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I grassatori sociali

Creato il 04 giugno 2013 da Albertocapece

debito-pubblicoLa campagna contro Equitalia si è rivelata alla fine inutile: dovunque la longa manus di uno stato iniquo e insensibile è stata sostituita da altre organizzazioni, i nuovi gabellieri privati o anche pubblici come Trentino Riscossioni, hanno aumentato costi e aggi (la percentuale di chi riscuote) che adesso arrivano anche alla fantastica cifra del 30%. E’ una storia che può fare indignare per la presa in giro che comporta, ma che soprattutto rivela la persistenza di un elemento di grassazione e di sudditanza che i poteri pubblici, vicini o lontani che siano, finiscono sempre per esprimere.

Tutto questo non è affatto incidentale, non è solo espressione di cattive volontà singole e di ipocrisie invincibili, di lontananza ormai stellare del ceto politico e amministrativo, ma fa parte dell’anomalo modello italiano che vede il pubblico essere forte con i deboli e debole se non colluso con i forti, che da una parte non ha fatto nulla o quasi, spesso solo la “mossa”, per reprimere un fenomeno di massa come l’evasione, ma dall’altro stritola chi non può svicolare dai doveri di cittadinanza infierendo su chi poi si trova a pagare per tutti.

Così non ci si può stupire che si vada ben oltre le “punizioni” dei singoli afferrati dentro il tritacarne burocratico e che da oltre trent’anni la nostra società si trova di fronte a una vera e propria grassazione sociale il cui fine ultimo è stata la distribuzione di dividendi politici o materiali di varia natura fra gli “azionisti” della classe dirigente e padrona. Basti solo pensare al debito pubblico stellare che si è accumulato, certo anche per l’evasione, certo per sprechi inguardabili e continuati, ma soprattutto per gli errori o meglio gli interessi dei vlasti che hanno lasciato il Paese di una balia di un welfare gracile e molto al di sotto degli standard europei, di tutele deboli, e a volte ambigue, di diritti negati e assai spesso barattati.

Eh si perché lo stato italiano è il più indebitato, ma anche quello che paradossalmente spende assai meno della media: la spesa primaria, escludendo quella per pagare gli interessi del debito, è  inferiore alla media della zona euro: il 45,4% del Pil contro una media dell’Europa a 15 del 46,9%, ma soprattutto di molto inferiore a quella dei gran Paesi dell’Unione: il 51% della Germania e il 54% della Francia. Per questo, come ha mostrato il Sole 24 ore lo stato spende per ogni cittadino 2000 euro in meno all’anno rispetto alla media e 5-6 mila auro meno di Francia e Germania.

Come è stato possibile? Strizzando l’occhio all’evasione, alle collusioni, alla corruzione, mantenendo in piedi meccanismi fatiscenti, ma commettendo nell’ 81 (anche grazie ai suggerimenti del signor Monti) l’errore non disinteressato di separare Tesoro e Banca d’Italia: la banca centrale non è stata più obbligata a comprare i titoli di stato che così sono stati immessi direttamente sul mercato a interessi decisamente superiori. Di lì – per fortuna è sempre il Sole che lo dice –  ha preso il via la crescita miracolosa del debito pubblico. Senza che però questi soldi si siano tradotti in un miglioramento della civiltà e anche della competitività del Paese. Pure i benefici in termini di reddito che in un primo tempo ne sono derivati non sono stati altro che il frutto di operazioni consociative di vario genere che   hanno favorito il declino del sistema produttivo invece di irrobustirlo e hanno reso sempre più sbilenca la bilancia commerciale.

L’insieme di queste cose, mai corrette, mai ripensate e sempre ribadite da un governo all’altro come in una catena umana di stupidità e infine cristallizzate nell’euro, può certamente essere vista come una sorta di grassazione sociale o quanto meno come un caso più generale di quello stesso rapporto di sudditanza che si esprime  nel problema di Equitalia e dei suoi succedanei.  E adesso, con le mani legate al ceppo di Bruxelles, l’anomalia diventa il drammatico scenario di un ceto politico che non riesce a tornare indietro, neanche volendo, che deve continuare come in un incubo a ripetersi.


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