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Il nome della professoressa Falcone si aggiunge alla sfilza di decine e decine di personaggi vari ed eventuali ai quali Napolitano (e ovviamente i suoi predecessori) hanno riconosciuto medaglie e coccarde e titoli. Niente di male, fa parte delle prerogative dei capi dello Stato; anzi, qualcuno potrebbe far notare sagacemente che è una delle principali prerogative, più dell'interventismo nella vita politica nazionale. Certo, fa riflettere questa "democrazia dell'onorificenza". Un bel titolo non si nega a nessuno, che siano parenti di vittime di mafia, piccoli eroi quotidiani, campioni dello sport, stelle dello spettacolo (l'ultimo Grande Ufficiale prima della signora Falcone, lo scorso 24 luglio, era stato Peppe Tornatore, per dire), suore, prefetti, ex politici, Letizia Moratti, tutti i leader sindacali, artisti di fama mondiale o semplici cittadini. Ecco che Maria Falcone, sorella di una medaglia d'oro al valor civile, va benissimo, a maggior ragione.
Ma siccome io sono anche un po' cialtrone, noto che una delle ultime uscite pubbliche, se non proprio l'ultima, della sorella di Giovanni risale al 9 ottobre. Una dichiarazione, peraltro condivisibile, nella quale attaccava e definiva "una cosa vergognosa" il tweet con cui Sabina Guzzanti si è permessa di esprimere solidarietà a Riina e Bagarella per i loro "diritti negati" relativamente alla deposizione di Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia. La professoressa diceva: «Si difendono i diritti di queste persone e non quelli dei magistrati che hanno emesso la sentenza, quelli del Capo dello Stato e dello Stato che rappresenta. È una cosa obbrobriosa, per la quale non bastano gli aggettivi dispregiativi». Una difesa in piena regola di Napolitano, quattro giorni prima della cerimonia al Quirinale...
Non voglio pensare male, né fare alcuna polemica, sono solo coincidenze. In questa contorta vicenda processuale, le cose sono già andate troppo oltre, a partire da uno squallido scambio di reciproche accuse: da una parte i movimentisti (e movimentati), tipo Ingroia e Salvatore Borsellino e la Guzzanti e Travaglio e i fan di Massimo Ciancimino, dall'altra gli istituzionali, quelli che "Napolitano ha già detto che non ricorda e quindi va bene così", tra cui la stessa Maria Falcone. La parte peggiore è proprio l'insulto incrociato tra i portatori di due diversi modi di intendere la condizione di "parente di vittime di mafia", per arrivare all'apoteosi dello schifo con i battibecchi a sfondo politico-partitico. Ingroia, commissario straordinario all'abolenda provincia di Trapani su nomina crocettiana, non accetta che Maria Falcone lo critichi per aver strumentalizzato i nomi di Giovanni e Paolo per far politica: piuttosto è lei (che incidentalmente però si chiama Falcone, ndr) a sfruttare quel cognome, dice lui. Aggiungendo che non le è andata neanche tanto bene: la professoressa nel 1999 tentò invano la via di Strasburgo con i Verdi e poi più volte il suo nome è stato associato senza esiti al Pd. Poco male, almeno è Grande Ufficiale.
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