Monte San Pietrangeli, novembre 1817.
Sor Pacifico[i] si apprestava a rincasare. Il giorno successivo, pensò, avrebbe riparato il meccanismo che permetteva il movimento della testa di Mengone; ultimamente non funzionava troppo bene. Quella sera, con la sua compagnia e le sue marionette, aveva fatto uno spettacolo a Camerino ed era piuttosto stanco. Appena ebbe chiuso il carrozzone e si fu allontanato un po’, Mengone alzò la testa lamentandosi:
- Ahio, ahio, che male! Che turcicollu! Non c’agghio più l’età pe’ ‘ste ‘mmazzate! Oh, non se ‘rriava mai, stasera! E che stradaccia! So’ tuttu ‘ntronatu!
(Ahi, ahi, che male! Che torcicollo! Non ho più l’età per queste strapazzate! Non si arrivava mai, questa sera! E che stradaccia! Sono tutto stordito!)
Guardò Lisetta distesa accanto a lui e la chiamò piano:
- Lisetta, a dormi?
(Lisetta, dormi?)
- No, neanch’io riesco a prender sonno - rispose stancamente la donna - sono sfinita.
Qualcun altro si stiracchiava o sbadigliava.
Pulcinella e Rugantino si erano sistemati nel loro cantuccio preferito: una cesta piena di teli. Il dottor Tartaglia si era appena sdraiato nella sua poltrona e Colombina stava rannicchiata accanto al suo fidanzato Arlecchino.
Ad un tratto si sentirono dei passi affrettati. Qualcuno si era fermato proprio accanto al carrozzone e tentava di aprire lo sportello.
Mengone alzò la testa: - Sssccchhh! Zitti! - ordinò sottovoce.
Un uomo entrò e richiuse piano la porta dietro di sé, cercando di restare immobile e di trattenere il respiro affannoso.
Si udì qualcuno avvicinarsi, girare intorno al carro e poi allontanarsi.
L’uomo tirò un sospiro di sollievo e si sedette su di uno sgabello. Con il fazzoletto si asciugò la fronte ed il collo bagnati di sudore. Un filo di luce che filtrava dalle fessure gli illuminava il viso. Mengone lo guardò bene, poi esclamò:
- Io te conoscio!
(Io ti conosco)
L’uomo, spaventato, balzò in piedi e cercò la maniglia della porta, ma Mengone lo rassicurò subito:
- Fèrmete, so un’amicu, férmete!
(Fermati, sono un amico, fermati!)
L’altro, che nella semioscurità, ad altezza d’uomo, non vedeva nessuno, aprì appena lo sportello per far entrare un po’ della luce che emanava la luna piena. Abbassando un po’ gli occhi, vide una specie di nano di fronte a lui ed altre strane creature che lo guardavano curiose.
- Chi ha parlato? - chiese.
- Io! - rispose calmo Mengone - Non te ‘mpaurì. No lo sa gnisciù che quanno statimo suli, nuatri sette parlimo e ce moimo come li cristià, ma per te facimo ‘na 'ccizziò. Io te conoscio, tu c'hai l'età mia, si' del '76 come me! Te chiami Niccolò, viro?
(Io! Non ti spaventare. Non lo sa nessuno che quando siamo soli, noi sette parliamo e ci muoviamo come i cristiani, ma per te facciamo un’eccezione. Io ti conosco, tu hai la mia età, sei del ‘76 come me! Ti chiami Niccolò, vero?)
- ...E'…vero...ma...chi…co…com'é possibile...- farfugliò l'uomo sempre più incredulo.
- Me rrecordo de te pe' lu fattu del '97[ii] - continuò Mengone - Sò saputo che sci scappatu via dopo che è stati mmazzati 'lli du’ dragù francesi qua la campagna nostra; ma do' eri jitu a finì? Se dicìa che eri mortu!
(Mi ricordo di te per il fatto accaduto nel ‘97. Ho saputo che sei fuggito dopo che furono uccisi quei due dragoni francesi nella nostra campagna; ma dove eri andato a finire? Si diceva che fossi morto!)
Niccolò riprese coraggio. Richiuse la porta e si avvicinò a quelle strane marionette, di legno, eppure vive, che gli si fecero intorno per ascoltarlo. Mengone gli avvicinò lo sgabello e dopo che si fu seduto, l’uomo cominciò a raccontare.
