finocchini e anche io, se devo dirvi la verità non mi ricordo bene che gusto avessero, ma vi assicuro che dovevano essere davvero straordinariamente buoni.
I finocchini Maggiora.
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