Era il 13 marzo 2013, esattamente un anno fa, quando prima della fumata bianca che annunciò l’elezione di Papa Francesco, due gabbiani argentati si posarono sul comignolo della Cappella Sistina. Il gabbiano che vive in colonie lungo il Rio de La Plata (Fiume d’argento) è uno dei simboli più rappresentativi dell’Argentina che probabilmente deve il suo nome proprio a quei volatili: per questo molti pensarono che quel segno indicasse che il nuovo Papa sarebbe stato argentino.
In un anno di pontificato Papa Francesco ha rivoltato come un calzino la Chiesa romana dando l’avvio, con il suo esempio, ad una spending review che tutti gli Stati dovrebbero seguire. Rivoluzionaria è stata la scelta di restare nella residenza di Santa Marta rinunciando agli appartamenti papali, di non inforcare le classiche scarpe di pelle rosse ma continuare a calzare il suo paio di scarpe nere consumate. Di usare i mezzi pubblici, di non utilizzare le auto blu ma di spostarsi in utilitaria nei suoi viaggi fuori Roma.
Una semplicità e una coerenza che hanno colpito profondamente soprattutto chi era lontano alla Chiesa perché ne criticava privilegi e ricchezze.
La semplicità di Papa Francesco
Il messaggio che il Papa ha lanciato attraverso comportamenti e parole, fermi restando i principi fondamentali e irrinunciabili della religione cattolica, è stato quello del dialogo e dell’apertura. Un messaggio che spiazza soprattutto chi in questi anni ha accusato la Chiesa di chiusura e severità di giudizi.
Le parole semplici di Papa Francesco, il suo buon giorno e buon pranzo, sono arrivati al cuore della gente, superando complicate argomentazioni teologiche spesso accessibili solo agli addetti ai lavori. Le sue parole di fuoco verso la stessa Chiesa, chiamata ad essere un coerente punto di riferimento soprattutto per gli ultimi, gli hanno fatto guadagnare una particolare credibilità soprattutto da parte degli osservatori più critici.
Per questo, il suo richiamo ad una politica più etica e ad un’economia che rispetti la dignità dei lavoratori ha assunto una forza prorompente. Una valenza universale. E il suo abbraccio ai lavoratori del Sulcis, durante la prima visita pastorale in Sardegna nel settembre 2013, il suo indossare il casco da minatore, simbolo di un’economia che schiaccia gli operai e li costringe a condizioni di lavoro inumane per sopravvivere, sono stati per la gente importantissimi segni di speranza.
La stessa spiritualità semplice di Papa Francesco, testimoniata dal suo stesso nome, è fatta di segni tangibili in grado di farci entrare nella ineffabile dimensione dell’imperscrutabile: quegli stessi segni che lo Spirito Santo distribuisce generosamente ai cristiani per indicare loro il cammino da seguire.
Segni. Come i due gabbiani che esattemente un anno fa si sono posati sul comignolo della Cappella Sistina.
Sembra di sentirli parlare. E di sentire l’universale e eterno messaggio di un Dio fatto uomo che si è lasciato uccidere per la salvezza degli uomini.
“Ma dì un po’, come fai ad amare una tale marmaglia di uccelli che ha tentato addirittura d’ammazzarti?”
“Oh, Fletch, non è mica per questo che li ami! È chiaro che non ami la cattiveria e l’odio, questo no. Ma bisogna esercitarsi a discernere il vero gabbiano, a vedere la bontà che c’è in ognuno, e aiutarli a scoprirla da se stessi, in se stessi. È questo che intendo io per amore…”Da Il gabbiano Jonathan Livingston – Richard Bach