Desideravo vedere in scena questo spettacolo da un po’. I personaggi sono tanti, le compagnie che intendono rappresentarlo devono essere, ovviamente, numerose. Dati i tempi di crisi, le possibilità non sono molte. Almeno al Sud, dove i teatranti cercano di ritagliarsi propri spazi, pur di non rinunciare a quella passione-professione che hanno scelto.
L’aspetto simpaticamente caratterizzante dell’andare a teatro a Sud è il pubblico. Al di là del posto, che sia un teatro storico o un locale adibito a teatro, mi capita sempre di incontrare queste due tipologie: i giovani, per i quali il teatro è alternativo, e le signore imbellettate, per le quali il teatro è teatro e un gioiello visibile al collo ci sta tutto. E perdonatemi se in quattro righi avrò scritto sei volte la parola “teatro”, ma capirete perché.
Io comunque preferisco i piccoli, quelli costruiti con fatica e desiderio. Mi danno di intimità e atmosfera vintage. E così, mi sono ritrovata I giganti della montagna in casa, a Molfetta (Bari), quale rappresentazione conclusiva di un laboratorio teatrale promosso dall’associazione “Il carro dei comici” e tenuto dalla compagnia “Carretto Teatro”. Attori giovani e adulti, appassionati e professionisti: insieme per l’ultima opera incompiuta di Pirandello.
La performance, in due atti (rispetto ai tre originali), è la combinazione di due opere dell’autore siciliano: I giganti della montagna e La favola del figlio cambiato.
Mentre Francesco Tammacco – regista – presenta, compaiono sul palco gli attori della “Compagnia della Contessa” che vogliono raccontare La favola del figlio cambiato. La loro apparizione mette in subbuglio gli abitanti della villa “La Scalogna”– disadattati, fuori dai margini della società, intenzionati a vivere privi di tutto, ma con tutto il tempo per sé –. Gioco di luci, turbamento, voci, confusione.
L’invito della combriccola è a restare, pur vivendo agli orli della vita, perché, come dice lo sciamano Cotrone, manca forse il necessario, ma del superfluo c’è una grande abbondanza.
“La Compagnia della Contessa” può finalmente mettere in scena l’opera scritta tempo addietro da un poeta per la prima attrice Ilsa Paulsen, per la quale si era tolto la vita.
Parte così il racconto del dolore di una madre a cui è stato cambiato il figlio, una sofferenza che non si può comprendere, ma l’anima quando non hai peccato la puoi mostrare a tutti.
Anime, spiriti, fantasmi: sono questi i protagonisti, nonostante la corporeità dello spettacolo (perché è bello vedere tante figure sul palco). E poi, i fantasmi non c’è mica bisogno di andare a cercarli, basta farli venir fuori da noi stessi.
C’è l’eco di un dramma che ha come cassa di risonanza la solidarietà e la disperazione allo stesso tempo, la contraddizione tra la vita dell’arte e l’arte-artificio della vita. Che si tratti di finzioni o realtà, i dilemmi esistenziali sono veri, perché umani. Ecco perché può non esserci un teatro per recitare o un letto per dormire. La struttura può cadere, ma l’uomo resta, con tutta la sua concretezza e sensibilità e la sua interiorità.
Una performance che si può godere anche senza interruzioni, perché prende l’anima dello spettatore, così concentrato che perde il contatto con il contesto circostante. E se gioco anch’io linguisticamente, è perché magari voglio trasmettere anche io lo sperimentalismo linguistico che ha caratterizzato il laboratorio teatrale.
Ritoccata e ben riuscita è la parte della megera Vanna Scoma, che parla un napoletano schietto, duro, aspro, quale omaggio al “Ferdinando”, opera di Annibale Ruccello, autore contemporaneo poco noto.
Se per Pirandello i giganti potevano essere il nascente Futurismo, lo Stato, il mondo ostile all’idea di arte, chi sono oggi? «Il mondo ipertecnologico, poco sensibile all’anima. La tv, in particolare, poco propensa all’arte. Abbiamo bisogno di alimentare la nostra anima, non solo la bocca» sostiene il regista, Francesco Tammacco. Per questo lo spettacolo si conclude con citazioni de La grande bellezza e un mix di spezzoni musicali di programmi televisivi.Si ringraziano Daniela Rubini (la Contessa), Leonardo Mezzina (Cotrone) e Vincenzo Raguseo (Vanna Scoma), per il contributo professionale.
Ottime le interpretazioni di Raffaele Antonucci (in arte, Milordino), Marianna Pisani (Sgricia), Valeria Angione (nano Quaquèo).
Susanna Maria de Candia