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I fondati timori degli immigrati

Creato il 17 settembre 2011 da Gadilu

Il consigliere provinciale dei Freiheitlichen Sigmar Stocker ha fatto a mio avviso una pessima figura, ieri l’altro, inveendo contro un piccolo gruppo di concittadini “stranieri” (anzi, in prevalenza di concittadine, visto che si trattava di sette donne e un solo uomo) riunitosi a dimostrare pacificamente contro la proposta di legge sull’immigrazione attualmente in discussione a palazzo Widmann. “Siete solo capaci di lamentarvi, in giro ci sono tanti sudtirolesi che hanno problemi più gravi dei vostri, ma loro non vengono qui a manifestare perché sono persone educate”, questo il disarmante contenuto delle sue esternazioni. “Sputano nel piatto in cui mangiano”, la deleteria conclusione. Purtroppo non si tratta di parole dette senza riflettere, sulle quali si potrebbe eventualmente sorvolare. Esse corrispondono a un pensiero assai strutturato e tenace, temo addirittura molto diffuso, ed è dunque necessario spendere un paio di considerazioni al riguardo.

 Il motto che informa lo spirito della legge intitolata all’integrazione degli stranieri suona “promuovere ed esigere”. Nella sua relazione di minoranza, letta in Consiglio e poi pubblicata sul suo blog personale, Riccardo Dello Sbarba ha parlato però di “Fordern und Fördern”, pretendere e sostenere, significativamente messi in quest’ultimo ordine di precedenza. Qui si sente fortemente la mancanza di un terzo concetto. Quello di “Anerkennen”, riconoscere. Riconoscere è un verbo più sfuggente di quel che sembra a prima vista e contiene parecchie sfumature, tutte importanti per il discorso che stiamo facendo. Quelle che c’interessano di più sono rese così dal vocabolario on line della Treccani: “Conoscere una persona o cosa quale è realmente, nella sua essenza o in una sua qualità”; ma anche: “Dichiarare di conoscere, considerare valido e operante, accettare o ammettere ufficialmente o apertamente”; infine, adottando la forma riflessiva: “Sentirsi partecipe, consenziente”. Riconoscere significa insomma ammettere il contributo fondamentale di ciò che stiamo “riconoscendo”, è un gesto di apertura e di fiducia preliminare, indispensabile per collocare in un più giusto contesto qualsiasi “promozione” ed “esigenza” che potremmo adottare in seguito (e solo in seguito).

 Chi invece approva l’impostazione secondo la quale “gli stranieri sputano nel piatto in cui mangiano” non è disposto a riconoscere alcunché, ma al contrario si aspetta una forma di “riconoscenza” a fondo perduto. In questo caso però non si può dare alcuna effettiva partecipazione o un reale consenso: solo passiva accettazione dell’esistente e alle condizioni poste dall’esistente. “Senza di noi niente di noi”: lo slogan scelto da quei manifestanti ha dimostrato che i loro timori erano purtroppo più che fondati.

Corriere dell’Alto Adige, 17 settembre 2011



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