E’ un luogo comune: il tennis italiano non è in grado di raggiungere un livello pari a quello del tennis spagnolo, giusto per fare un esempio, o di quello russo e in generale dell’Europa dell’Est se si fa riferimento al femminile. Qual è la causa di questo “male”?
E’ un luogo comune: il tennis italiano non è in grado di raggiungere un livello pari a quello del tennis spagnolo, giusto per fare un esempio, o di quello russo e in generale dell’Europa dell’Est se si fa riferimento al femminile. Qual è la causa di questo “male”?
Ritengo che per trovare una risposta bisogna andare a scavare fino alle fondamenta e trovare le debolezze strutturali che impediscono la crescita del tennis nel nostro Paese; la base di tutto è rappresentata dai giovani e il problema principale è la scarsa promozione e preparazione di nuovi talenti.
Al giorno d’oggi la preoccupazione principale dei circoli di tennis, più o meno importanti, è rappresentata dal profitto e spesso si tende ad accettare un numero indefinito di iscritti e di nuovi associati, a discapito della qualità; ci si ritrova con sei o più bambini/ragazzi all’interno di un unico campo da tennis e spesso di età e capacità differenti. Questa condizione è causa quasi sempre della diminuzione di motivazione e di divertimento da parte dei giovani atleti, soprattutto di quelli più “forti” il cui potenziale viene decisamente ignorato e il loro valore pian piano si dissolve.
Sono tanti gli aspetti che vengono spesso trascurati, per mancanza di spazio o di attrezzature adeguate, primo fra tutti quello appena citato dell’età degli allevi. Ogni fascia d’età è caratterizzata dallo sviluppo di diverse abilità e capacità che precedono quelle delle fasi successive e che difficilmente possono essere “recuperate” in seguito. Questa suddivisione non va considerata in modo rigido poiché il passaggio da una fase all’altra non è netto, ma avviene gradualmente e dipende da altri fattori che al momento non andremo ad analizzare.
Sintesi schematica delle varie fasce d’età e delle loro caratteristiche:
- Prima infanzia e infanzia (0-3 anni): sviluppo globale del bambino (es.: imparare a camminare); questa fase non ha un’importanza rilevante dal punto di vista dell’avviamento allo sport.
- Età prescolare (dai 3 ai 6-7 anni): definita anche età “aurea”, è caratterizzata da un forte impulso a muoversi e da tanta curiosità nei confronti di tutto ciò che è nuovo e sconosciuto; la voglia di giocare e imparare è molto alta; ci si deve concentrare perciò sull’acquisizione di abilità molto varie (rotolare, arrampicarsi, saltare…)
- Prima età scolare (6-7 fino a 10 anni): grande interesse verso lo sport, migliori capacità di concentrazione e differenziazione, ma tendenza a “dimenticare” le nuove abilità motorie apprese; in questa fase bisogna dedicarsi alla ripetizione delle abilità nuove e allargare il bagaglio sportivo dei bambini tramite la pratica di vari sport. E’ fondamentale dedicare molto tempo alla coordinazione che in questa età viene acquisita con maggiore facilità e velocità.
- Seconda età scolare (dai 10 anni fino all’inizio della pubertà): aumento notevole della forza e controllo elevato del proprio corpo. L’età migliore per l’apprendimento della tecnica, sia in forma grezza che specifica. Bisogna evitare l’acquisizione di movimenti errati che saranno più difficili da modificare nelle fasi successive.
- Prima fase puberale (11-12 fino a 13-14 anni di età per le femmine e 12-13 fino a 14-15 anni per i maschi): si può dare maggiore importanza alla pianificazione e all’individualizzazione dell’allenamento. Comincia la tendenza a perdere motivazione perché iniziano a subentrare nuovi interessi.
- Seconda fase puberale o Adolescenza (fino ai 17-18 anni per le femmine e ai 18-19 anni per i maschi): aumenta la capacità di carico psicofisico ma allo stesso tempo si è maggiormente distratti da altri interessi. Facilmente si lascia lo sport, soprattutto se i risultati non sono quelli desiderati e la perdita di motivazione e autostima (a livello sportivo) raggiunge un livello elevato.