- E’ vero, io ero con quelli che trucidarono i due dragoni e, per paura delle ritorsioni, sono fuggito. Poi mi sono unito ai “montagnoli” del generale Sciabolone[iii] e nel ‘99 abbiamo combattuto contro i francesi che hanno saccheggiato Macerata[iv]. In seguito andai a Napoli. Lì mi ammalai, poi presi parte ad una sommossa e fui arrestato…e poi…poi volevo tornare a casa, rivedere finalmente mia moglie. Ormai le idee liberali si erano radicate in me e volevo combattere a fianco dei miei concittadini, per la libertà. Ma non era facile. La polizia vigilava e vigila tuttora molto attentamente, ci sono spie dappertutto. L’ultimo tentativo di insorgenza di questa estate a Macerata[v] ha infittito ancora di più la sorveglianza. Poco fa ero appena arrivato in paese e stavo cercando di raggiungere casa mia, quando mi è sembrato di essere seguito, così mi sono rifugiato qui dentro. Ecco, questa è la mia storia. - Guardò Mengone, poi chiese:
- Tu che mi dici?
- Io sò Mengone Torcicolli; questa adè mojema, Lisetta, e questa,
- disse indicando gli altri - adè tutta la compagnia: li nomi li conosci de sicuro. Semo le marionette de sor Pacifico Quadrini e recitemo le commedie de sor Andrea Cardinali in tutta la Marca e anche otre. Ma dimme, non si saputo più co’ de la famija tua?
(Io sono Mengone Torcicolli; questa è mia moglie, Lisetta, e questa è tutta la compagnia: li conosci di sicuro. Siamo le marionette di sor Pacifico Quadrini e recitiamo le commedie di sor Andrea Cardinali in tutta la Marca e anche oltre. Ma dimmi, non hai più saputo niente della tua famiglia?)
Niccolò scosse la testa in segno di diniego.
- Dopo che sci fugghiatu de Monte San Pietrangeli - lo informò Mengone - è natu Carlo, fijutu. È divendatu un gnoenottu vellu e brau, s’è sposatu co’ Marianna de Pietro, lu ferrà, c’ha ‘na frichetta che pare ‘na vamboletta, e sta pe’ nasce lu secondu fiju.
(Dopo che sei fuggito da Monte San Pietrangeli, è nato Carlo, tuo figlio. E’ diventato un giovanotto bello e bravo, s’è sposato con Marianna di Pietro, il fabbro, ha una bambina che sembra una bambolina e sta per nascere il secondo figlio.)
Gli occhi di Niccolò si illuminarono di gioia.
- Non vedo l’ora di abbracciarli tutti! - esclamò. Quindi si alzò e fece per congedarsi, ma Mengone aggiunse:
- Carlo, però, non ci sta.
(Carlo, però, non c’è)
- Perché, dov’è andato? - chiese preoccupato l’uomo.
- Me dispiace de dovettelo di’, ma è statu ‘rrestatu ‘mbo’ de jorni fa. Pare che a casa j’ha troato de li foji compromettendi.
(Mi dispiace dovertelo dire, ma è stato arrestato alcuni giorni fa. Pare che in casa gli abbiano trovato delle carte compromettenti)
- E dove l’hanno portato?
- A Roma, pare; a Castel Sant’Angelo.
- Allora andrò a Roma, e farò il possibile per liberarlo. Ora però vado a casa mia. Grazie, Mengone, e arrivederci. Arrivederci a tutti.
Niccolò uscì dal carrozzone guardandosi intorno con circospezione e si allontanò, rattristato da quell’ultima notizia.
- Poveraccio! - disse Lisetta dopo che ebbe richiuso la porta - Non sapeva nemmeno di avere un figlio, e chissà quando potrà vederlo!…
E chissà invece che colpo sarà per la moglie rivedere lui, dato che lo credeva morto!
- Bah! - sospirò Mengone - Addè però jemo tutti a durmì, che semo stracchi morti.
(Bah! Adesso però andiamo tutti a dormire, che siamo stanchi morti)
Passarono i giorni e passarono i mesi. Niccolò si era recato a Roma a perorare la causa di suo figlio presso la Santa Sede, forte del fatto che egli aveva combattuto contro i francesi per la salvezza dello Stato Pontificio, ma inutilmente.
