In principio fu il feuilleton, il taglio basso dei giornali ottocenteschi, romanzo popolare a puntate, destinato ad aumentare le vendite dei giornali. Poi, nel 1947, un certo Stefano Reda va in giro per le case editrici proponendo l’idea pazza e innovativa di un fumetto che abbia foto al posto dei disegni. Solo la piccola casa editrice Novissima, consociata con la Rizzoli, accetta. Esce Sogno, un giornale di sedici pagine. I soggetti sono di Reda e di Luciana Peverelli, scrittrice di romanzi rosa. Dopo poco anche Arnoldo Mondadori pubblica un albo di fotoromanzi dal titolo Bolero (film). A questi due va aggiunto il precedente Grand Hotel, i cui romanzi, però, erano solo disegnati.
Siamo nel secondo dopoguerra, le storie sono semplici e sentimentali, tante ragazze sognano e imparano a leggere. Le prime narrazioni sono sequenze di film famosi o adattamenti di romanzi della letteratura “alta”, come i “Promessi Sposi” di Manzoni, “I miserabili” di Victor Hugò, o, addirittura, della Bibbia. Col passare del tempo, i soggetti si moltiplicano e, a interpretare i fotoromanzi, sono chiamati personaggi dello spettacolo, come Raffaella Carrà, Giuliano Gemma, Sofia Loren.
Ma sarà la casa Lancio, dopo aver rilevato “Sogno”, a dare l’impulso maggiore al genere. Negli anni sessanta nascono le più importanti testate di questa editrice che diventa sinonimo di fotoromanzo: a Sogno si aggiungono Letizia, Charme, Marina, Kolossal e molte altre.
Il decennio di massimo splendore è quello degli anni 70. Si vendono cinque milioni di fotoromanzi il mese, quindicimilioni di persone li leggono dal parrucchiere, nelle sale d’attesa dei medici, aspettando l’uscita in edicola o il prestito di un’amica.
La categoria che più viene catturata è quella delle tredicenni. Inesperte di sentimenti e di sesso, tutte noi avevamo un’amica appena più smaliziata che ci passava pacchi di fotoromanzi usati, con le pagine arricciate, con i cuori disegnati a penna sulle foto degli attori più belli. Li accoglievamo a braccia tese come un bene prezioso, li tenevano nascosti nelle nostre camerette, perché madri e nonne storcevano il naso di fronte a quelle foto dove un uomo e una donna non sposati comparivano in un letto, distesi l’uno accanto all’altro, con un lenzuolo a coprirli fino alla gola. Ma l’immagine lasciava intuire - e sognare - più di tante esplicite e prolungate scene di sesso nelle nostre fiction odierne, naturale evoluzione del genere.
Espressione della narrativa popolare, sogno allo stato cartaceo e fotografico, i fotoromanzi avevano trame coinvolgenti, avventurose e ricche di sentimenti facili. Le protagoniste erano eroine belle, gentili, con le quali potevano identificarsi ragazze comuni. La loro felicità era insidiata da rivali cattive, dall’eleganza accigliata, sempre predilette da future suocere intriganti. Tutto si risolveva, il lieto fine era assicurato, i cattivi venivano puniti, gli innamorati si sposavano.
Ma, soprattutto, quelli che ci facevano impazzire erano i protagonisti maschili, attori di cui tutte noi appendevamo il poster alla parete. Primo fra tutti lui, l’icona, il bellissimo, la quintessenza della virilità: Franco Gasparri. Occhi verdi, capelli neri, spalle poderose, il fotoromanzo della sua vita s’interromperà a trentadue anni, per una caduta dalla moto che lo costringerà su una sedia a rotelle fino alla sua morte, avvenuta nel 99.
Gli anni settanta, dicevamo, segnano il boom del fotoromanzo, creando miti adorati dalle adolescenti italiane: Katiuscia, Michela Roc, Franco Dani, Paola Pitti, le sorelle Claudia e Francesca Rivelli (Ornella Muti).
Dal nostro paese, il genere del fotoromanzo si diffonde in tutto il mondo, fino all’America Latina e l’India.
Ma dopo l’apice, la decadenza. La lettura dei fotoromanzi scema nella seconda metà degli anni ottanta, soppiantata da altre forme d’intrattenimento popolare, dalle telenovelas alle fiction, e sono questi nuovi generi, da allora in poi, a dirci cosa e come dobbiamo sognare.
CriticaLetteraria
In principio fu il feuilleton, il taglio basso dei giornali ottocenteschi, romanzo popolare a puntate, destinato ad aumentare le vendite dei giornali. Poi, nel 1947, un certo Stefano Reda va in giro
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