Il ruolo del Mental Coach
Come abbiamo visto ogni fascia d’età richiede una strutturazione differente dell’allenamento, passando da una fase di gioco e di preparazione generale di più abilità/capacità ad una preparazione specifica e individualizzata. Ma nelle fasi puberali, in particolare in quella adolescenziale, non è sufficiente l’abilità di un bravo preparatore fisico: i ragazzi in fase di sviluppo sono attratti maggiormente dai rapporti sociali che dallo sport in sé, il saper dimostrare il proprio valore in campo gioca un ruolo fondamentale poiché rappresenta un motivo di apprezzamento da parte dei compagni, soprattutto del sesso opposto. Nel momento in cui i risultati sono al di sotto delle proprie ambizioni, i ragazzi tendono a perdere la motivazione e spesso ad abbandonare lo sport praticato.
In questa fase diventa fondamentale la figura del Mental Coach, che assume il ruolo di motivatore e aiuta il giovane atleta a ritrovare la fiducia in se stesso.
Il mio obiettivo è quello di indirizzare l’atleta verso la consapevolezza del proprio potenziale, ripercorrendo insieme a lui le performance positive ottenute in passato e sfruttandole come ancora nel momento in cui si ripete una situazione negativa. L’atleta ha bisogno di ritrovare se stesso e di imparare a sfruttare i propri punti di forza.
Esistono anche dei casi in cui giovani atleti più capaci di altri creano una situazione di eccessiva fiducia in se stessi, che li porta a strafare e a sentirsi i più forti in assoluto; nel momento in cui perdono un match crollano emotivamente e faticano a riprendersi. Il Mental Coach aiuta questi atleti a mantenere il giusto equilibrio per tirar fuori la migliore performance. Non a caso ho utilizzato il termine “performance”: i ragazzi, specialmente se molto giovani, devono essere consapevoli del fatto che è più importante una gara persa in cui si è dato il massimo ed è stato espresso il massimo del proprio potenziale che una gara vinta giocando male. E’ importante dunque saper accettare le sconfitte ed essere in grado di valutarne e soprattutto distinguerne le cause.
Ho passato una vita intera sui campi da tennis e nonostante alcuni episodi sfortunati e la scarsa possibilità di giocare tornei, non ho mai smesso di credere nei miei sogni e di perseguire i miei obiettivi, al di là dei risultati. Perché? Per il semplice motivo che ho sempre creduto in me stesso grazie alla consapevolezza delle mie potenzialità. Ho passato tanti momenti di sconforto in cui avevo mollato tutto, ma poi ripensando alle prestazioni favolose che sono riuscito a raggiungere in passato anche solo in allenamento mi sono detto che non potevo, non dovevo smettere di crederci, perché potevo e posso ancora dare tanto. E questa voglia, questo modo di pensare lo metto in pratica ogni giorno anche sul lavoro coi miei ragazzi ed è quello che voglio trasmettere anche agli atleti che incontrerò in futuro.
Il mio lavoro, la mia vita, dentro e fuori dal campo da tennis, si fondano su 3 valori principali:
- la passione, che è il motore principale di tutto quello che faccio;
- la determinazione, che alimenta il fuoco dentro di me e mi aiuta a superare giorno per giorno me stesso;
- la fiducia, in me stesso prima di tutto e negli altri, in chi mi sta vicino e in chi mi segue come collega, allenatore, ma anche come amico o familiare.
E’ fondamentale trasmettere questi valori ai nostri giovani perché crescano con la consapevolezza della propria forza e sappiano che se credono fortemente in qualcosa prima o poi i risultati arriveranno.
Concludo con la citazione di un libro che ho letto non molto tempo fa, che secondo me riassume quanto detto finora: “Il tennis è 5% tecnica, 45% fisico e 50% testa”!
Se hai bisogno di consigli o vuoi approfondire l’argomento non esitare a contattarmi, sono a tua disposizione.