Marianna, dal canto suo, continuava a fare le sue richieste alla polizia e scriveva petizioni, ma non si riuscì ad ottenere la liberazione di Carlo.
Passarono anche alcuni anni, tra schioppettate, sommosse, altri arresti e altre perquisizioni, ma anche feste, balli, ricorrenze.
Sor Pacifico continuava a girare per tutta la Marca col suo carrozzone, dilettando i ricchi, nei loro palazzi, e i poveri, nei teatri e nelle piazze.
Nell’estate del 1821 la piccola Luisa aveva quasi sette anni. La mamma la portava, insieme al suo fratellino, agli spettacoli di sor Pacifico. Luisa, affascinata dalle marionette, era sempre in prima fila. Un giorno Lisetta ebbe occasione di guardare più da vicino Marianna: la giovane donna aveva un aspetto sofferente; era molto dimagrita ed aveva lo sguardo triste. Sicuramente era consumata dalla fatica e dal dolore per il pensiero del marito in prigione. Lisetta lo fece notare a Mengone e agli altri amici. Tutti notarono pure che la bambina teneva in mano una piccola marionetta di legno, piuttosto malridotta, senza un occhio e con il vestitino lacero, e si mossero a compassione.
Quella sera, dopo che Pacifico se ne fu andato, le nostre marionette si sistemarono come al solito per dormire.
Mengone però si girava e rigirava sul suo tappetino e non riusciva a prender sonno. Infine si alzò e chiamò i suoi compagni.
- Svejeteve tutti e steteme a sintì! - Esclamò in tono autoritario.
(Svegliatevi tutti e statemi a sentire!)
Arlecchino fu il primo a saltar su e diede una scrollata a Rugantino, che russava rumorosamente.
Pulcinella aprì un occhio; Rugantino lo guardò pieno di comprensione e gli disse:
- Ahò, qua nun se po’ mai dormì in pace!
(Oh, qui non si puà mai dormire in pace!)
Tartaglia inforcò gli occhiali, mentre Colombina si sistemava la crestina e sorrideva guardando quei due pigroni di Pulcinella e Rugantino che erano sempre gli ultimi ad alzarsi.
Co-co-cosa c’è di tanto immm-portante, sor Mengone? - chiese Tartaglia, mentre si sedeva insieme agli altri.
- Qua ci sta da pijà ‘na dicisiò! - rispose Mengone rivolgendosi a tutti - E’ rriatu lu momentu de decide da che parte statimo: co’ lu Papa o co’ li carbonari? Parla tu per primu, dottò, che sci lu più anzianu e lu più struitu!
(Qui c’è da prendere una decisione! E’ arrivato il momento di decidere da che parte stiamo: con il Papa o con i carbonari?)
Tartaglia si alzò e cominciò a parlare:
- Se-se-secondo me le idee dei ca-ca-carbonari sono giuste, ma la Chi-chiesa è stata sempre immm-portante per Monte San Pietrangeli. Proprio ieri le-le-leggevo la vostra storia del qua-quattrocento: senza il Pa-pa-papa, chi vi avrebbe liberati dal do-do-dominio dello Sforza, o dalla prepotenza dei fe-fermani, che assediarono, saccheggiarono e innn-cendiarono le vostre terre più volte nel co-co-corso di tutto il quindicesimo se-secolo? -
- Ma cossa m’andè a tirar fora lo Sforsa, che non se ne trova più gnanca le osa! - lo interruppe Arlecchino - Mi son per la rivolusion!
(Ma cosa m’andate a tirar fuori lo Sforza, che non se ne trovano più neanche le ossa! Io sono per la rivoluzione!)
- E pur’ie! - esclamò Pulcinella.
(Anch’io!)
- Viva la libbertà! - gli fece eco Rugantino - anche quella de dormì infino a dimatina.
(Viva la libertà! Anche quella di dormire fino a domattina!)
Tutti risero e applaudirono.
Lisetta e Colombina avevano confabulato un po’ fra loro, poi prese la parola Lisetta:
- Anche noi stiamo con i carbonari. Senza contare che tutti i nostri amici qui a Monte San Pietrangeli sono rivoluzionari, a cominciare da sor Pacifico e suo cugino Andrea Cardinali.
