di Antonio Bruno*
"quando impararono a coltivare l'olivo e la vite, i popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie" Tucidide nel V secolo a.C.
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L’olio d’oliva deodorato di provenienza africana o spagnola mette in crisi la produzione dell’olio lampante prodotto nel Salento leccese. Questa «invasione barbarica» provoca danni incalcolabili all’economia della penisola salentina infatti in questo 2010 le olive rimangono sugli alberi o per terra. C’è il pericolo reale per l’intero ecosistema degli uliveti secolari, che rischia di morire ed essere soppiantato, magari da «coltivazioni intensive» di pannelli solari. In questa nota alcune considerazioni sulla indissolubilità Ambiente del Salento leccese e Olivo!
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L’olivo nel Salento leccese 4 mila anni fa è giunto dal mare, trasportato da antichi naviganti fenici sbarcati sulla penisola salentina.
Sia gli scrittori locali che i visitatori del Salento leccese sono sempre stati ipnotizzati dalla fitta foresta degli ulivi. Questi alberi maestosi e imponenti sono disposti ad arco intorno alle città, oppure coltivati all'interno dei muri di recinzione.
Ferrari afferma che il segreto della ricchezza di prodotto degli olivi del Salento leccese deriva dalla costante e corretta potatura: "per farli più fruttiferi ogni anno con diligenza li padroni da persone pratiche li fanno nettare".
La mitologia greca, inneggia all'ulivo, lo incastona sulle vette dell'Olimpo tanto che la leggenda narra di Athena Pallade, che i Romani chiamarono Minerva, donò l’olivo ad Atene, divenendo sua protettrice. Minerva ha donato al Salento leccese l’olivo infatti a Otranto c’è il colle della Minerva così come a santa Maria di Leuca era stato eretto un tempio a questa Dea. Abito in un paese, San Cesario di Lecce che possiede un gioiello bellissimo, ovvero il palazzo ducale Marulli nella cui facciata c’è la scultura della dea Minerva che è posta per prima nel gruppo dedicato alle divinità greche formato da Ercole, Nettuno e Venere. Minerva che dona al mio paese l’olivo!
Sono stati ritrovati nel Salento leccese alcuni contenitori con tracce di olio datati all'età del Bronzo finale. La lavorazione dell'olio più di 4 mila anni fa avveniva schiacciando le olive con una pietra durissima in un cesto di rami intrecciati. L’olivo che continua a esserci, che c’è stato nei secoli scorsi, l’olivo che c’è sempre stato e che ha dato ricchezza a un territorio immobile!
L’arretratezza del Salento leccese nell’800 è fissata in maniera espressiva dalle parole di J. Ross,: "Gli utensili agricoli sono poi assolutamente primitivi: la vanga è sconosciuta e tutto il lavoro viene fatto a mezzo di una corta zappa ricurva. La terra e le pietre vengono trasportate, come in Egitto, in panieri sovra una spalla, ed ogni paniere contiene fino a una quindicina di palate di terra"; e a nulla serviva suggerire di usare ad esempio la carriola al posto del paniere (panaru) infatti quando Ross lo suggerisce a un contadino del Salento leccese quest’ultimo gli risponde: "I nostri vecchi hanno sempre usato il paniere; se era buono per loro sarà buono anche per noi".
La coltivazione dell’olivo nel Salento leccese dell’antichità prevedeva l’aratura intorno all'ulivo che aveva come effetto la costituzione una vera e propria fossa per ricevere la pioggia e per accogliere come in un abbraccio, le olive che cadono a terra. Quell’aratro antico fatto di "due stanghe ricavate da due esili rami di olivo o di leccio, e da un piccolo vòmero di legno che veniva tagliato con un'accetta”.
Gli olivi del Salento leccese che i Briganti hanno utilizzato rifugiandosi nelle cavità dei tronchi e sono i rami d'ulivo quelli che venivano accesi per ricavarne il fuoco su cui si cuocevano le fave che danno quella purea tanto gradita a tutti!
Ma li avete visti gli olivi all’ingresso della città di Lecce? La capitale del Salento leccese accoglie tutti con quegli ulivi trapiantati nei Rondò e nelle aiuole all’ingresso della città.
La Lecce che nei primi anni del '900 a Villa Reale, dove c’è un giardino progettato da P. Porcinai, ha l’olivo che si incastona tra viali, strutture abitative, pozzo, vasca, colonnati, sostegni in ferro e in pietra.
La stessa pietra che affiora tra Campi Salentina e Surbo che, secondo Cosimo De Giorgi veniva estratta "per farne macine da frantoj”. Abbiamo tutti negli occhi il ricordo di queste pesanti antiche ruote di pietra che rotavano sulle olive schiacciandole.
Si levano scudi contro chi afferma la fine dell’olivicoltura. Vi assicuro che le reazioni delle persone che hanno ascoltato discorsi che profetizzano la fine della coltivazione dell’olivo nel Salento leccese sono davvero indignate. Noi siamo divenuti i “Nuovi Barbari” senza subire le conseguenze che riservavano ai Greci a chi faceva del male a un albero di ulivo?
L’olivo fa parte del “paesaggio storico” del Salento leccese; per essere più precisi l’ulivo è la Storia del Salento leccese che, come afferma Mirella Signore, “comprende l'idea delle epoche storiche, della natura del terreno, delle strategie di difesa, della risorsa idrica, del patrimonio archeologico e della custodia dell'ambiente”. Sempre la stessa autrice ricorda a tutti noi che i “Greci, che in genere erano soliti radere al suolo le terre conquistate tagliando anche i boschi, decretarono la pena di morte per chi avesse reciso un albero d'ulivo pubblico o privato.”
Già! più di duemila anni fa si toglieva la vita a chi “ammazzava” un olivo. Oggi cosa dovremmo fare nei confronti di chi con le parole, i discorsi e le decisioni, sta ammazzando i 9 milioni di olivi del Salento leccese?
*Dottore Agronomo
Bibiobrafia
Mirella Signore, Il paesaggio salentino sotto il segno di Minerva
J.A. FERRARI, Apologia paradossica della città di Lecce, cit., p. 534
A. CASSIANO, Palazzo ducale, in AA. Vv., S. Cesario di Lecce. Storia-Arte-Architettura, Galatina, Congedo, 1981, frontespizio e pp. 136,137,141,180.
R. DURANTE, Cerere e Bacco a piene mani, Fasano, Schena, 2000, p. 29.
J. Ross, La Puglia nell'800. La terra di Manfredi, Cavallino di Lecce, Capone,
1980, pp. 136 e 35.
C. DE GIORGI, Descrizione fisica geologica e idrografica della provincia di Lecce,
Lecce, Centro di Studi Salentini, 1960, p. 60.