Il beato Luigi Guanella è arrivato a portare il proprio carisma francescano per mezzo dell’impegno missionario dei suoi sacerdoti anche nelle lontane Filippine.
Di essi, dei suoi sacerdoti, si parla (o meglio ne parlano persino i media generalisti) in occasione della permanenza di questi giorni a Manila, capitale dell’arcipelago, di Papa Francesco e dell’incontro di lui con i piccoli ospiti della “Don Guanella Home for special children”.
Ma l’aspetto straordinario e affascinante, quando ci s’imbatte nella conoscenza di alcuni motivatori e formatori di uomini (intendo personalità come un Don Bosco, un Giuseppe Allamano, un Comboni e tanti altri come loro) è che, da fondatori di Congregazioni religiose, essi siano riusciti, con tenacia, a portare di persona e/o a far portare ai loro figli e alle loro figlie gli insegnamenti del Vangelo di Gesù, a partire magari da un modesto lontano contesto originario fino a giungere agli angoli più remoti del pianeta.
Ecco che cosa è il carisma.
Un dono di Dio inestimabile, che lascia stupiti, e che non ha eguali.
E don Guanella di carisma, senza tema di smentita, possiamo dire che ne avesse ricevuto proprio tanto.
Così circa 26 anni fa, i guanelliani, memori delle parole del loro fondatore, hanno realizzato su di una collina che guarda Manila, la città contraddittoria per eccellenza, come tutte le megalopoli d’Oriente,(ossia da una parte ricchezza ostentata nei grandi alberghi e nei lussuosi centri commerciali e, nel contempo, dall’altra povertà estreme e degrado morale e materiale), una struttura per ospitare bambini senza famiglia o con famiglie in grosse difficoltà.
Nella cosiddetta “Tenda della carità” i bambini, infatti, ottenevano già allora un pasto caldo, frequentavano la scuola e, i meno fortunati tra loro, per pesanti disabilità, potevano anche apprendere la lingua dei segni.
Il”Don Guanella Home” è , invece, un’opera molto più recente, sorta nello stesso luogo ma solo nel 2010.
E, anche qui, l’accoglienza è per 21 piccoli disabili senza famiglia(e spesso senza nome), i quali possono avere a disposizione un ambulatorio medico,usufruire di fisioterapia e d’ idroterapia se i danni fisici lo richiedono, e crescendo, poter apprendere un mestiere di fornaio, di agricoltore o di allevatore.
E, ancora, poiché il bene è una forza molto speciale, quando comincia a carburare (lo Spirito Santo in questo è instancabile), ultimissimo in ordine di tempo c’è L’Housing project, un villaggio di 16 piccole abitazioni, di una metratura di non più di 24 metri quadrati, dove sono ospitate famiglie numerose e quasi sempre in difficoltà.
Difficoltà che possono riguardare sia il sostentamento economico e, quindi, la mancanza di un lavoro per il capofamiglia oppure la presenza di gravi disabilità nella prole come, ad esempio, quella malattia subdola che conosciamo con il nome di autismo.
E, talora, addirittura entrambe le cose.
Capita così, e non di rado, che questi laici poveri ma volenterosi affianchino i sacerdoti nelle mansioni pratiche della quotidianità, quando ce n’è bisogno, e ottengano in cambio una piccola paga.
Quella paga che consentirà poi di garantire il pane giornaliero ai propri familiari.
E non è poco se permette di vivere in onestà.
Bambini e adulti in bisogno. Bisogni differenti certo. Più o meno gravi. Ma ugualmente bisogni.
Cioè mancanza. Deficit cioè di ciò che conferisce dignità alla persona.
E sono famiglie unite, nonostante tutto. Quelle cui, qui a Manila, come in altre parti del mondo, Papa Francesco guarda da sempre con affetto e simpatia, riconoscendo in esse un autentico dono.
E che definisce anche il tesoro più grande di una qualsiasi nazione, che non manca mai di ricordare nelle sue preghiere.
Il dono di saper essere genitori infatti, anche nelle difficoltà del quotidiano, perché nulla, ieri come oggi, è garantito a tutti e per sempre - sostiene il pontefice- è un esempio di grande coraggio e perciò straordinario, in tempi di superficialità e di risicato rispetto per la vita umana.
E queste situazioni, con cui ci confrontiamo come Occidente a Manila come nelle Filippine tutte e, prima ancora lo abbiamo fatto nello Sri Lanka, insegnano parecchio, o almeno dovrebbero, a chi sa porgere la giusta attenzione.
Non dimenticare,in conclusione, l’umiltà d’essere tutti indistintamente figli di Dio e del bello di lavorare assieme, in onestà e senza pretestuose divisioni, ciascuno come può e come sa, per il bene dell’intera famiglia umana allargata.
I guanelliani, come i missionari tutti anche di altre congragazioni, lo hanno fatto in passato, continuano e di certo continueranno ancora a farlo lì dove sono chiamati.
E’ chiaro che non è né semplice né facile ma possono e devono provare anche i laici. Questo è dirci cristiani.
Occorre cioè imparare a riconoscere Cristo nell’altro.
Nel povero, nel malato, nell’infelice. Dialogare con lui. E non farlo occasionalmente.
Le modalità possono anche essere differenti ma il compito bisogna ricordarsi che è unico.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)