- Sapete che sor Andrea ha scritto un inno nazionale? - continuò Colombina - Dobbiamo impararlo!
- Allora - concluse Mengone - fratélli, anzi, cugini, come se chiama li carbonari tra loro, d’ora in avandi ce daremo da fa’ pe’ la causa de l’indipendenza! Sete d’accordo, sor dottore? - chiese rivolto a Tartaglia.
(Allora fratelli, anzi, cugini, come si chiamano i carbonari tra loro, d’ora in avanti ci daremo da fare per la causa dell’indipendenza! Siete d’accordo, signor dottore?)
- Pe-pe-per me va be-be-benissimo! - rispose il dottore.
- Vabbuò! - disse Pulcinella alzandosi - A ‘ddunanza è fernuta?
(Bene! L’adunanza è finita?)
- Scine - concluse Mengone - vonanotte a tutti.
(Sì; buonanotte a tutti)
E finalmente anche lui potè addormentarsi tranquillo.
Nei giorni successivi Mengone fece del tutto per attirare l’attenzione di Niccolò e infine riuscì a comunicargli la loro decisione di aderire alla carboneria e la loro volontà di contribuire in qualche modo alla causa dell’unificazione d’Italia.
Le marionette erano sempre molto attente ad ascoltare i discorsi di tutti, sia dei loro amici reazionari, sia dei funzionari di polizia e dei loro sottoposti che frequentavano il teatro.
Un giorno, dopo uno spettacolo, passando casualmente vicino a Mengone, Niccolò si sentì chiamare. Si avvicinò senza farsi notare e Mengone gli sussurrò all’orecchio:
- Te devo parlà; venne stasera su lu carozzò.
(Ti devo parlare; vieni questa sera nel carrozzone)
La sera, sempre con la massima prudenza, Niccolò si recò dai suoi amici.
- Te devo dì ‘na cosa de la massima ‘mportanza - cominciò Mengone appena l’uomo si fu accomodato sul solito sgabello - Semo saputo chi è statu a fa ‘rrestà Carlo. Devi sapè che da fricu Carlo c’aìa ‘n’amicu, Gregorio de la Zeppa, che mmo’ adè lu commissariu de pulizia, ma a sindì issu pare ch’adè lu governatore de la Marca. ‘Stu Gregoriu, da jenottu, era misto l’occhi su Marianna, ma essa no ne vulìa sapè co’, sicchè non ha mai digerito lu fattu che po’ s’è sposata co’ fijutu. Ce l’ha ‘uta sempre a morte co’ issu, tanto che quanno je s’è presentata l’occasciò, ha fatto cascà ‘llu poru vardasciu in un tranellu, e adè riuscitu a fallu ‘rrestà. Anzi, l’occasciò l’ha preparata porbio issu!
(Ti devo dire una cosa della massima importanza. Abbiamo saputo chi è stato a far arrestare Carlo. Devi sapere che Gregorio di Vanni, che è il commissario di polizia, ma a sentire lui sembra che sia il Governatore della Marca, da giovane aveva messo gli occhi su Marianna, ma lei non ne voleva sapere, sicché non ha mai digerito il fatto che poi abbia sposato tuo figlio. Ce l’ha avuta sempre a morte con lui, tanto che quando gli si è presentata l’occasione, ha fatto cadere quel povero ragazzo in un tranello ed è riuscito a farlo arrestare. Anzi, l’occasione l’ha creata proprio lui!)
- Ma voi che prove avete di tutto questo? - chiese turbato Niccolò.
- Purtroppo, mango una.
(Purtroppo, nemmeno una)
Niccolò sospirò sconsolato.
- Però…se se riuscesse a fallu confessà…..- propose Mengone.
(Però…se si riuscisse a farlo confessare…)
- E come? - chiese ansioso l’uomo, poi, accortosi che gli altri sorridevano, aggiunse:
- Avete qualche idea?
- Scordeme! - disse Mengone, e gli espose il loro piano.
(Ascoltami!)
Quando ebbe finito, aspettò la reazione di Niccolò, il quale, dopo un attimo di riflessione, disse:
- Potrebbe anche funzionare! Fatemi sapere quando siete pronti.
Quindi si congedò e se ne andò, per la prima volta dopo anni, col cuore pieno di speranza.
Il giorno convenuto, un sabato di luglio, Niccolò chiese a sor Pacifico un gran favore: dopo lo spettacolo in piazza, avrebbe dovuto lasciare il carrozzone vicino all’ingresso della torre, e non rimuoverlo prima di tre giorni, adducendo come scusa una ruota malandata, che avrebbe potuto sistemare soltanto il martedì successivo. Sor Pacifico, che era un carissimo amico, acconsentì.
Niccolò avrebbe voluto partecipare all’operazione, ma Mengone gli disse che era meglio non rischiare: si era avuta notizia dei moti scoppiati a Napoli e la polizia controllava ogni persona ed ogni luogo.
A notte fonda le marionette uscirono furtivamente dal carrozzone e salirono in cima alla torre. Avevano indossato i costumi dei sette nani impersonati in una recita, e avevano legato delle pezze ai piedi per non fare rumore. Ognuno aveva un fagotto sulle spalle. Una volta giunti alla cella campanaria cominciarono a lavorare alacremente.
Per prima cosa controllarono che la botola che dava sul piano sottostante funzionasse bene, dopodiché costruirono la sagoma di un frate che esposero ad un finestrone ed infine accesero dei piccoli fuochi ai quattro lati della torre.
Naturalmente la cosa non passò inosservata e una guardia che passava di lì corse subito a chiamare sor Gregorio, riferendogli di aver visto un frate con dei folletti sulla torre campanaria. Il commissario arrivò di gran carriera, pensando si trattasse di una insurrezione, già pregustando la soddisfazione di troncare la sommossa sul nascere e arrestare tutti gli insorti. Giunto sotto la torre, guardò in alto, vide la figura del frate e sentì una voce che sembrava provenire dall’aldilà, che si rivolgeva proprio a lui:
- Sono l’anima di frate Pietro[vi] . Sono stato qui chiamato dal Papa in persona per parlare con te, Gregorio. Vieni!
Gregorio non credeva ai fantasmi e tantomeno ai folletti, così entrò nella torre, seguito dalla sua guardia, convinto di catturare quel burlone che si prendeva gioco di lui.
Nel frattempo, però, i nostri amici si erano calati lungo la fune della campana, portandosi dietro il fantoccio del frate e si infilarono nel carrozzone; si tolsero i costumi, smontarono il fantoccio e si misero a dormire.
Nella cella campanaria Gregorio non trovò altro che i quattro fuochi.
Non sapeva spiegarsi l’accaduto, ma si rifiutava di credere ai fantasmi e ai folletti.
La sera dopo, lo strano fatto si ripeté.
La terza sera il commissario pensò di salire sulla torre, accompagnato da quattro delle sue guardie, appena calato il buio e aspettare che qualcuno si avvicinasse. Lasciò il suo vice a sorvegliare l’ingresso, in modo che nessuno potesse entrare o uscire, ma a questo punto intervenne Niccolò, che con una scusa qualsiasi distrasse la guardia, quel tanto che bastava per permettere alle marionette di uscire dal carrozzone e introdursi nella torre.
- Jemo! Sbrighemece! - (Andiamo, sbrighiamoci!) le incitava Mengone, mentre aiutava Lisetta e Colombina a scendere dal carro.
- Arri-ri-ri-riv…- fece Tartaglia, ma Rugantino lo interruppe subito:
- Nun parlate,dottò, che nun c’avemo tempo!
(Non parlate, dottore, che non abbiamo tempo!)
- Ostregheta, me trema le tavernelle! - (Mi tramano le gambe!) diceva intanto Arlecchino, ma Pulcinella lo spinse avanti:
- Jamme jà, facimme ampressa!
(Andiamo, facciamo presto!)
Si arrampicarono quindi su per la fune della campana e arrivarono fino al piano sottostante la cella campanaria. Quando capirono che gli uomini erano nel punto giusto, aprirono la botola e li fecero cadere di sotto. Nel frattempo, approfittando del fatto che erano stramazzati in terra tramortiti, i sette falsi folletti si portarono al piano di sopra, montarono la solita sagoma e l’avvicinarono alla botola, in modo che il commissario la intravvedesse, e Mengone, che dava la voce al frate, cominciò a parlare:
- Gregorio, tu hai commesso un grave peccato: hai tradito un amico e con l’inganno l’hai mandato in prigione. E’ ora che tu rimedi alla tua scelleratezza e faccia in modo da rimettere in libertà il povero Carlo, altrimenti i miei folletti ti getteranno dalla torre: farai la mia tessa fine. Vicino a te troverai carta e penna: scrivi la tua confessione e l’ordine di scarcerazione di Carlo e avrai salva la vita. Metterai il foglio nel cesto che ti caleremo.
Il commissario, sempre più frastornato, non ci pensò due volte e fece quanto gli era stato chiesto.
Appena la botola si fu richiusa sopra di lui, cominciò a gridare a squarciagola per chiamare aiuto e farsi liberare.
Mentre il suo aiutante accorreva, i nostri amici, lungo il solito condotto della fune, uscirono, consegnarono il prezioso foglio a Niccolò, tornarono nel carro e festeggiarono la riuscita dell’impresa.
Nei giorni seguenti Gregorio, divorato dalla rabbia, avrebbe voluto perquisire ogni casa e ogni strada, ma la voce della sua confessione si era sparsa in fretta e lui si vergognava troppo di quell’episodio che non sapeva come spiegare e che lo aveva umiliato tanto, così da quel giorno si occupò solo delle faccende di ordinaria amministrazione.
Naturalmente non passò molto tempo che Carlo, finalmente libero, potè tornare a casa e riabbracciare i suoi cari.
Niccolò era molto riconoscente ai suoi strani amici e andava spesso a trovarli, ed essi a loro volta erano grati a lui, perché aveva permesso loro di rendersi utili alla lotta per l’indipendenza.
Mengone e compagni continuarono il loro lavoro e continuarono a vedere Luisa, ora con tutta la sua famiglia, agli spettacoli. Marianna era finalmente serena e la piccola marionetta della bimba, dalla quale non voleva mai separarsi, era stata riparata da Pacifico.
E tra gli spettatori c’era sempre qualcuno che giurava di aver visto Mengone strizzare un occhio a Niccolò.
Questa è una storia
Di tanti anni fa
Ma se sia vera
Nessuno lo sa
[i] Pacifico Quadrini era un valentissimo falegname, intagliatore e doratore. Aveva partecipato alle guerre napoleoniche, ma una volta tornato a casa, decise di costruire marionette. Creò così Mengone, con la testa grossa, quasi pelata, con pochi capelli stopposi, gli occhi grandi, un naso piuttosto grosso e prominente, di corporatura tozza.Il cugino di Pacifico, Andea Longino Cardinali, creò l’anima della marionetta e lo descriverà come il caratteristico contadino marchigiano, buono, furbo, forse un po’ ingenuo e pasticcione, ma genuino e sincero. Cardinali, che era un letterato, grecista, amico di Leopardi, Foscolo, Monti, fra il 1816 e il 1859 scrisse dieci commedie per marionette, con Mengone quale personaggio principale.
[ii] Il 4 febbraio 1797 i francesi invasero la Marca. Le popolazioni, preoccupate per le imposizioni smisurate, in denaro o in generi vari, da essi imposte, si sollevarono in più parti. A Fermo fu ucciso un dragone, altri due furono trucidati nel territorio di Monte San Pietrangeli.
[iii] Nel 1798 fu abolito il Governo Pontificio e proclamata la Repubblica Romana, che comprendeva anche la Marca. Continuavano le sollevazioni. Sorsero delle bande di insorgenti, i “montagnoli” (così detti perché si erano raccolti sulle montagne e da lì partivano per le loro operazioni) capitanati da generali di “massa” . Uno di questi era Giuseppe Costantini, detto Sciabolone.
[iv] Nel 1799 le truppe napoletane ripresero Roma. Macerata, che era ancora in mano ai francesi, fu saccheggiata e incendiata, finchè non fu liberata dalle truppe di massa dei generali Sciabolone, Vanni e Navarra. Durante il sacco trovò la morte, per mano di un francese, padre Felice Rosetani, un dotto e virtuosissimo francescano di Monte San Pietrangeli.
[v] I carbonari avevano programmato un’insurrezione, che da Macerata si sarebbe dovuta espandere in tutta la Marca, ma venne stroncata sul nascere.
[vi] Durante il dominio di Fermo, un tal frate Pietro, ardente di amor patrio, fu dai nemici precipitato dalla Torre di palazzo. (Scritti e ricordi del Pof. Cav.Giuseppe Branca)